Proteggere gli atti di giornalismo e non solo i mezzi di informazione
Nella discussione su quale dovrebbe essere l’ oggetto della protezione dell’ attività giornalistica si rafforza negli Usa l’ ipotesi di concentrarla sull’ atto di giornalismo e non tanto sugli ‘’addetti ai mezzi di informazione’’, come sostengono invece le nuove linee della politica del Dipartimento della giustizia* nel campo dell’ informazione, oppure sui giornalisti in quanto tali.
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Alle voci di Mathew Ingram e Jeff Jarvis, di cui avevamo dato conto qui, si aggiunge ora quella di Marcy Wheel, una esperta di giornalismo, che sul suo blog critica l’ impostazione del DOJ Usa.
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La protezione dell’ atto di giornalismo – scrive in un articolo che vi proponiamo qui di seguito –  potrebbe avere diversi vantaggi rispetto all’ ipotesi di una protezione dei ‘’mezzi di informazione” in generale.  In primo luogo, puntando sulla protezione dell’ atto di giornalismo, si includono quei giornalisti indipendenti che sono indiscutibilmente impegnati nel giornalismo (superando la questione dei blogger di cui ho parlato, ma anche di coloro che lavorano in modo indipendente su progetti di libri e potenzialmente – anche se questo sarebbe una questione su cui ci sarebbe ancora molto da discutere – a editori come WikiLeaks), ma nello stesso tempo si escludono quei personaggi dell’ informazione che sono impegnati nel mondo dello spettacolo, della propaganda aziendale o della disinformazione governativa.
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Ma proteggere l’atto di giornalismo piuttosto che i “mezzi di informazione” – aggiunge Wheel – dovrebbe anche servire ad escludere un altro gruppo che dovrebbe avere una protezione limitata. Nella definizione del DOJ infatti sono inclusi non solo i giornalisti che lavorano per i mezzi di informazione, ma anche i manager.
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Why “Members of the News Media†Should Welcome a Shield for the Act of Journalism
di Marcy Wheel
La nuova politica sulla protezione dell’ attività giornalistica che il Dipartimento della giustizia ha avviato sulla scia delle vicende relative alle rivelazioni della AP e a James Rosen (un cronista di Fox News), si riferisce  in maniera esplicita ai “membri dei mezzi di informazione”, non ai giornalisti come tali. La definizione potrebbe consentire l’ esclusione dalla protezione di blogger e scrittori di libri, per non parlare di editori come WikiLeaks.
Mi è stato chiesto quale sia per me una soluzione migliore. La mia risposta è quella di definire – e quindi proteggere – l’ atto di giornalismo, non i mezzi di informazione di per sé.
Questo approccio potrebbe avere diversi vantaggi rispetto all’ ipotesi di una protezione dei ‘’mezzi di informazione”  in generale.  In primo luogo, puntando sulla protezione dell’ atto di giornalismo, si includono quei giornalisti indipendenti che sono indiscutibilmente impegnati nel giornalismo (superando la questione dei blogger di cui ho parlato, ma anche di coloro che lavorano in modo indipendente su progetti di libri e potenzialmente – anche se questo sarebbe una questione su cui ci sarebbe ancora molto da discutere – a editori come WikiLeaks), ma nello stesso tempo si escludono quei personaggi dell’ informazione che sono impegnati nel mondo dello spettacolo, della propaganda aziendale o della disinformazione governativa.
Ma proteggere l’atto di giornalismo piuttosto che i “mezzi di informazione” dovrebbe anche servire ad escludere un altro gruppo che dovrebbe avere una protezione limitata. Nella definizione del DOJ infatti sono inclusi non solo i giornalisti che lavorano per i mezzi di informazione, ma anche i manager.
La definizione “mezzi di informazione” comprende le persone e le strutture che raccolgono, ricostruiscono o pubblicano notizie, sia attraverso i mezzi tradizionali (ad esempio, giornali, radio, riviste, agenzie di stampa) che con  i loro equivalenti sull’ on-line o in wireless. Un “addetto ai media” è una persona che raccoglie, ricostruisce  o pubblica notizie attraverso i mezzi di informazione.
Sono assolutamente d’ accordo che i redattori di AP avrebbero dovuto godere della protezione delle loro conversazioni telefoniche mentre lavoravano alla vicenda di UndieBomb 2.0 dopo la richiesta della Casa Bianca (le registrazioni erano state incluse nel mandato di comparizione), in quanto impegnati in un ruolo giornalistico . Questo avrebbe protetto qualsiasi conversazione fra di loro e le loro fonti o gli esperti nello sfidare le affermazioni del governo circa i danni subiti, per esempio. Ma le comunicazioni di un Tim Russert sotto pressione da parte dello staff del vicepresidente non avrebbero dovuto essere protetti. Né lo dovrebbero essere le conversazioni fra il CEO del Washington Post, Katharine Weymouth, e i grandi finanziatori del giornale, come Pete Peterson,  o potenziali sponsor. Anche se ho il sospetto che al DOJ sembrerebbe un reale beneficio la protezione di questi  cocktail usati come mezzo di pressione sui mezzi di informazione (come fanno, senza dubbio, alcuni dei dirigenti coinvolti), non vedo alcun motivo giornalistico perché ciò avvenga.
Inoltre, in un’ epoca in cui il WaPo è una grande azienda che cavalca sulla groppa del suo versante giornalistico e la NBC rappresenta i contenuti TV di un fornitore di connessioni via cavo, dovremmo davvero tutelare i “mezzi di informazione” senza limiti? (Bloomberg, credo, incarna la questione più affascinante, soprattutto alla luce della sua recente abitudine di spiare gli utenti attraverso i loro terminali:  che senso ha una protezione giornalistica per aziende che forniscono principalmente informazioni privatizzate dall’ inizio alla fine?)
Ma anche nell’ambito delle linee guida appena diffuse, c’ è una ragione per cui gli addetti dei mezzi di informazione dovrebbero favorire la protezione dell’ atto di giornalismo piuttosto che quella determinata dall’appartenenza a mezzi di informazione.
La ragione è che due dei passaggi più importanti delle nuove linee di politica dell’ informazione si riferiscono alle attività di raccolta delle notizie come a un ulteriore elemento della discussione sugli addetti ai mezzi di informazione. La frase equivale ad una dichiarazione di intenti che descrive perché questo problema è importante.
Come questione iniziale, viene sottolineato che è stata e rimane politica del Dipartimento il fatto che gli addetti ai mezzi di informazione non saranno oggetto di azione penale basata esclusivamente sull’ attività di raccolta di notizie. Inoltre, alla luce dell’ importanza del processo di protezione costituzionale della raccolta di notizie, il Dipartimento vede l’ uso di strumenti per raccogliere prove o coinvolgere i mezzi di informazione come una misura straordinaria. La politica del Dipartimento è quella di utilizzare tali strumenti solo come ultima risorsa, dopo che sono state prese tutte le misure investigative alternative ragionevoli, e quando le informazioni richieste sono essenziali per un buon esito delle indagini o del procedimento.
 Questo è un passaggio strano, nel senso che si ammette la protezione costituzionale del “processo di raccolta di notizie”, presumibilmente per tutti, ma poi si suggerisce che le protezioni all’ interno di questa politica si applicano solo agli addetti ai mezzi di informazione (un limite) che non possono essere perseguiti esclusivamente per le loro attività di raccolta delle notizie (seconda limitazione).
Da notare che la parallela limitazione in alcune linee guida relative alla sorveglianza e alle indagini del Dipartimento di Giustizia – secondo cui le persone non possono essere indagate soltanto per le loro attività protette dal primo Emendamento – non ha fornito una protezione adeguata ai musulmani impegnati in attività religiosa o di propaganda.
La Guida indica di nuovo l’  “attività di raccolta di notizie” nel passaggio che descrive la protezione dei mezzi di informazione nell’ ambito del trattamento da parte del Dipartimento di Giustizia del Privacy Protection Act.
 In primo luogo, il Dipartimento modificherà la sua politica riguardante mandati di perquisizione coperti dal PPA relativi agli addetti ai mezzi di informazione per prevedere che i materiali del prodotto di quel lavoro e altri documenti relativi possano rientrare sotto la “suspect exception” della PPA solo quando l’ addetto ai mezzi di informazione sia al centro di un’ indagine penale per un comportamento non connesso alle ordinarie attività di raccolta di notizie. Nel quadro della revisione della sua politica, il Dipartimento non chiederà mandati di perquisizione nell’ ambito della ‘’suspect exception’’ prevista dal PPA, se l’ unico scopo è la ricerca di una persona diversa dagli addetti ai mezzi di informazione.
Limitando le protezioni offerte ai membri dei mezzi di informazione alla “ordinaria attività di raccolta di notizie”, il Dipartimento ha giocato d’azzardo su una delle questioni cruciali alla base del James Rosen affidavit (e, con essa, gli sforzi del Dipartimento di Giustizia di perseguire WikiLeaks). Perché permette ancora al DOJ di decidere, potenzialmente in segreto (anche se, come prevede una parte positiva delle nuove linee guida, con l’ imput del Public Affairs Director e del Privacy and Civil Liberties Officer), ciò che costituisce “ordinaria attività di raccolta di notizie.” E alcune delle cose che i funzionari dell’ FBI hanno deciso era che in quel caso non si trattava di ordinaria attività di raccolta di notizie, ma che Rosen era parte di una cospirazione per commettere spionaggio, comprendono:
- Sollecitare la divulgazione di informazioni di intelligence, inclusi documenti, sulla Corea del Nord
-  Utilizzare (come afferma il rapporto del funzionario FBI) ​​”comunicazioni e-mail segrete come mezzo di compartimentazione delle informazioni”, cosa che include l’ uso di uno pseudonimo e un codice per facilitare la comunicazione non via email
-  Sfruttare una fonte “come un pupazzo” e la sua vanità  (come si evince dalle descrizioni dell’ imputato Stephen Jin-Woo Kim), impiegando l’ adulazione (come scrive un altro funzionario FBI)
- Â Fornire articoli e informazioni a una fonte non utilizzata in una quella inchiesta.
Se ci sono altre protezioni per i mezzi di informazione in queste nuove linee guida (tra cui protezioni da provvedimenti amministrativi non provenienti dalla National Security, controllo su tali metodi di indagine, segnalazione sulle indagini da parte dei mezzi di informazione, e tutto ciò che serve ad aumentare le procedure di semplificazione per i contatti con i mezzi di informazione), questa è una delle più critiche fra le nuove protezioni nell’ ambito di questa nuova politica.
Se il DOJ decide che proteggere le fonti e i metodi, sollecitare informazioni e spolpare le fonti non costituiscono “ordinaria attività di raccolta di notizie,” allora qa che servono queste protezioni?
Il Dipartimento della Giustizia ha annunciato la sua intenzione di rispettare le ordinarie attività di raccolta di notizie e e di riconoscere anche per essa le protezioni costituzionali,  una sorta di protezioni (non vedo l’ ora di assistere a qualche causa legale che nascerà da questa terminologia). Ma fino a quando non c’è una comprensione comune su quando tali attività costituiscono giornalismo e quando invece costituiscono spionaggio, la protezione ha un valore limitato.
Se l’ obbiettivo finale è quello di proteggere l’ attività di raccolta di notizie, allora perché non stabilire quali siano tali attività e poi effettivamente proteggerle, a prescindere dal fatto che esse sono legate a un certo tipo di istituzione?
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* Qui le nuove line del Dipartimento della giustizia Usa (DOJ): http://www.justice.gov/iso/opa/resources/2202013712162851796893.pdf