Il mezzo (bellim)busto e il giornalismo dei ringraziamenti
Un aspirante giornalista sotto shock alla presentazione di un libro di un anchorman televisivo
di Peter Pan 1981
Peter Pan è un ragazzo di 23 anni che vuole fare il giornalista. O, perlomeno, tutte le volte che i suoi compagni di università  , a Roma, gli chiedono cosa voglia fare dopo la laurea, risponde così.
Quando dà  tale risposta, non è tanto la faccia stupita dei suoi interlocutori a metterlo a disagio; dopotutto lui frequenta giurisprudenza e la risposta più usuale sarebbe stata avvocato o giudice. Ciò che più gli crea un senso di disagio profondo è invece il dubbio se creda veramente in questo proposito.
Pur vivendo nell’ isola che non c’è della sua giovinezza, infatti, Peter è consapevole che affermare di voler fare il giornalista oggi in Italia, è un pò come dire di voler fare l’assistente di Babbo Natale o altre professioni inesistenti. Egli sa bene, infatti, che oggi entri in un giornale solo se hai qualche parente in redazione o qualche spinta dall’alto: il nostro, infatti, è un giornalismo che non vive solo di articoli, fondi, editoriali ed elzeviri. Nel nostro sistema editoriale va aggiunta un’altra tipologia di scritto, fondamentale per le nostre testate: la raccomandazione. Peter, a riguardo, ha come esempio l’esperienza di una sua amica munita solo di forza di volontà  e non di appoggi. La ragazza da circa sette anni sta tentando di farsi assumere da un giornale e, durante questi anni, è stata sfruttata a piacimento per piccole cose di cronaca locale, senza mai vedere lo straccio di un contratto.
E’ per questo ed altri esempi che Peter ha lo sguardo sempre un pò pensoso quando risponde: voglio fare il giornalista. Sa già che probabilmente quando uscirà  dalla sua Università  , finirà  a fare altro e che il giornalismo rimarrà  un ‘hobby’: quel termine orribile con cui cinquantenni, di solito, indicano i bonsai o i modellini di aerei della seconda guerra mondiale. Nonostante questo, però, il giovane continua, oltre ai suoi studi di legge, a scrivere e a documentarsi sul mondo del giornalismo.
Un esempio: nella facoltà accanto alla sua, Scienze politiche, si tiene (qualche giorno fa) un convegno sulla informazione politica. Vi partecipano quattro illustri professori e un giornalista che lavora in Rai. E’ un cosiddetto mezzobusto, cioè uno di quelli che conduce il telegiornale. Eppure Peter preferisce chiamarlo il mezzo bellimbusto. Perchènon solo è uno fisicamente piacente, ma è soprattutto uno che tende a voler piacere. Uno un pò vanitoso e sempre col sorriso d’ordinanza. Uno che ultimamente non sorride solo più in televisione, ma anche dagli scaffali di una libreria; dato che, sulla copertina del libro che è venuto a presentare, campeggia la sua espressione vanitosa, lievemente arrogante. Inutile dirvi, dunque, che Peter è un pò indispettito dalla sua presenza.
Il mezzo bellimbusto arriva con segretaria o assistente al seguito. Dico assistente perchè, pur essendo giovanissimo, è già  diventato anche professore. Non giova a renderlo più simpatico il fatto che la segretaria-assistente sembri uscita da un telefilm americano patinato, interpretato da bellissime amazzoni in tailleur e occhiali montatura Gucci. Contemporaneamente, arrivano anche i professori, quattro, in fila come i 7 nani; con in mano, al posto della piccozza, un libro:quello di cui si dovrà  parlare oggi.
Si siedono tutti contemporaneamente nella lunga tavolata in fondo all’aula. Peter osserva che, obbiettivamente, la partita è visivamente persa in partenza. Si potrebbe dire, infatti, che mentre i quattro docenti somigliano a un vecchio programma di Ruggero Orlando in bianco e nero e con il sonoro gracchiante, il mezzo bellimbusto sa di chiaro, nitido, colorato. Sa di decoder e digitale terrestre. Lo vedi negli occhi interessati degli studenti, quasi tutti assorti ad osservarlo, anche quando non parla.
Ed ecco che comincia il dibattito. Il primo dei quattro professori è uno storico: fa un sunto della storia del giornalismo italiano e riallaccia tutto al fatto che il libro gli è molto piaciuto. Peter sonnecchierebbe se non fosse anche lui così incuriosito, nel frattempo, dal comportamento del famoso giornalista televisivo. Quest’ ultimo appare entusiasta: del fatto che stiano parlando di lui, ma soprattutto del fatto che lo stiano elogiando. Sembra proprio un primo della classe, quando la maestra legge il suo tema ad alta voce ai suoi compagni un pò pelandroni. La differenza, però, è che il primo della classe non è solito ridacchiare o dare pacche sulla spalla all’insegnante; cosa che invece il nostro sta facendo di continuo con i colleghi che ha accanto. Particolarmente sembra aver fatto amicizia con un sociologo alla sua destra che, non a caso, quando prende la parola, si lancia anche lui in sperticate lodi all’autore.
Fin qui tutto bene, potremmo dire parafrasando la barzelletta del caduto dal terrazzo, che ripete tale frase ciclicamente ad ogni piano, sapendo che il peggio arriva al momento di toccare terra. In fondo oltre che per partecipare alla discussione, l’ autore è venuto per presentare un libro, ed è normale dunque che se ne debba parlare bene, seppure in una certa misura. Il tonfo avviene, però, quando il discorso del sociologo illustra la brillante teoria sull’obbiettività , o, meglio, sul ‘superamento’ di questa, elaborata dal mezzo bellimbusto.
Peter Pan scuote la testa, qualcosa non gli torna. Ha appena letto su un giornale, prima dell’inizio della conferenza,che il tg dove lavora l’ospite illustre, la sera prima, aveva omesso una notizia probabilmente perchè considerata politicamente inopportuna. Sa inoltre che non è la prima volta che la cosa accade in quella redazione televisiva. E adesso eccolo nell’aula magna di una università  italiana, davanti a docenti che lodano le teorie sull’informazione di tale ospite famoso (famoso anche per essere di un determinato schieramento poltico, cosa che sicuramente avrà  favorito la sua carriera in una Rai lottizzata).
Peter si meraviglia anche della ostentata confidenza tra il sociologo dei media e l’anchorman, che sembra aver sedotto il professore con le sue pacche e i suoi bisbigli nell’orecchio con seguente risatina. L’anziano accademico gli appare come l’inesperta Cecile delle Liasons dangereuses, sprovveduta davanti all’aura mediatica che sprigiona il Valmont pugliese dei tiggì. Una scenetta che rafforza nel giovane studente un suo vecchio pregiudizio: chi studia i media o la cosiddetta società  dello spettacolo, di solito ambisce in qualche modo a farne parte. Inutile dire che, adesso, tale idea sia per lui diventata applicabile non solo alle studentesse veline o presentatrici e ai maschi cantanti o comici,ma anche ai professori. Può darsi, pensa Peter, che tanto più si conosca la potenza del mezzo, tanto più si ambisca a farne parte.
All’improvviso, però, cambio di tono: lo studente viene piacevolmente sorpreso dall’intervento dell’ultimo professore che, invece di dilungarsi in ulteriori marchette, pone provocatoriamente al giornalista quesiti su cosa egli abbia voluto scrivere, specie riguardo al tema dell’obbiettività .
Appena incalzato dal docente più coraggioso, dunque, ecco l’intervento del mezzo bellimbusto. Per tutta risposta, il suo discorso è imperniato su una serie di ringraziamenti: ringrazia chi lo ha invitato, ringrazia chi è venuto a sentirlo, ringrazia chi gli ha posto la domanda provocatoriamente, ringrazia chi gli ha dato un incarico in una facoltà italiana, ringrazia l’editore del libro e ringrazia non dice chi per fare parte del servizio pubblico. Peter Pan prima si annoia, poi però comincia a riflettere.
E se la risposta del mezzo bellimbusto più che di routine, fosse ormai diventata un qualcosa di essenziale nel sistema del giornalismo italiano? Il giovane studente rimugina, poi esce dall’aula, mentre ancora il vip si dilunga in ringraziamenti dottrinali e ruffianate epistemologiche.
Fuori, Peter continua a chiedersi:e se il giornalismo oggi in Italia, fosse essenzialmente un continuo esporre i fatti tenendo conto solo di chi si deve ringraziare?