Attenzione, le notizie stanno cambiando

Buzz

Un recente studio del Project for Excellence in Journalism (Pej) ha rivelato che, nonostante l’ ampiezza del nuovo ecosistema giornalistico, la gran parte dei servizi dei media locali sono ‘’sostanzialmente ripetitivi e non trasmettono nuove informazioni’’ e che per la stragrande maggioranza le novità vengono riprese dai vecchi media, soprattutto i grandi giornali – Ma attenzione, dice Jeff Jarvis, lo studio parte da un’ idea tradizionale di ‘’notizie’’ e le notizie, invece, stanno cambiando – Stanno diventando più un processo che un prodotto, e vengono distribuite in maniera nuova grazie alla ricerca sui motori online e agli algoritmi sociali e non è vero che senza i giornali non ci sarebbero più notizie

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‘’How News Happens – A Study of the News Ecosystem of One American City’’, la recente ricerca del Project of Excellence in Journalism (vedi Lsdi, Informazione locale: dai media tradizionali il 95% delle notizie) ha suscitato un forte interesse ma anche diverse polemiche soprattutto perché molte testate tradizionali lo hanno accolto con un evidente pregiudizio conservatore, come uno spunto per la difesa dell’ esistente*, approfittando anche per sacrificare qualche capro espiatorio, in questo caso, soprattutto, i soliti, ‘‘maledetti’’ blog.

E’ – quest’ ultima – una delle varie notazioni sottolineate in questo articolo – che Lsdi propone integralmente – da Jeff Jarvis, uno dei più attenti (e seguiti) osservatori Usa di media e giornalismo. Che mette in guardia da una lettura superficiale dello studio invitando a ‘’tenere a mente che siamo all’alba, davvero solo agli inizi di un nuovo ecosistema delle notizie’’

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LO STATO DELL’ ARTE DELLE NOTIZIE

di Jeff Jarvis
(da The Buzz Machine)

La mia risposta allo studio del Project for Excellence in Journalism (Pej) secondo cui la cronaca più originale a Baltimora viene ancora dai media tradizionali? Bella questa!

Abbiamo bisogno di uno studio per rendercene conto? Beh, forse sì. Penso che serva una pietra di paragone per capire dove le notizie andranno nel prossimo futuro. Se io sostengo che serve una revisione delle notizie ora che c’è Google News, lui si chiede perché le notizie di oggi debbano essere il punto di partenza. La mia risposta: soltanto perché è di questo che stiamo parlando, come se ci chiedessimo: “Quanto perderemo in questa transazione?”.

Facciamo così: misuriamo il valore di quel che esiste oggi e analizziamo le risorse che servono a produrlo (compresi gli sprechi sulla ripetizione e sulla trasformazione in prodotto finale).

Penso però che lo studio possa anche portare qualche pericolo.

Punto primo. In maniera abbastanza prevedibile, esso alimenta la passione difensiva dei vecchi media miagolanti, testimone il New York Times, secondo cui “lo studio ha offerto una sponda all’argomento portato avanti spesso dai media tradizionali: finora, la maggior parte di quel che fanno le testate digitali è la ripetizione e il commento, non la cronaca fresca”.

Punto secondo. Lo studio definisce le notizie così come sono state considerate finora. Dovremmo invece ripensare a questa definizione – alcune persone non includono racconti sulla giustizia minorile, considerata invece dall’istituto di ricerca Pew, che controlla Pej – e a come le notizie vengono raccontate – non necessariamente in articoli – e a come vengono diffuse – e quale è il ruolo dei blog e di twitter – senza rimanere ancorati ai vecchi concetti.

Terzo, lo studio costruisce un capro espiatorio. I blog ci offrono la maggior parte delle informazioni? No, non lo fanno. Bene, allora non servono proprio a niente questi blogger, eh? Saremmo proprio persi senza i grandi nomi dei media, no? Già, sono proprio quel che ci serve. (A favore dello studio, però, bisogna dire che esso nota come la cronaca locale è in gran parte ripetitiva e non include contributi originali). “Questo studio si pone la seguente domanda: se i giornali scomparissero, cosa rimarrebbe da aggregare?”, ha detto alla Associated Press Tom Rosenstiel, direttore del Pej.

Ecco il capro espiatorio: senza i giornali, non ci sarebbero notizie.

No, noi alla City University of New York (Cuny) crediamo che il mercato funzionerà in maniera più efficiente e forse – forse – più efficace. Anche se potrebbero non essere notizie così come vengono definite dallo studio.

Dobbiamo tenere a mente che siamo all’alba, davvero agli inizi di un nuovo ecosistema delle notizie. Non c’è un business model scalabile, anche se nei nostri studi alla Cuny noi vediamo all’orizzonte alcune nuove aziende che cominciano a costruirlo. Quando la Associated Press mi ha chiamato a riguardo, venerdì, ho detto che conoscevo una cinquantina di giornalisti in New Jersey che hanno lasciato il loro posto di lavoro nei giornali e stanno morendo dalla voglia di fare cronaca in società di nuova concezione: stanno aspettando l’aiuto che noi prevediamo nei nostri progetti. Aziende come Impremedia e il New York Times stanno cominciando appena a studiare la loro relazione con l’ecosistema.

Stiamo solo iniziando a vedere quella sperimentazione con le notizie, spostandoci da quegli articoli che lo studio (del Pej) prende in considerazione. Le notizie stanno diventando più un processo che un prodotto, e vengono distribuite in maniera nuova grazie alla ricerca sui motori online e agli algoritmi sociali. Le notizie stanno cambiando.

Quindi mi sta bene considerare il Pej come un artefatto storico, una pietra di paragone per discussioni in futuro. Ma per l’amor di Dio non consideriamolo una perdita per quel  futuro.

(traduzione di Matteo Bosco Bortolaso)

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*Molte testate hanno accolto questo studio con una fastidiosa arroganza, secondo Amy Gahran, una seguitissima collaboratrice di E-media Tidbits (Poynter Online).
”Questo studio ha un grosso difetto di base – sostiene su Contentious – Penso che la trappola sia il passaggio sulle ‘’sei storie chiave’’. Chi è che dice che cosa è ‘’chiave’’? Nella mia esperienza, i media non tradizionali (inclusi i blog) sono regolarmente in testa, sul piano delle notizie locali, iperlocali, di nicchia, e su ogni tipo di argomenti. Le persone che si interessano di queste cose non vanno dietro allo stesso tipo di articoli che invece prediligono i giornali. E in questo modo aggiungono una notevole quantità di valore all’ ecosistema dell’ informazione”.

E qui da noi, fra gli altri, Vittorio Pasteris, in un post dal titolo ‘’ Nuovissime prospettive sul futuro dell’informazione’’, nota sul suo blog :
”… per favore la si pianti di sbandierare studi per cui i giornali tradizionali sono la fonte della maggior parte dell’informazione anche on-line. Basta pensare quelle che sono le risorse investite per capire che il dato ad oggi non potrebbe essere diverso. (…) Il futuro dell’editoria e del giornalismo si giocherà sempre più in “campo aperto” con pregi e difetti assortiti di questa peculiarità. Chi è disposto a farlo bene. Gli altri editori ci pensino, prima che sia per loro tardi. Possono sempre vendere le loro imprese, finché sono in tempo”