Wikileaks: un po’ di imbarazzo per gli ambasciatori è una tragedia, 15.000 civili uccisi in Iraq una statistica

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Perché succede che i dati relativi ai 15.000 civili uccisi che sono stati rivelati dai documenti sull’ Iraq non hanno spinto le autorità americane a chiudere gli hosting di WikiLeaks e i loro account PayPal? Perché non avevano dominato l’ agenda mediatica allo stesso modo?- Fra i tanti interrogativi che accompagnano la vicenda di WL Paul Bradshaw solleva la questione delle differenze di scala del lavoro di  Assange, parlando di ‘’giornalismo su scala industriale’’ – Mentre il fondatore di WL rivendica il merito di fare del ‘’giornalismo scientifico’’ e qualche osservatore teme addirittura che Assange possa rivelarsi il più grande nemico della trasparenza dai tempi di Nixon – Ma quello che fa WL è giornalismo oppure no? – E’ quello che ha preso il posto del vecchio ‘’cane da guardia’’, ormai morto? – Ma al di là di tutto salvare WL vuol dire battersi per la libertà di espressione

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Julian Assange sostiene che Wikileaks lavora a un nuovo tipo di giornalismo: il giornalismo scientifico (il suo editoriale sull’ Australian, quotidiano di Murdoch, scritto alla vigilia del suo arresto).

‘’ Il giornalismo scientifico – spiega – ti permette di leggere un articolo e di cliccare online per controllare i documenti originali su cui è basato. Ti permette di giudicare da solo: questa storia è vera? Il giornalista l’ ha ricostruita correttamente?’’.

Ma qualcuno solleva il dubbio che quei ‘’documenti originali’’ di cui Assange parla diventino sempre più ‘’segreti’’ e che una battaglia vinta contro l’ opacità (e la doppiezza) del mondo della diplomazia internazionale si possa trasformare in una pesante sconfitta del principio della trasparenza, per cui dice di battersi WL.

Ne è convinto Marco Bardazzi, che  sulla Stampa.it scrive:

L’ effetto della pubblicazione indiscriminata di documenti su Wikileaks – sostiene – sarà quello di rendere i governi – Usa in testa – più “segreti” che mai. No, Assange non ha reso un buon servizio né all’umanità, né tantomeno al giornalismo.

Ci sono voluti decenni di campagne di stampa e battaglie giudiziarie e politiche, perché in democrazie avanzate come gli Usa si arrivasse a mettere a punto leggi sulla libertà di informare e sulla trasparenza che, pur con molti limiti, hanno permesso di veder fiorire un serio e aggressivo giornalismo d’inchiesta. L’arrivo di Assange e del suo Wikileaks rischiano di spazzare via tutto.
Diciamolo: Assange potrebbe rivelarsi il più grande nemico della trasparenza
dai tempi di Nixon.

Una  valutazione un po’ deterministica.

Diciamo che qualsiasi presunta violazione di un segreto spinge il detentore del segreto ad inasprire le misure di sicurezza. E si può pensare che ciò avvenga all’ infinito. Ma se, socialmente, emerge un principio, una strategia, un processo, un movimento  che punta alla trasparenza degli atti dei pubblici poteri, per quanto si possa immaginare un segreto assoluto, ci saranno sempre nella trama tecnologica che sostiene le comunicazioni dei punti di debolezza che potranno permettere a qualcuno di eludere i meccanismi di sicurezza oppure le volontà di soggetti interni ai meccanismi della sicurezza motivati a violarla.

D’ altra parte, avverte Luca De  Biase sul suo blog,

Se si vuol fare dietrologia, si può cercare chi ha messo in giro i file. Avrà avuto i suoi motivi. Ha usato Wikileaks. Avrebbe potuto mandarli direttamente ai giornali. Oppure usare altre piattaforme. Il problema per la diplomazia è chi ha messo in giro i file. Il sistema con il quale quei file vengono pubblicati, invece, fa parte della libertà di stampa: le informazioni riservate non devono essere rivelate da chi le ha, ma se entrano in possesso dei giornali, questi le possono e devono pubblicare (usando il cervello, come fanno in effetti, spesso).

La disinformazione, l’informazione strumentale, la comunicazione falsata per manipolare la realtà, peraltro, non è una pratica di Wikileaks o di internet. Ma di chi usa il sistema dell’informazione per far credere cose che non sono vere o per fare confusione tra ciò che è rilevante e ciò che non lo è. Si usano i giornali di parte per farla, si usano giornalisti affiliati a servizi segreti, si usano le televisioni, e si può usare anche internet. Il problema è che c’è il marcio, non che si vede il marcio. Imho.

Problemi di scala

Nel caso di WL c’ è  comunque un problema di scala.

Sul piano quantitativo, naturalmente. Pensate a cosa succederebbe se si riuscisse improvvisamente a rendere pubblici tutti i documenti relativi alle stragi in Italia ancora coperti da segreto. Wikileaks sta facendo a livelli quantitativi impensabili senza gli strumenti informatici quel lavoro a volte un po’ ‘’sporco’’ che i media tradizionali non riescono (o non vogliono) più a fare e che solo qualche cronista dalla testa dura continua con fatica e sudore a inseguire. Destinando semmai il suo lavoro all’ editoria libraria visto che la stampa non ha la voglia (la forza) di sostenerlo.

E, come segnala con grande acutezza Paul Bradshaw, sul piano qualitativo.


Lo  scandalo riguarda la materia dei documenti.

L’ imbarazzo di un ambasciatore è una tragedia; 15.000 civili ammazzati sono una statistica.

Così si intitola un suo articolo su Onlinejournalismblog.com dedicato alle questioni aperte da queste nuove forme di ‘’giornalismo su scala industriale’’, come lui stesso  definisce il Cablegate, ma che nel titolo stesso solleva  degli ovvi interrogativi.

Scrive Bradshaw:

Poche cose illustrano la sfida che si trova davanti il Giornalismo nell’ età dei  ‘’Big Data’’ meglio del Cablegate e, in particolare, nel modo con cui si possono coinvolgere le persone con storie che implicano ampie quantità di dati.

Le soffiate del Cablegate sono di natura diversa da quelle relative alle guerre in Afghanistan e in Iraq. Non per numero (90.000 documenti nell’ Afghanistan war logs e più di 390.000 in quella Iraq; i documenti qui sono circa 250.000), ma per l’ argomento.

Perché succede che il dato relativo ai 15.000 civili uccisi che sono stati rivelati dai documenti sull’ Iraq non hanno spinto le autorità americane a chiudere gli hosting di WikiLeaks e i loro account PayPal? Perché non avevano dominato l’ agenda mediatica allo stesso modo?

E perché ‘’Wikileaks che pubblica i cable commette un reato e i giornali americani che fanno lo stesso invece no’’?, si chiede AgoravoxItalia (Wikileaks: quando il gioco si fa duro):

(…) imprigionare Assange non servirà certo a ridurre al silenzio Wikileaks. Peggio, fare pressione su giganti come Amazon, Paypal, Everydns e gli altri big di internet perché rifiutino i loro servizi a Wikileaks è una reazione davvero degna dello stereotipo della censura cinese. Pietose le scuse adottate da queste aziende, che si sono nascoste dietro “Terms of service” e quindi rifiutandosi di collaborare a un’impresa “illegale”. Ci sarebbe da chiedersi illegale per chi, visto che la divulgazione dei segreti statunitensi è un reato solo negli Stati Uniti, mentre in quasi tutto il resto del mondo è sacrosanto diritto giornalistico diffondere informazioni del genere, indubbiamente d’interesse pubblico. Non si capisce poi perché adesso Wikileaks diventi un’organizzazione criminale, mentre quando ha diffuso le prove di crimini di guerra americani in Iraq non è successo niente del genere. Non si capisce perché Wikileaks che pubblica i cable commette un reato e i giornali americani che fanno lo stesso invece no”

Ma quello che fa WL è giornalismo oppure no?

Secondo Giovanni Boccia Artieri, dell’ Università di Urbino, il sito fondato da Julian Assange

‘’non fa giornalismo e non va confuso con le operazioni del tipo “gola profonda”. Mi spiego: qui abbiamo un data base pubblicato senza filtri particolari né selezioni. L’esposizione in pubblico di contenuti con gradi di segretezza – e privatezza – diversi. Non è solo il rendere trasparente la comunicazione diplomatica, cioè ciò che per sua natura e linguaggio è ufficialmente non trasparente (sullo specifico del linguaggio della diplomazia tra backstage e faccia pubblica consiglio di leggere il post di Fausto – Fausto Colombo, docente di Scienze Politiche, ndr). Ma più in profondità siamo di fronte ad un metodo che propone di, anche radicalmente, di fondare sulla trasparenza i contenuti a partire dall’impossibilità costitutiva di tenere  celati quei contenuti che hanno lo statuto del digitale. Due cose si associano, quindi: l’estremizzazione dell’ambizione open data in campo open gov e il riconoscimento di uno statuto diverso rispetto alle esigenze di riservatezza dei contenuti digitali: pubblici perché potenzialmente pubblicabili.

Sì, perché al di là del privilegio strategico di anticipare alcuni contenuti ai media, Wikileaks rende “diffusa” l’interpretazione e l’analisi dei contenuti invitando quindi alla massima condivisione.


Il ‘’cane da guardia’’ è morto?

Jay Rosen, in una video-intervista lo afferma esplicitamente, come segnala Pier Luca Santoro sul suo Giornalaio.

I passaggi chiave del video ricordano come la fiducia, la legittimazione degli organi d’informazione sia pesantemente minata [“…the legitimacy of the press itself is in doubt in the minds of the leakers. And there’s good reason for that…”]  a causa fondamentalmente del mutamento del loro ruolo, concludendo che il ruolo di cane da guardia un tempo esercitato dalla stampa è finito, morto e quel che abbiamo ora è Wikileaks [“….The watchdog press died, and what we have is WikiLeaks instead”].

Il riposizionamento, per restare nella metafora, da cane da guardia a cane di compagnia non funziona e, come sempre avviene, lascia spazi ad altri in grado di soddisfare il bisogno di informazione dell’utenza. Se il vuoto non fosse stato colmato da Wikileaks ci avrebbe pensato qualcun’altro, il problema non è Assange bensì lo stato attuale dell’informazione

In ogni caso su Salon.com,  Dan Gillmor invita a difendere WikiLeaks ‘’per non perdere il diritto alla libertà di espressione’’.

‘’I giornalisti devono svegliarsi e capire che gli attacchi contro il sito di Assange sono anche attacchi contro di loro. Se il giornalismo può venire fatto fuori semplicemente ogni volta che il governo lo desidererà, avremo gettao via la libertà di parola in questa frenesia di illegalità. Come Clay Srky, sono profondamente dubbioso su alcuni aspetti dell’ attività di Wikileaks e di quello che questa vicenda preannuncia. I governi hanno bisogno di mantenere alcuni segreti, e le leggi vanno rispettate. Ma lo stesso vale per il Primo Emendamento e questo diritto ora è sotto un attacco che potrebbe farlo a pezzi’’.

La posta è molto alta anche per Noam Chomsky, che ha firmato una lettera aperta di sostegno a Julian Assange, diretta al premier australiano, Julia Gillard.

Chomsky, docente di linguistica al MIT (Massachusetts Institute of Technology), molto critico con la politica estera statunitense, si e’ unito a un gruppo di decine di esponenti del mondo intellettuale australiano (scrittori, giornalisti e avvocati). I firmatari si dicono “gravemente preoccupati” per la sicurezza del 39enne australiano e chiedono al governo di affermare pubblicamente l’impegno a tutelare la liberta’ di comunicazione e i diritti fondamentali di Assange. La lettera aperta chiede anche al premier di fornire sostegno ad Assange e di “compiere tutto quanto in suo potere per garantire che vengano rispettati i diritti fondamentali” del patron di Wikileaks nei procedimenti giudiziari che lo riguardano.

‘’Salviamo il soldato Assange!’’ titola invece una petizione lanciata dal Fatto quotidiano.

Eccone il testo:

Julian Assange è stato arrestato il 7 dicembre, per accuse scandalose oltre che incredibili: un rapporto sessuale consenziente, un preservativo che non ha funzionato. La verità è un’altra: Assange è stato catturato come un micidiale terrorista (un «uomo che vuol distruggere il mondo», dixit il ministro Frattini) perché nella sua qualità di direttore di WikiLeaks ha fatto luce su politiche, misfatti, crimini che dovevano restare segreti, custoditi nelle segrete di cancellerie e ambasciate, inaccessibili all´opinione pubblica mondiale che sta prendendo forma nel web. Chiediamo che sia immediatamente liberato. Allo stesso modo chiediamo chiarezza sul caso di Bradley Manning, il soldato che rischia 52 anni di carcere per aver rivelato a WikiLeaks i crimini contro i civili commessi dall´esercito Usa in Iraq. I soldati che appaiono nei video da lui trasmessi a Wikileaks, colpevoli di massacri di civili, sono stati elogiati dal comando militare Usa per il loro «giudizio sensato».

I primi firmatari della petizione, Peter Gomez, Antonio Padellaro, Barbara Spinelli, Marco Travaglio