Vita (ds): un altro fallimento della Legge Gasparri
Duecentoventi milioni di euro gettati – più o meno – al vento. EÂ’ la cifra spesa in questi anni per finanziare lÂ’ acquisto dei decoder della Tv digitale terrestre, secondo ‘Punto informaticoÂ’ (qui), in vista di uno switch-off che doveva scattare nel 2006 ma che il governo – stravolgendo radicalmente la propria strategia nel settore – ha già rinviato al 2008.
Si tratta di risorse che, sempre secondo ‘PI’, sarebbero state sottratte all’ allargamento della copertura della broadband (la banda larga) per essere impiegate in un progetto dalle prospettive molto incerte.
E di ‘’fallimento delle politiche centrate sulla Legge Gasparri’’ parla l’ ex sottosegretario ds alle comunicazioni Vincenzo Vita.
”Il mero rinvio dal 2006 al 2008 della definitiva conversione delle trasmissioni televisive alla tecnologia digitale e’ un’assurdita’ e mette in luce il fallimento delle politiche sulla comunicazione centrate sulla legge Gasparri. Non rappresenta certo una soluzione ad un problema che, ovviamente, si può porre, ma in ben altri modi”. E’ l’opinione di Vincenzo Vita (Ds).
”Per affrontare seriamente la questione dello sviluppo delle nuove tecnologie e’ necessaria l’istituzione di un tavolo di
concertazione nazionale – argomenta Vita in una nota – che metta insieme governo, Parlamento, autonomie locali, emittenti, associazioni dei consumatori, forze produttive e sindacali, con lÂ’ obiettivo di ridisegnare radicalmente la via italiana al digitale terrestre”(ansa).
Un giudizio fortemente critico sul taglio con cui il governo – nell’ ambito della Gasparri – aveva lanciato il digitale terreste era stato espresso da Marco Mele in un suo articolo per il Dossier su ‘’Tv, l’ anomalia italiana’’ pubblicato da lsdi (qui).
‘’Il digitale terrestre – secondo Mele (qui) – avrebbe potuto rappresentare la svolta per razionalizzare lÂ’uso dellÂ’etere terrestre e liberalizzare il mercato, aprendolo a nuovi soggetti, siano essi operatori di rete, fornitori di contenuti o fornitori di servizi. A condizione che si desse ai nuovi soggetti la possibilità di entrare sul mercato con delle chance di competere rispetto agli incumbent. Quindi, con regole asimmetriche che favoriscano le new entry rispetto ai duopolisti. E, allo stesso tempo, impediscano unÂ’ulteriore concentrazione con lÂ’acquisto di ulteriori frequenze-impianti da parte dei maggiori operatori, in aggiunta a quelle che già controllano.
LÂ’obiezione che, una volta arrivati allo switch-off, Rai e Mediaset dovranno restituire le frequenze in eccesso, nulla
toglie al fatto che i due principali operatori gestiranno uno cinque e l’altro quattro multiplex, al 60% con propri canali e al 40% con canali di soggetti scelti dagli stessi incumbent. In più, due canali di Mediaset sono ospitati nel multiplex D-Free (Tarak Ben Ammar e TF1).
Secondo gran parte delle ricerche e delle analisi sui media, in tutto il mondo, dove vi è abbondanza di risorse distributive, non più di circa quaranta canali, riceve le risorse necessarie acoprire i costi. Questo insieme di canali sarebbero già quasi interamente occupati da quelli di Rai e Mediaset e da soggetti da loro scelti.
Nella legge Gasparri non vi è un limite antitrust per gli operatori di rete ma solo per i programmi (il 20% con i propri canali.
Data la particolarità italiana appare, quindi, più che difficile lasciare immutato l’assetto della tv analogica e puntare
“solo” sul digitale per aprire il mercato. Bisogna liberalizzare entrambi. Tanto è vero che, oggi, si sta riproducendo nella
sperimentazione del digitale lo stesso assetto dellÂ’analogico.
Anzi, con il digitale terrestre imposto da Governo e Mediaset, in un modello di assoluta continuità con l’assetto analogico, si rafforzano i poteri forti del sistema televisivo e telefonico’’.
Secondo Punto Informatico
‘’A dare il colpo di grazia al DTT e a spingere il Governo a rimandare alla fine del 2008 lo switch-off – spiega Saverio Manfredini (qui) – non sono state le sfuriate di Renato Soru, le accuse di ignobili giochini sui decoder o le polemiche sui diritti del calcio e i reali interessi dietro all’operazione DTT. No, a colpire ed affondare il DTT all’italiana sono stati innanzitutto il prevedibile, e previsto, sviluppo tecnologico, poi la tiepida accoglienza da parte del pubblico e infine la scarsa dinamicità degli amministratori pubblici, persino di quelli che da lungo tempo riempiono ossessivamente bocche e convegni di paroloni come t-government, il “governo televisivo”.
Come da anni ammonivano gli esperti delle cose della rete, c’è la televisione su IP che corre, quella IPTV di cui da tempo parla Punto Informatico e che oggi Telecom Italia –
(qui) – lancia in grande stile; c’è appunto la banda larga, quel veicolo di sviluppo sul quale il Governo ha deciso di investire meno, un terzo per la precisione, rispetto a quanto ha investito nel DTT, e che oggi chiede il conto: lega sempre di più al computer e ad internet il concetto stesso di contenuto multimediale ed interattivo, lontano dalla televisione tradizionale almeno quanto lontano dal DTTÂ’Â’.
Secondo una ricerca di Screen Digest, il settore, fin qui sottovalutato da molti analisti, entro il 2009 disporrà di 8,7 milioni di utenti europei, con una share nell’intero mercato – che comprende il via cavo e satellitare – del 9,4%. Gli esperti di Screen Digest – rileva sempre ‘Punto informaticoÂ’ (qui) – parlano di almeno 9 milioni di nuovi utenti nei prossimi quattro anni. Rispetto allo stesso periodo del 2004, il numero è cresciuto del 66%. A differenza della TV via cavo diffusa negli Stati Uniti, dove la competizione tra grandi e piccoli operatori è agguerrita, il mercato della TV via Internet europeo sarà tutto nelle mani dei giganti delle telecomunicazioni: ISP e compagnie telefoniche da tempo presenti sulla scenaÂ’Â’.
Massimo Mantellini, un esperto di informatica parla di Ddt (lÂ’ insetticida) sul Dtt. E commenta:
‘’Il digitale terrestre, l’unico parto tecnologico di questo governo delle 3I, e’ una tale figata che verra posticipato di due anni. Poi dicono che l’UE non serve a nulla. Non c’e’ niente di piu’ efficace della “concertazione europea” per giustificare l’oblio delle proprie scelte a capocchia fatte coi soldi del contribuenteÂ’Â’.