<%@LANGUAGE="VBSCRIPT"%> <% Dim Repeat1__numRows Dim Repeat1__index Repeat1__numRows = 8 Repeat1__index = 0 Recordset1_numRows = Recordset1_numRows + Repeat1__numRows %> LSDI: Dossier
home pagechi siamocerca
Uomini e fatti
Mediacritica
Censura
gIORNALI & pERIODICI
rADIO & tV
Televisione
iNTERNET
fOTOGIORNALISMO
Giornalisti e Giornalismi
bLOG
dICONO dI nOI
pubblicità
documentazione
Formazione
Deontologia & Leggi
Libri

appuntamenti


dossier
SEZIONE
AGGIORNATA

Dossier Tv: l'anomalia italiana

Dossier free-lance
L'altra metà delle redazioni

Dossier Venezuela


Siti utili
Edicole nel mondo

Italia

Internazionali

Stati Uniti

Federazione Nazionale Stampa Italiana

Dossier:

SALVARE IL GIORNALISMO NELL' ERA DIGITALE
UN’ ANALISI DI NEW YORK TIMES E WASHINGTON POST

Washington PostLa carta stampata sta perdendo la credibilità che aveva un tempo. I lettori non hanno la stessa fiducia che affidavano ai giornalisti in passato.

Parte da questo assunto la tesi che Matteo Bosco Bortolaso ha dedicato a un’ analisi di due grandi giornali statunitensi - New York Times e Washington Post - alla ricerca di elementi che – spiega il titolo – possa ‘’salvare il giornalismo nell’ era digitale’’.

 La tesi, discussa a Padova col professor Raffaele Fiengo, ‘’vuole essere un piccolo contributo per tutti coloro che lavorano nel campo dell’ informazione, specialmente nel settore della carta stampata’’, osserva l’ autore che, attraverso l’ esame approfondito dei due famosi quotidiani cerca di individuare ‘’gli elementi di eccellenza che rafforzano la credibilità di un giornale’’.

Se negli ultimi 20 anni si è registrato un costante calo di vendite dei quotidiani, sia in Italia che negli Usa, ciò non è dovuto – come sostiene qualcuno - all’ affacciarsi di nuovi mezzi di comunicazione, Internet e di tutte le forme derivate da questo (giornale on-line, mailing list, forum, blog). La responsabilità invece è da cercare tra chi i giornali li organizza e li scrive. L’ era digitale, anzi,  non rappresenta una minaccia, ma un’ opportunità. Il problema è, appunto, la ‘’perdita di credibilità’’.

Volendo individuare una frattura tra un prima e un dopo – sostiene la tesi -, possiamo farlo in maniera simbolica indicando la prima guerra del Golfo. Nei conflitti armati il potere cerca di avere il monopolio delle informazioni, che spesso tiene segrete oppure manipola. Durante la guerra del Vietnam, il reporter aveva molta più libertà di movimento. Nel 1991, in Iraq, la visibilità della guerra era molto ridotta: le corrispondenze di Peter Arnett sulla Cnn e le videocassette dei militari Usa erano le piccole finestre dalle quali affacciarsi per cercare di capire cosa accadeva. I giornalisti, in linea teorica osservatori indipendenti, non ebbero modo di raccontare quel che stava succedendo in Medio Oriente. E se si pensa ai conflitti successivi, dai Balcani al Rwanda, dall’America post 11 settembre all’Afghanistan, e nuovamente all’Iraq, è difficile parlare di un giornalismo che riesce a informare i cittadini in maniera puntuale e trasparente.

Ma al di là dei conflitti armati e della guerra del Golfo, presa simbolicamente come evento inaugurale della “crisi dei quotidiani”, ci sono altre cause che hanno allontanato i lettori dai giornalisti. Il legame che si instaura tra chi acquista un giornale e chi lo scrive è di tipo fiduciario. Chi legge pone una certa fiducia in chi scrive. Ma se i giornalisti abusano di questa fiducia, con un lavoro negligente e poco interessato ai propri lettori, questi si allontaneranno dalla testata. E’ un processo lento, non misurabile nel breve periodo, che porta ad acquistare un quotidiano diverso o magari ad utilizzare un altro mezzo di comunicazione per informarsi. Quest’ultimo caso, grazie alle possibilità offerte da Internet, è in forte crescita, anche perché la rete permette a chiunque di diventare “autore” e “editore” di se stesso, abbattendo il costo di pubblicazione dei contenuti.

Questo lavoro – spiega ancora l’ autore - vuole suggerire qualche idea per recuperare la fiducia perduta, per riallacciare il legame tra lettore e giornalista. Come raggiungere questo obiettivo? Siamo andati a cercare dei modelli, dei riferimenti al di là dell’Atlantico. Alcuni episodi del giornalismo americano possono essere una buona guida. Allo stesso modo, può essere utile analizzare le scelte di due quotidiani considerati tra i più autorevoli a livello mondiale, New York Times e Washington Post, appunto.

- - - - - - - - - - -

Matteo Bosco Bortolaso, 21 anni, padovano, è giornalista pubblicista. Da tre anni scrive su il mattino di Padova, la Nuova di Venezia e Mestre, la tribuna di Treviso, testate del gruppo Espresso-La Repubblica in Veneto. Ha passato tre mesi di stage al Corriere della Sera, nelle redazioni Lombardia e Grandi cronache. E’ tra i fondatori dei “Giornalisti d’asfalto”, gruppo di video-reporter di strada che trasmette servizi televisivi nel Nordest (i lavori si possono vedere sul sito http://www.giornalistidasfalto.it).

****

La tesi – in pdf – è scaricabile qui.