“L’invasione delle edicole”, ossia metti un libro in mezzo al giornale: capolavori mondiali, pur se datati, o mezze cartucce della letteratura, spacciati alla stregua d’una raccolta di orologi finti o di figurine, di un film in cassetta o di un pareo da spiaggia. Molto più appaganti e istruttivi se uno li legge, oppure oggetti d’arredamento per riempire un metro di libreria, o infine utili zeppe per i tavoli sciancati se non si sa proprio che farsene. Gli editori li propinano avendo individuato in questi parallelepipedi di carta e cartone un modo per rimpinguare i bilanci delle testate, dissanguati dalla concorrenza spietata delle Tv che – ora grazie anche alla legge Gasparri – drenano la maggior parte delle risorse pubblicitarie. La colpa non è solo del tradimento della pubblicità  perchè, sia chiaro, l’Italia da sempre è uno dei paesi europei dove si leggono meno quotidiani, ma anche gli editori ci mettono del proprio per peggiorare la situazione, e noi giornalisti non siamo certo degli eroi senza macchia e, soprattutto, senza paura; e non brilliamo per coraggio e fantasia per uscire da una crisi di lettori che ha origini, ormai, antiche.
Si può dire che i giornalisti non sono autonomi, nemmeno i free-lance, perchè la proprietà  delle testate e quindi la loro conduzione è comunque in mano agli editori, ma è una giustificazione ridicola.
Premesso questo – per non fare la solita figura dei principessini sul pisello ignari che il mondo in cui lavorano sta subendo una trasformazione, meglio uno sconvolgimento, degna dell’avvento della prima era industriale con tutto il suo bagaglio di innovazioni fantasmagoriche e di spietato sfruttamento in serie del lavoro umano – si tratta di farsi un’idea di che cosa significa vendere libri in edicola abbinati ai quotidiani: sia per la salute dei quotidiani sia per quella dei libri e dei potenziali lettori.
Un buon modo per avvicinarsi all’argomento può essere quello di leggersi la tesina che hanno prodotto due studenti del corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università  di Padova: Andrea Cortese e Giacomo Marabese, seguendo le lezioni su ‘Teoria e tecnica del linguaggio giornalistico’ tenute da Raffele Fiengo, hanno approfondito l’esperienza che Repubblica e il Corriere della Sera hanno intrapreso a partire dal gennaio del 2002. Il loro lavoro è condensato in una trentina di pagine e s’intitola “L’invasione delle edicole: come un’iniziativa editoriale è diventata fenomeno nazionale” – scaricabile integralmente attraverso il link al fondo di questa pagina -. I due studenti partono da gennaio 2002 quando Repubblica regalò “Il nome della rosa” di Umberto Eco, il primo libro di una lunghissima e fortunata collana a pagamento; proseguono con l’analoga iniziativa del Corriere della Sera e via via con l’analisi del fenomeno che nel giro di un anno si è diffuso a macchia d’olio coinvolgendo, alla fine, anche le testate locali. I numeri danno apparentemente ragione agli editori, perchè il milione di copie de “Il nome della rosa” è bruciato in edicola la prima mattina, e in genere, con i libri, aumenta la tiratura dei giornali che li distribuiscono, almeno nei giorni d’uscita. Ma gli stessi autori della tesina, alla fine, sostengono che se, da un lato, il fenomeno libri a pagamento ha permesso di pareggiare i bilanci tramite rilevanti ricavi, è altrettanto vero che l’analisi condotta porta a ritenere che tutte queste iniziative abbiano ‘aiutato’ il giornale quotidiano ad affrontare questo periodo di crisi, ma non abbiamo provocato l’aumento del numero di lettori. Inoltre è ancora tutto da dimostrare che, a partire dal 2002, ci siano in giro più lettori di libri.
“Il prodotto giornale può uscire dalla crisi di cui soffre solo migliorandosi come prodotto per aumentare il numero di lettori fidelizzati”, concludono i due autori con un acume che dovrebbe essere patrimonio comune dei nostri editori e di noi stessi.
L’introduzione è lasciata alle parole di Alberto Papuzzi tratte da “Professione giornalista”, ove si spiega che la crisi della stampa italiana, sotto il profilo della perdita di copie, parte dal 1993, colpa di vari fattori, ma anche perchè “si è smarrita l’identità  del giornale quotidiano, fatalmente compresso tra nuove tecnologie”.
Cosa fa la carta stampata per uscire dalla crisi? “Sta cercando un sistema di comunicazione delle informazioni diverso da quello tradizionale tenendo presente che l’importante è l’informazione ma anche il modo in cui la si presenta: tale concezione si deve in particolare all”influenza della televisione” scrivono ancora Andrea e Giacomo.
Prime pagine sempre più accattivanti, titoli che sembrano spot, pagine della cultura che danno sempre più spazio a commenti, storie, retroscena di quel che appare in Tv e, soprattutto, l’uso sempre più massiccio di fotografie perchè attirano l’attenzione del lettore e perchè lo stesso lettore ha sempre meno tempo e meno voglia di sorbirsi lunghi pistolotti: scorre i titoli, si sofferma al massimo su una o due notizie di un quotidiano – lo dicono i sondaggi – e ringrazia se c’è una bella foto che porta via spazio alle colonne di testo.
Il problema è che – dalla presa d’atto che la televisione è presente in pianta stabile nelle case di tutti gli italiani, e quindi i giornali se ne devono occupare perchè è ormai un’espressione della nostra società  – si è passati a scimmiottare la televisione; e la battaglia, è facile capirlo, è persa in partenza, allo stesso modo che la battaglia di Internet contro la carta stampata è persa in partenza se si limita a riportare nel video del computer i testi e le foto dei giornali: se uno ha per le mani l’originale e gli si propone o propina una copia, sceglierà  sempre l’originale.
Chi ha una ricetta infallibile per aumentare il numero dei lettori di quotidiani si faccia avanti. Nel frattempo, però, non sarebbe male interrogarsi sul fenomeno, magari assieme, editori e giornalisti. Gli editori, invece, vanno avanti per la loro strada, inventata con l’ausilio di esperti di marketing, di altrettanto esperti di “marketting”, o semplicemente copiando con minime variazioni quel che fanno gli altri (nel caso dei libri, ad esempio, c’è chi ha puntato sui classici dell’Ottocento, chi sui grandi del Novecento, chi sugli scrittori regionali e via di seguito con le originalità , ma il ‘sugo’ è sempre lo stesso).
I giornali, così, sono diventati una marmellata indistinta di pubblicità  , notizie, marchette, quasi tutti uguali tra loro, con la stessa scansione, tanto che basta leggerne uno e – se apporti le modifiche ideologiche e partitiche del caso – sai già  cosa c’è negli altri. Incappare in una pagina con una notizia interessante o, meglio ancora, in un approfondimento o, uso una parolaccia, un’inchiesta è sempre più difficile, ma quando si trovano sono le uniche che vale la pena di leggere. Il resto è tutto deja vu in televisione, o già  sentito alla radio, e le fotografie che accompagnano i pezzi sono più belle se viste in Tv. Non è che qualità  dell’informazione debba significare per forza articoli più lunghi e meno fotografie, ma se l’argomento lo richiede bisogna dargli lo spazio necessario, senza paura di perdere lettori, che tanto si perdono lo stesso. La ‘marmellata’ addormenta le coscienze, quelle poche che ancora leggono giornali, l’originalità  le risveglia, le costringe a confrontarsi con quel che hanno davanti, magari le porta a rifiutare in blocco quel che trovano scritto perchè contrario alle loro idee, ma non le lascerà  indifferenti. Paradossalmente addormentare i lettori, nel nome d’un mondo più omologato e quindi facile da convincere a comprare qualsiasi cosa, si sta trasformando in un boomerang per i giornali, mentre ancora funziona per le Tv.
“In aggiunta, questo proliferare d’iniziative porta alla saturazione del mercato degli allegati cartacei, fino al punto in cui non vi saranno più promozioni editoriali possibili e il problema del basso numero di lettori abituali si ripresenterà  in tutta la sua consistenza”. Questo, tornando alla tesina sui libri allegati ai giornali, scrivono i due studenti di Raffaele Fiengo.
Dedicare intere pagine, zeppe di commenti e critiche firmate da personaggi di altissimo livello culturale, solo per promuovere un libro è un obbrobrio, un’offesa alla cultura. Non vale fare paragoni con i tempi antichi, quando l’Arte e gli artisti vivevano solo grazie ai mecenati, ed è avvilente ascoltare chi sostiene come sia pur sempre un modo per avvicinare più lettori ai giornali (è falso, lo dimostrano i numeri) o addirittura ai libri. Meglio la sincerità  : promuovere un classico – che lo stesso editore del giornale ha appena ristampato – significa semplicemente fare un’operazione commerciale e aggiungere marmellata alla marmellata; e in questa ottica i pezzi degli intellettuali sono solo marchette di alto livello, ma sempre marchette.
Elisio Trevisan
Sulle pagine culturali dei quotidiani e l’ agonia della Terza pagina, un libro di Angelo Lorenzo Crespi, “Contro la Terza pagina”, nella recensione che ne ha fatto l’ Ansa.
Inchiesta, pubblicata da “Il manifesto”, dedicata a questo argomento