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Il non-profit una soluzione per la crisi dei giornali?

Un articolo sul Washington Post di Michael Kinsley, un noto giornalista e commentatore Usa, ripropone il possibile intervento di Fondazioni non-profit per affrontare la crisi dei quotidiani su carta

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(via Editorsweblog)

Torna sul tappeto l’ ipotesi che l’ intervento di Fondazioni nonprofit possa essere una soluzione per la crisi dei giornali su carta. Ne parla Michael Kinsley, noto giornalista e commentatore politico Usa, che qualche giorno fa sul Washington Post ha spiegato le sue valutazioni su quale tipo di modello sia preferibile.

Kinsley ricorda come molti dei grandi giornali Usa facessero capo a ‘’grandi personaggi o famiglie’’ che li avevano ceduto a gruppi e catene editoriali i quali, ora, visto che molti di loro fanno pochi soldi o ne perdono, stanno meditando di disfarsene o di ‘’tagliare’’ sempre di più. A questo punto, si chiede Kinsley, perché non valutare se un loro ritorno nelle mani di altri ‘’grandi personaggi o famiglie’’ oppure di istituzioni nonprofit possa essere la soluzione?


"Chi potrebbe meglio assicurare quella combinazione di sicurezza finanziaria e libertà editoriale di cui i giornali hanno bisogno?’’ si chiede. Avendo esperienza di entrambe le situazioni, Kinsley ritiene che essere posseduti o dipendere da una Fondazione non profit sia la strada migliore.

Un problema che potrebbe nascere in relazione all’ ipotesi che i giornali possano tornare nelle mani di persone o famiglie ricche – ragiona Kinsley – è il fatto che ‘’ i mecenati di prima facevano soldi coi giornali’’ mentre si sa che in questo momento ciò non accade più. Ma nonostante questo c’ è ancora gente interessata a possedere un quotidiano. Per motivi come – suggerisce – ‘’la sincera preoccupazione di mantenere in piedi una importante istituzione, il desiderio di influire sl dibattito pubblico, la convinzione che un miglior management possa portare dei profitti, un desiderio di status’’, ecc.

Quando Kinsley era direttore di New Republic, di proprietà di Marty Peretz e famiglia, rimase impressionato dall’ indifferenza di Peretz "a quello che gli altri potevano pensare", spiegando che ‘’non c’ è nessuna migliore protezione per la libertà di stampa’’.  

La soluzione migliore, tuttavia, è molto difficile da realizzare, si lamenta: ‘’ essere una piccolissima entità di un grande gruppo che ha altre cose per la testa’’. Il riferimento è a quando era direttore di Slate. Allora la rivista faceva capo a Microsoft (mentre ora è della Washington Post Co) e l’ azienda non interferiva assolutamente sui contenuti, ma sosteneva adeguatamente la pubblicazione. Certo, ciò avveniva anche perché Slate era  "troppo piccola per dare fastidio’’, ma – aggiunge Kinsley – soprattutto perché, "al di là di aspetti sentimentali, dalle regole del business i vertici dell’ azenda sapevano che interferendo rischiavano di distruggere il valore che avevano creato con investimenti da milioni di dollari’’.