Il giornalista perfetto è colui il quale “servirà  la società  meglio dei funzionari pubblici più zelanti, perchè non farà  gli interessi dello Stato ma del cittadino: informandolo infatti gli conferisce potere”. E’ una frase di David Randall, tratta dal suo libro “Il giornalista quasi perfetto” (Editori Laterza, pp. 338, 12 euro) in uscita in libreria. Randall è caporedattore a Londra dell’Indipendent e ha collaborato con giornali inglesi, americani, africani e russi, mentre in Italia scrive per il periodico l’Internazionale.
Un libro interessante per chi non è giornalista, perchè spiega che cosa bisogna fare per diventare un buon cronista, partendo dai principi ispiratori della nostra professione, quelli che troppo spesso gli editori, ma anche molti di noi, dimenticano. Per questo motivo il libro è interessante anche per chi il mestiere lo pratica già da tempo, o per chi vi si è affacciato da poco. Un professionista di lungo corso, leggendo queste pagine, potrà pensare che sono un condensato di consigli, storie, principi arcinoti e digeriti da tempo. Però vi sono periodi come l’attuale in cui bisognerebbe ripetere ogni giorno fino alla noia, e ai quattro venti, queste ‘banalità ‘.
Randall, ad esempio, racconta come Derek Lambert fu assunto al Daily Mirror: mentre era in prova si comportò da vero cronista e diede un ‘buco’ clamoroso alla concorrenza scoprendo che un polacco era stato ucciso due volte, prima investito da un’auto e poi accoltellato. Come aveva fatto? Semplicemente era stato determinato, ossia non si era accontentato di quel che aveva visto appena arrivato sul luogo del delitto, ma si era fermato a lungo, era andato al distretto di polizia, non si era accontentato di quel che gli avevano detto i funzionari, aveva seguito due investigatori che tornavano sulla scena del crimine e aveva ascoltato una conversazione che spiegava molte cose. Si era, insomma, recato presto sul posto, si era fermato a lungo, e se n’era andato per ultimo.
Tutte cose che oggi nei giornali – ad ascoltare moltissimi capiservizio, capiredattori, vicedirettori, direttori – non si dovrebbero nemmeno tentare, perchè quel che conta è fare in fretta, risparmiare tempo e quindi denaro, lavorare al desk, che poi significa stare col sedere incollato alla sedia dell’ufficio, scrivere quattro acche, accontentandosi delle veline che ti passano i vari uffici stampa ormai anche polizia e carabinieri hanno i loro ‘portavoce’ mortiferi per la nostra professione, – non fare troppe domande che altrimenti si rischia di prendere querele o comunque dar fastidio a qualcuno, dedicarsi al lavoro che fino a pochi anni fa era svolto dai tipografi: così gli editori risparmiano montagne di soldi perchè, con un solo giornalista, ottengono il lavoro di più giornalisti e di una decina di tipografi assieme, confezionano un’informazione addomesticata, tranquilla, senza unghie nè denti, di contorno alla pubblicità . E addio alla libera informazione, ma addio pure all’interesse dei lettori che ormai, quando prendono in mano un giornale, rischiano di slogarsi una mascella dagli sbadigli che fanno.
I consigli di Randall sono ‘banalità ‘ che tutti abbiamo, o dovremmo avere, nel Dna, ma fanno tanto bene al morale, e sono un utilissimo ripasso.
Per chi, invece, giornalista non è, costituiscono un ottimo manuale per capire che cosa un lettore deve pretendere da un quotidiano o da qualsiasi altro mezzo d’informazione; e sarebbe pure utilissimo nelle scuole di giornalismo dove a volte capita che si insegni proprio a incollare nel miglior modo possibile il sedere ad una qualsiasi sedia.
(e. t.)