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Attentato alle Twin towersIl terrorismo come strategia
di comunicazione di massa

Una tesi di laurea su ‘’Terrorismo mediatico ed etica della comunicazione’’ -  “Di fronte al terrore, coscienza, correttezza e responsabilità le doti del buon giornalista”

Il terrorismo contemporaneo può essere visto anche come una strategia di comunicazione di massa e quindi, in tempo di terrorismo, è bene che il giornalista sia cosciente del ruolo di megafono che può svolgere e  si affidi innanzitutto alla propria coscienza, tenga bene a mente il concetto di persona e i valori umani e compia un sistematico esercizio delle virtù operando con correttezza e responsabilità.

È questa la conclusione a cui giunge Giovanni Tridente nella sua Tesi intitolata “Terrorismo mediatico ed etica della comunicazione. Fino a che punto il giornalista deve prestare voce a chi fomenta l’odio”, con cui si è laureato nel febbraio scorso alla Facoltà di Comunicazione sociale dell’ Università Pontificia  della Santa Croce, a Roma, col professor Norberto Gonzalez Gaitano, che qui presentiamo.
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“Un'etica della comunicazione si può fondare soltanto sul concetto di persona e sui valori umani. E qualsiasi attività informativa deve fare proprio l’esercizio della correttezza e della responsabilità, soprattutto in tempo di terrorismo”, scrive l’autore. “Correttezza e responsabilità sono due pilastri professionali che trovano la loro ragion d’essere nell’esercizio delle virtù e il loro punto di riferimento nella coscienza personale di ciascuno”.

La tesi – che è in via di pubblicazione presso la Casa Editrice EDUSC di Roma -  ha avuto come obiettivo iniziale quello di ricercare e classificare, alla luce dei tragici eventi che stanno scuotendo l’umanità dall’11 settembre del 2001 in poi, gli elementi di novità nel panorama del rapporto – storicamente sempre più problematico - tra giornalismo e terrorismo, e più in generale tra comunicazione e terrore.

Prendendo spunto tra l’ altro  da una citazione degli studiosi Schmid e de Graff - secondo i quali “La visione che abbiamo del terrorismo può essere capita come una strategia comunicativa violenta.
C'è un emittente, il terrorista, un messaggio generato, la vittima, e il ricettore, il nemico e/o il pubblico. La natura dell'atto terroristico, la sua atrocità, la sua locazione e l'identità delle vittime fungono da generatori della potenza del messaggio. La violenza, per diventare terroristica, richiede dei testimoni”
– l’autore si è sforzato di capire da quale momento in poi il giornalista e qualsiasi operatore della comunicazione fa da megafono a chi ha come proprio principale obbiettivo fomentare l’odio.

E, di converso, attraverso l’analisi di numerosi interventi di opinionisti comparsi su pubblicazioni specializzate e sulla stampa, comprendere a che punto chi fa informazione deve accorgersi di essere diventato strumento e tagliare ogni canale di propaganda a chi si nasconde e utilizza metodi illeciti.

La visione del terrorismo contemporaneo che emerge da questo lavoro, spiega Tridente, può essere intesa, dunque e a ragione, esattamente come strategia di comunicazione di massa: compio un’azione, più o meno spettacolare, più o meno carica di conseguenze, per ottenere l'attenzione dell'opinione pubblica grazie alla mediazione degli organi di informazione.
           
L’indagine ha dunque condotto a fornire una definizione propria di “terrorismo”, vale a dire che cosa costituisce il terrorismo come tale. A mettere in evidenza come di fatto l’intera popolazione mondiale sia divenuta una platea di testimoni oculari  e che per questo motivo spesso l’azione criminale dei terroristi mira a suscitare reazioni in tale pubblico: instillare senso di minaccia ed insicurezza nei cittadini, sollevare e spingere all’ostilità.

A questo punto si è rivelato necessario fornire un esame delle conseguenze legate alla diffusione delle ‘minacce’ e cercare di individuare la risposta professionale a cui sono chiamati in questo contesto tutti gli operatori dell’informazione.

In estrema sintesi, secondo Tridente, senza una chiara concezione della persona e dei valori umani non può darsi una comunicazione cosiddetta etica. Al tempo stesso, l’umanità esige, oggi più che mai, un’attività informativa fondata sulla correttezza e sulla responsabilità, due pilastri che trovano la loro ragion d’essere nell’esercizio delle virtù e il loro punto di riferimento nella coscienza personale di ciascuno.

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*Giovanni Tridente ([email protected] ) ha 23 anni, è di origine casertana e vive a Roma. E’ giornalista pubblicista dal 2002. Collabora con Avvenire, Ansa e Zenit
E’ docente assistente di Etica informativa e legislazione di stampa e sta seguendo un corso di dottorato in Comunicazione sociale istituzionale.
E’ autore di un romanzo storico sugli intrecci tra politica e camorra.