Raccontare storie altrimenti non raccontabili,
la grande sfida del Data journalism
Il processo di digitalizzazione ha generato una immensa quantità di materiale da scoprire, analizzare, confrontare e processare: esso richiede nuove, complesse competenze professionali ma pone concretamente nuovi piani di interazione fra giornalismo e interessi di cittadinanza, attraverso il movimento per l’ Open Data e la trasparenza degli atti della pubblica amministrazione.
L’ aspetto giornalistico e quello civico si intrecciano ripetutamente nella ricostruzione fatta da ‘’Open Data – Data Journalism: trasparenza e informazione al servizio delle società nell’era digitale’’, di Andrea Fama, il secondo volume della collana “e-book di giornalismoâ€, curata da Lsdi insieme al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e a Simplicissimus, che sarà presentato il 27 ottobre a Roma nella sede della Fnsi e che qui pubblichiamo
Una nuova razza di giornalisti del futuro in grado di leggere anche nei territori della Rete apparentemente irraggiungibili e di cogliere le opportunità di collaborazione con quelle realtà già esistenti in possesso dei saperi  tecnici necessari per sviluppare progetti giornalistici di ampia portata – La situazione e le opportunità in Italia – Mentre le redazioni devono attrezzarsi a questi compiti, le associazioni che si battono per la trasparenza devono rilanciare un movimento maturo, in grado di condizionare il dibattito pubblico e di spingere il parlamento ad adottare nuove norme, sulla scia dei Freedom of Information Act che già esistono in altri paesi.
Raccontare storie altrimenti non raccontabili e portare il più avanti possibile il diritto all’ informazione: è la frontiera dischiusa  dalla progressiva digitalizzazione dei documenti e dei fatti del mondo, proponendo nuovi piani di interazione fra pratiche giornalistiche e interessi della cittadinanza. Data journalism e Open Data, giornalismo basato sui dati e movimenti dei cittadini per la trasparenza e la ‘’liberazione’’ dei dati.
E’ lo scenario che fa lo sfondo a ‘’Open Data – Data Journalism: trasparenza e informazione al servizio delle società nell’era digitale’’, di Andrea Fama, il secondo titolo della collana “e-book di giornalismoâ€, curata da Lsdi insieme al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e a Simplicissimus, casa editrice specializzata in libri elettronici, che sarà presentato il 27 ottobre a Roma alle10,30 presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana.
Nella Rete un immenso archivio di dati
Il processo di digitalizzazione – osserva Fama nel primo capitolo del libro, dedicato alla nascita del Data journalism – ha prodotto un’ incredibile mole di materiale da ricercare, selezionare, processare, analizzare, confrontare e, infine, pubblicare con una veste giornalistica. Tale processo richiede la disponibilità di strumenti e programmi appositi, oltre che le capacità tecnico-matematiche di utilizzarli.
Tuttavia, si tratta di competenze finora difficilmente rintracciabili all’interno delle redazioni (soprattutto quelle tradizionali), che dovranno quindi essere in grado tanto di accogliere le nuove professionalità capaci di tradurre in articoli questo sterminato potenziale giornalistico, quanto di cogliere le opportunità di collaborazione con quelle realtà già esistenti in possesso dell’expertise tecnico necessario a sviluppare un progetto giornalistico redazionale di più ampia portata.
È proprio da queste interazioni – osserva la Ricerca – che potrebbe venir fuori la “nuova razza†di giornalisti del futuro, in grado di padroneggiare i nuovi ferri del mestiere, come ad esempio scrivere correttamente una Freedom of Information Request (ovvero una richiesta di accesso ad informazioni non ordinarie); scandagliare gli angoli più remoti della rete alla ricerca dei database nascosti nel cosiddetto “Web invisibileâ€; programmare uno screen scraper per acquisire, organizzare, filtrare, archiviare, incrociare e raffrontare le informazioni con altre fonti; visualizzare le informazioni in modo chiaro ed accattivante, sfruttando l’infografica come fonte sempre più rilevante di traffico sui siti di notizie.
È difficile dire se giornali e giornalisti, nel loro complesso, siano pronti ad un salto così radicale:  di sicuro numerose start-up e qualche testata di rango hanno già iniziato ad affilare le armi, dotandosi di nuove professionalità .
In ogni caso, Simon Roger, capo redattore del Data Blog del Guardian, si dice convinto che il data journalism incarni l’espressione più avanzata del principio di libertà e accesso all’informazione.
Raccontare storie altrimenti non raccontabili
L’affermarsi del data journalism – rileva Fama – è probabilmente dovuto innanzitutto alla volontà spassionata di raccontare storie altrimenti irraccontabili.
Oggi, un professionista che disponga di strumenti e competenze tecniche adeguati, può individuare un tema, attingere a fonti di dati non trattati, incrociarli e trarne una storia che per qualità , ampiezza e precisione del dato sarebbe stata impensabile fino a poco tempo fa (fatta salva la volontà degli attori coinvolti – istituzioni, enti, organizzazioni, ecc. – di pubblicare i dati in questione, e di pubblicarli in un formato aperto e fruibile). Così, laddove prima non c’era nulla se non aride schematizzazioni numeriche, oggi è possibile rintracciare gli spunti per storie originali, i cui temi di fondo possono essere i più disparati, dal momento che tutto è riconducibile al dato.
Giornalismo dei dati e dimensione civica
Ma c’ è un altro aspetto importante attorno al quale ruota lo sviluppo del data journalism: l’aspetto civico. L’ interesse dei cittadini.
Istituzioni, governi, poteri forti in genere, tendono a nascondere la concretezza dei fatti dietro a una cortina di termini tecnici e/o slogan pirotecnici, lasciando che il vero messaggio passi sopra la testa del cittadino, mentre la realtà sfila sotto al suo naso. È un principio fondante del discorso politico: parlare, esporre, confidare, senza in realtà dire nulla. La trasparenza non è accedere ai discorsi, ma ai dati, grezzi, non manipolati.
E’ una sfida che dura da 250 anni: il principio che determina e disciplina l’accesso ai documenti dello Stato. In Svezia esiste dal 1766 e si chiama Offentlighetsgrundsatsen. Negli Stati Uniti è stato introdotto nel 1966 con il nome più intellegibile di Freedom of Information Act (FOIA), una legge sulla libertà di informazione che “impone alle amministrazioni pubbliche una serie di regole per permettere a chiunque di sapere come opera il Governo federale, comprendendo l’accesso totale o parziale a documenti classificati.
Non è una cosa semplice, anzi.
Il quadro che il libro delinea mostra comunque che:
1. C’è da sperare per un futuro più roseo nel rapporto tra istituzioni e cittadini. Metà della Rete è pacificamente in trincea, attivamente – anche a livello individuale - impegnata nella ricerca di dati istituzionali grezzi e informazioni tali da consentire il costituirsi di un’opinione pubblica costruttivamente critica e sensibile a tematiche che investono i decisori pubblici e la nostra società , plausibilmente muovendo i primi passi di questo accidentato percorso di consapevolezza critica partendo da una dimensione locale, che consente margini di controllo e intervento più immediati e impattanti, anche sul breve termine. L’onda della consapevolezza sta montando tra i netizen e le percentuali rilevate sono auspicabilmente destinate a salire, soprattutto riguardo alle fasce più giovani e digitalmente alfabetizzate.
2. L’Italia è indietro e ci sarà da lavorare. Alcune promettenti iniziative sono già state lanciate, ma l’impressione è che vi sia bisogno di una massiccia campagna di sensibilizzazione, se non di una seduta anti-ipnotica, che investa tanto certa cittadinanza (a tratti ottenebrata e dispersa tra un gruppo su Facebook in difesa dei diritti costituzionali del melograno, ed una delle innumerevoli, ammiccanti photogallery che infestano anche le home page di quelle che sono considerate le testate di punta dell’ informazione italica), quanto gli uomini delle istituzioni (strattonati tra interessi personali e, nel migliore dei casi, genuina ignoranza dei fatti che muovono e regolano la Rete).
È scontato che il giornalismo non può tenersi fuori da simili dinamiche, deve anzi esserne il mezzo trasparente, costruttivo. Ma per fare ciò, deve anche cambiare pelle, tornare alla ‘mission’ originaria (meno ‘marketing’, più fatti), andando così incontro alla domanda di informazione – sana e salutare – che sempre più nettamente emerge dal popolo della Rete.
A tale proposito, è interessante notare il passaggio di parte della cittadinanza attiva del Web da un modello comportamentale incentrato sulla volontà di comunicare sé stessa (con eccessi di egocentrismo, narcisismo, autoreferenzialità in tutte le forme), riassumibile nel concetto “Comment is freeâ€, ad uno caratterizzato dalla volontà e dalla consapevolezza di un Web quale strumento per acquisire conoscenza (diretta, concreta, oggettiva) delle cose e dei fatti del mondo che lo circonda, espresso dal motto “Facts are sacredâ€. È quanto fa osservare Simon Rogers del Guardian, il quale usa come punti di partenza e approdo dell’attuale migrazione dei netizen proprio il nome della sezione dedicata ai commenti del quotidiano inglese e la dichiarazione di intenti che campeggia sull’intestazione del Data Blog: i fatti sono sacri!
Fatti e dati – continua Fama – sono praticamente sinonimi. L’analogia potrebbe interrompersi nell’alchimia che trasforma i dati in storie: se il dato grezzo, infatti, scatta un’istantanea tanto veritiera quanto rudimentale di un determinato stato di cose, la sua contestualizzazione e analisi attraverso le raffinerie di una redazione può rappresentare un importante mezzo di sviluppo socio-culturale. E una volta che il dato grezzo – corredato da analisi, visualizzazioni, link e commenti – viene messo a disposizione della reattività della Rete globale, ecco che imprese, singoli cittadini, associazioni, le stesse istituzioni possono trarne vantaggio nella definizione delle rispettive politiche commerciali, familiari, operative o governative.
Si ripresenta, dunque, la necessità di giornalisti in grado di saper cogliere le storie che i dati hanno da raccontare, e veicolarle. Una nuova razza, come è stata già definita, che si nutre di data set e secerne link.
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L’ appuntamento romano
Questi temi e gli aspetti più politici che essi evocano saranno al centro dell’ incontro in programma giovedì 27 ottobre a Roma, nella sede della Fnsi (Corso Vittorio Emanuele 349, primo piano), a partire dalle 10,30.
L’ obbiettivo è anche fare il punto sul tema degli Open Data e sui problemi che incontrano le associazioni impegnate in Italia sul fronte della trasparenza anche alla luce dei timidi passi in questa direzione che la pubblica amministrazione sta cercando di avviare nel nostro paese.
Dopo la Regione Piemonte (la cui esperienza è analizzata dall’e-book), e la ‘’liberazione’’ del bilancio del Comune di Udine, altre amministrazioni regionali e comunali si dicono pronte al grande salto, tra cui i Comuni di Firenze, Torino, Matera e Roma.
E anche il Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta annuncia l’intenzione di creare un portale che dovrebbe raccogliere i dati del Governo italiano.
Che ruolo potrebbe avere il dato libero quale volano dello sviluppo socio-economico del Paese?
È realistico parlare di FOIA (Freedom of information Act) in un contesto che, al contrario, ammicca alla blindatura dell’ informazione, come quello italiano?
Alla luce di ciò, gli organismi di rappresentanza dei giornalisti come possono concretamente sostenere un movimento Open Data?
Queste le domande al centro dell’ incontro, al quale interverranno:
– Vittorio Alvino: presidente Associazione Open Polis
– Ernesto Belisario: presidente Associazione Datagov.it
– Rita Bernardini: deputata del Partito Radicale e animatrice di campagne per la liberazione dei dati.
-Â Federica Cocco, freelance, ex direttore di Owni.eu
– Andrea Fama: autore della ricerca e collaboratore LSDI
-Raffaele Fiengo: docente di Linguaggio giornalistico all’Università di Padova.
– Roberto Natale: presidente FNSI
– Pino Rea: coordinatore LSDI
– Franco Siddi: segretario generale FNSI
– Elisabetta Tola: giornalista e collaboratrice iData
– Vincenzo Vita: senatore Pd, esperto di comunicazione, Internet e RAI.
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