Seo, alleata o nemica del giornalismo?

Seo

La Search engine optimization, l’ insieme delle strategie che puntano a migliorare il ‘posizionamento’ robotizzato dei contenuti dei siti web da parte dei motori di ricerca,  riduce l’ autonomia delle scelte giornalistiche, vincolando i redattori ad inchinarsi ai presunti desideri dei lettori,  o è uno strumento importante per valorizzare i contenuti dando loro la migliore visibilità possibile? – Un articolo di Alice Antheaume, docente alla Scuola di giornalismo di Scienze politiche a Parigi, ed ex giornalista web di Slate.fr, 20minutes.fr, Télérama

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La Search Engine Optimization (SEO) è una nemica o una alleata del giornalismo? Le strategie per migliorare il ‘posizionamento’ robotizzato dei contenuti dei siti web da parte dei motori di ricerca riducono l’ autonomia delle scelte giornalistiche, vincolando i redattori ad inchinarsi ai presunti desideri dei lettori,  o sono uno strumento importante per valorizzare i contenuti dando loro la migliore visibilità possibile?

Il confronto su queste questioni – rileva Journalimes.info – è stato ripreso nei giorni scorsi dal Nieman Journalism Lab, che ha pubblicato alcuni interventi,  che coprono le posizioni più diffuse.

In particolare due interventi  indicativi:

– da una parte Nikki Usher, che ha intitolato il suo intervento ‘’Perché la SEO e l’ audience tracking non uccideranno il giornalismo come lo conosciamo’’, difendendo la SEO come un modo con cui i giornalisti possono accertarsi che i loro articoli vengano letti, partendo dal principio che una produzione di qualità che non viene letta non serve a niente;

– dall’ altra, C.W. Anderson, che appare più scettico. ‘’Una utilizzazione crescente degli strumenti di posizionamento potrebbe implicare un giornalismo di cattiva qualità? Non è detto. Ma questi strumenti potrebbero facilitare, sul lungo termine, l’ emergere di un mondo di informazioni sotto pressione, più superficiale, quantitativo, disciplinato, prevedibile e meno interessante? Possibile’’.

Per approfondire queste questioni abbiamo scelto un articolo di Alice Antheaume, docente alla Scuola di giornalismo di Scienze politiche, ed ex giornalista web di Slate.fr, 20minutes.fr, Télérama.(su Twitter @alicanth ).

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L’ impatto della Seo sulla scrittura giornalistica

di Alice Antheaume

Redazione web in Francia:

«Il tuo titolo sulle pensioni non è molto Google friendly»

«Ti basta aggiungere “Sarkozy”, “Domenech”, “meteo” e “Facebook” e il titolo sarà perfettamente Google friendly!»

Questo dialogo non è inventato. Indica l’ impatto sulle pratiche di titolazione dei meccanismi di  indicizzazione di un contenuto giornalistico in Google – e l’ irritazione che, a volte, il fenomeno provoca in alcuni redattori per cui l’ arte di trovare un buon titolo si situa più sul versante del gioco di parole intellettuale che sul posizionamento robotizzato dei contenuti attraverso parole-chiave (i tag).

Questa attività, in inglese, si chiama SEO (Search Engine Optimization). E non riguarda solo i titoli, ma anche i contenuti degli articoli, il modo in cui sono scritti e come vengono ‘passati’ dai redattori.

Se le parole «Sarkozy», «Facebook», «Domenech» e «meteo» sono indicate come dei richiami è perché esse fanno parte delle ricerche più frequenti in Francia, su Google, dall’ inzio del 2010. E perché, quindi, gli articoli che le contengono hanno più possibilità di essere ripescati quando un internauta le cerca su un motore di ricerca.

Prima capire, e poi adattarsi

In alcune redazioni si è fatta strada un po’ alla volta un nuovo mestiere: lo specialista in indicizzazione. Non è un giornalista ma ‘’sa parlare ai motori’’ e può fare in modo che il sito per cui lavora sia bene – o meglio – posizionato nei risultati delle ricerche dei vari Google, Yahoo! e Bing. Cioè: far ‘’risalire’’ il più in alto possibile gli articoli fra i miliardi di pagine web che vengono filtrate ogni giorno.

«Può essere che io sappia parlare ai motori, ma non sono in grado di comandarli», racconta Olivier Lecompte, responsabile dell’ architettura e del Seo di un gruppo editoriale. Perché il modo con cui Google indicizza le pagine è il segreto meglio mantenuto al mondo. Anche se Google ha documentato in una guida per principianti le ‘’pratiche migliori’’ in materia. «Se qualcuno vi dice che conosce il funzionamento degli algoritmi di Google, costui vi prende in giro – annuncia ai suoi studenti Sandeep Junnarkar, professore di giornalismo interattivo alla Scuola di giornalismo della CUNY, a New York -. Tanto che cambiano in continuazione».

Non resta che sperimentare, cercare di capire e saper adattarsi. Un esempio con un articolo che nel titolo fa riferimento all’ Hexagone. ‘’Non va perché Google non può sapere se l’ Hexagone designa la Francia o una forma geometrica’’, commenta Olivier Lecompte, che parla di Google come se fosse una persona (una ricerca sulla parola ‘Stivale’, però, inserisce al secondo posto il riferimento all’ Italia, ndr). ‘’Google parte dal principio che ogni titolo determina quello che c’ è in pagina. E quindi bisogna che esso sia pregnante, altrimenti i redattori si sparano nelle palle’’. Cosa che accade con questo titolo:  ‘’Scandalo a scuola’’, che è male impostato per la SEO. ‘’Quale scandalo? – chiede Lecompte -. Quale scuola? Di dove? Per cosa? Google non lo sa e quindi non saprà mai che tipo di articolo ci sarà sotto’’.

Prima di tutto i contenuti!

E allora, sì, la SEO cambia il modo di scrivere online, ma solo per alcuni campi: il titolo di un contenuto è fondamentale per l’ indicizzazione e il tema dell’ articolo deve essere ripetuto più volte nella pagina. Per esempio se l’ articolo riguarda la SEO, questo termine deve comparire in diverse zone del testo, così come il campo lessicale che ad esso è associato – e quindi devo fare attenzione a distribuire sulla pagine i termini indicizzazione, posizionamento, parole-chiave, ed è fata. Mentre la ‘chiusa’ dell’ articolo, che spesso dà del filo da torcere ai giornalisti, non è importante.

E’ importante che le foto vengano ben ‘taggate’, con delle parole chiave adeguate, perché ‘’la ricerca delle immagini sui motori di ricerca è importante almeno quanto quella dei testi’’, insiste Masha Rigin, del Daily Beast.

Quanto ai link ipertestuali inseriti nell’ articolo, essi, oltre ad apportare un valore giornalistico aggiunto, devono essere sistemati nei posti giusti. ‘’Mettere un link a ‘lei disse’ o a ’leggere il seguito’ oppure ‘altre notizie qui di seguito’ non serve a niente – aggiunge la ottimizzatrice del Daily Beast. Bisogna che l’ internauta capisca, dalle parole su cui è stato inserito il link, in quale pagina finirà se clicca’’. E Olivier Lecompte conferma: ‘’se un redattore cita un Rapporto relativo alla discriminazione sul lavoro, non serve a niente mettere assegnare il link alla parola ‘Rapporto’ senza inglobare anche le parola ‘discriminazione sul lavoro’, perché ci sono milioni di Rapporti sulla Rete’’.

E infine, senza scendere troppo nei dettagli, anche gli indirizzi dei siti, gli Url, devono essere ‘trattati’. E non devono farlo gli sviluppatori o gli specialisti di SEO. In alcune piattaforme di pubblicazione, i redattori possono ‘passare’ oltre ai titoli anche gli Url. Così come fanno per le didascalie delle foto o dei sommari. ‘’I vostri visitatori possono essere intimiditi da un lungo indirizzo Url dal significato criptico (per esempio un Url contenente «content/view/959/130/»), precisa Google nella sua guida alla SEO. E’ preferibile ujsare Url con delle parole che tutti possono capire, come quelle che contengono, ad esempio, «societe/article/2010/10/16/liliane-bettencourt-va-porter-plainte-contre-sa-fille».

Andarci piano

Alcuni si agitano per il fatto che la scrittura possa avere un impatto sul posizionamento. Eppure per la maggior parte dei siti di informazione, il traffico è generato per il 50-70% dai motori di ricerca. ‘’Per riflesso corporativo, si accetta male che se ne vengano fuori gli addetti alla Seo cercando di spiegarci come bisogna scrivere e di scombussolare le nostre priorità editoriali, che sono il cuore del nostro mestiere’’, spiega Christophe Carron, di Prisma, intervistato dal sito Café Référencement. All’ espressione ‘’il contenuto è il re, Seo è l’ imperatore’’, che ‘’suona un po’ come una provocazione, una dichiarazione di guerra’’, il giornalista preferisce aggiungere ‘’il contenuto è il re, Seo è l’ imperatore,il lettore è Dio’’.

‘’Tocca ai giornalisti scegliere – sentenzia Michael Shapiro, professore di giornalismo alla Scuola della Columbia -. Vogliono essere letti da 10 persone? O da 5.000? Non basta mettere gli articoli su Facebook e su Twitter. Per capire meglio l’ audience che li legge, da dove proviene, su che cosa clicca, quanto tempo resta su una pagina, esistono degli strumenti come Google Analytics. Devono sapersene servire’’.

Rispondere alle domande degli internauti

‘’Prima di scrivere, tutti i giornalisti dovrebbero chiedersi che cosa vogliono gli internauti sulla Rete, argomentano spesso i redattori capo. Questo li aiuterebbe a produrre dei servizi che rispondono alle domande dei loro lettori’’. Questo spiega in parte il successo di titoli che cominciano con ‘Come…’, ‘Perché…’. In un precedente articolo su questo blog, avevo già tentato di rispondere a questa domanda: e se i giornalisti scrivessero solo quello che i lettori leggono?

Jeremy Peters, del New York Times, non vuole che i lettori gli impongano le sue scelte editoriali. Sul sito di France 24, del Washington Post, su 20minutes.fr, su Gawker, i dati sui visitatori e i clic degli internauti vengono affissi sui muri in modo che tutta la Redazione possa vederli. Ma non sul New York Times. ‘’Non permettiamo che le cifre ci impongano la nostra missione giornalistica – risponde Bill Keller, redattore capo -. I nostri lettori vengiono per leggere i nostri punti di vista, non quelli delle folle. Non siamo American Idol’’.

Una posizione obsolete? Senza dubbio, perché la SEO non è contraria ai valori del giornalismo. La migliore inchiesta del mondo non serve a niente se nessuno la trova. E nion può leggerla. Al contrario, conta poco che la SEO sia ottima se il contenuto non lo è, dice in sostanza il Nieman Lab. E’ veramente insopportabile fare delle ricerche su Google e trovare tra i risultati delle pagine che non rispondano alla ricerca.

Uno scoop? Ma Google come lo può sapere?

Nella coabitazione fra contenuti e SEO, c’ è un punto che rischia di innervosire ancora per molto tempo i giornalisti: pubblicare una informazione esclusiva e non vederla in prima pagina su Google News. A priori, non c’ è nessuna ragione perché questo debba cambiare. ‘’Il giornalista è indignato, ma Google non ragione così – dice ancora Olivier Lecompte -. Come può mai sapere che quella notizia è inedita? Il motore vede un insieme di parole, non riesce a leggere fra le righe’’.

L’ unica soluzione è che i siti che riprendono questa notizia citino correttamente la fonte originale, linkandola. ‘’Google analizza la fonte della notizia e se vede che molte persone, al tuo esterno, parlano di te, penserà che tu sia importante e ti fa salire nelle prime pagine -, dice ancora Lecompte -. Ma Google non va a dare bacchettate sulle dita a chi ha dimenticato di citarti come fonte’’.

Valorizzare le proprie notizie, anche di fronte alla concorrenza, è una cosa che continua a spettare ai giornalisti.