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Società dell’ informazione?
Cinque sesti dell’ umanità
esclusi dalla conoscenza
I cinque sesti della popolazione mondiale, circa 5,4 miliardi di persone, non hanno accesso alle tecnologie e, con esse, alla conoscenza. La retorica della Società dell’ Informazione – secondo cui la Terra sarebbe immersa in un unico mare magnum mediatico – nasconde una realtà brutale: le impetuose trasformazioni tecnologiche hanno coinvolto solo una parte minoritaria della popolazione della Terra, escludendo di fatto, secondo intensità e livelli differenti, coloro che non vivono nel Mondo Sviluppato e coloro che non fanno parte delle élite economiche globali. E’ il cosiddetto digital divide, a cui è dedicato la tesi che qui presentiamo.
‘’IL DIGITAL DIVIDE - Una nuova frontiera di divisione fra Occidente e resto del mondo. Un antico problema di distribuzione del potere e della ricchezza all’interno della Società Globale’’ è il titolo del lavoro con cui un giovane studente milanese, Alberto Maffioli*, si è laureato in sociologia all’ Università Bicocca col professor Cesare Massarenti.
E’ un lavoro apparentemente lontano dalle problematiche di natura prevalentemente giornalistica di cui in genere si occupa Lsdi. Ma la tesi è particolarmente interessante perché descrive il contesto reale in cui si sviluppa la cosiddetta Società dell’ informazione: lo squilibrio sempre crescente nelle possibilità di accesso alle reti non solo fra le diverse aree del pianeta, ma anche all’ interno delle stesse aree ricche.
‘’A scanso di equivoci – spiega Maffioli - , è innanzitutto necessario chiarire che il digital divide è un processo di esclusione sociale che riguarda tutti i paesi del mondo. Esso si può articolare come processo di esclusione territoriale (digital divide geografico - una modalità che coinvolge i paesi invia di sviluppo, soprattutto quelli più poveri) oppure può attenere ai rapporti di forza fra gruppi sociali (digital divide interno - in questo modo, il gap digitale è presente anche all'interno di paesi sviluppati come Usa, Inghilterra o la stessa Italia).
Il digital divide, quindi, non nasce dal nulla o da una semplice deficienza di tipo tecnico ma si instaura nelle antiche divisioni e separazioni sociali ed economiche, contribuendo ad acuirle e a renderle spesso insostenibili per coloro che ne subiscono gli effetti perversi: esso è sintomo di divisioni e, allo stesso tempo, causa’’.
Maffioli ha utilizzato questo tipo di categorizzazione netta, tra digital divide interno e digital divide geografico, ‘’più per chiarezza d'analisi che non per un reale riscontro all'interno della società globale – spiega l’ autore -. L'articolazione di queste due entità è, infatti, molto più complessa di quanto possa apparire, i punti di sovrapposizione sono molti così come le influenze reciproche ed il legame che intercorre assume spesso le caratteristiche di un paradosso: la diminuzione del livello di digital divide geografico segna spesso l'aumento del digital divide interno di una nazione (fra i gruppi sociali), secondo un rapporto di proporzionalità inversa. Ciò a causa del fatto che, nel momento in cui una tecnologia viene introdotta all'interno di un paese, sono solitamente le élite economiche e culturali ad appropriarsene per prime; quando quella stessa tecnologia diviene alla portata dei gruppi meno privilegiati, è molto probabile che le stesse élite abbiano già preso possesso di una nuova tecnologia più avanzata, mantenendo in questo modo la distanza con le altre classi sociali’’.
La tesi si occupa, poi, di chiarire quali siano nello specifico le situazioni di Sud America, Asia ed Africa. Nelle prime due aree si evidenzia come, generalmente, le classi sociali più abbienti e detentrici del potere economico e politico, utilizzino normalmente le ICT e che lo sviluppo e la diffusione di tali tecnologie proceda gradualmente (e lentamente) verso tutte le classi sociali (solo quelle più povere rimangono ancora del tutto escluse). Osservando, però, maggiormente nello specifico la situazione dei paesi appartenenti a queste aree, è necessario sottolineare come tale diffusione sia caratterizzata da forti squilibri e contraddizioni che divengono ancor più tipici in quei paesi che stanno conoscendo fasi di sviluppo incontrollato (come Cina e India). L'Africa, invece, a differenza delle altre due aree, è l'unico paese dove il digital divide si configura come una vera e propria barriera continentale (Sudafrica a parte): è un intero continente (tranne rare eccezioni) ad essere escluso dall'accesso alle tecnologie che rimane ad appannaggio di ristrette élite spesso rappresentate da occidentali immigrati o presenti sul territorio per motivi di lavoro e interesse.
‘’Chiarita le caratteristiche del digital divide e come esso si presenta all' interno di specifici territori, la prima domanda cui il mio lavoro ha cercato di rispondere – precisa Maffioli - è per quale motivo all'interno di paesi che mancano anche dei generi di sussistenza fondamentali, sia necessario porsi il problema della mancanza di tecnologie della comunicazione e dell'informazione. La risposta a questa domanda ha portato a far chiarezza sul rapporto che intercorre tra tecnologia e sviluppo e di come le ICT potessero essere utilizzate e potessero rispondere alle situazioni contingenti ed alle problematiche specifiche dei paesi in via di sviluppo.
Si conclude, in questo modo, la prima parte della tesi, che attiene in maniera specifica alla problematica del digital divide. La seconda parte, invece, esce da tale specificità, incentrando il ragionamento sul piano politico ed economico internazionale e cercando di capire, all'interno di questo, a causa di quali condizioni viene consolidato il digital divide e con esso aumentato il livello di esclusione sociale su scala globale.
‘’Partendo dal presupposto che le ICT possano essere utili ai paesi in via di sviluppo, il mio intento è stato quello di capire per quale motivo tale utilità ed efficacia non abbia ancora avuto riscontri nella realtà di questi paesi.
L'analisi delle politiche internazionali, costituita da una solida base dati di tipo qualitativo e quantitativo, si è mossa su tre piani differenti: economico, politico e quello della Società Civile. Il contesto politico ed economico internazionale, infatti, si è rivelato il motore principale delle politiche di risoluzione del digital divide e dei divari ad esso connessi. L'analisi di tali politiche e dei pessimi risultati da esse raggiunti mi ha spinto ad evidenziare una sorta di mistificazione del digital divide (Il digital divide: un falso problema?) e ad affermare la necessità di un approccio differente a questa problematica. Un approccio che deve innanzitutto partire dal presupposto che le tecnologie sono un aiuto, un tool allo sviluppo (e non la soluzione), che il problema non è la mancanza di tecnologie in sé stessa ma la necessità di una vita dignitosa per i popoli del Sud del mondo e che le ragioni del digital divide (e degli altri divari) vadano innanzitutto ricercate nelle policy e nelle dottrine che dominano la politica e soprattutto l'economia globale.
Il riconoscimento di tale realtà ha, in questo modo, influenzato la scelta degli strumenti sia di tipo tecnico (software, infrastrutture ecc.), sia di tipo politico (finanziamento, governance ecc.), di cui penso bisognerebbe farsi promotori’’.
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*Alberto Maffioli ([email protected]) ha 24 anni. Vive e studia a Milano.
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