Solo la guerra civile in Algeria ha fatto più morti fra i giornalisti di quanti ne conti finora la guerra in Iraq: 58 contro 56. E’ la contabilità realizzata dal Cpj (Committe to protect journalists) in un grafico pubblicato due giorni fa sul proprio sito e che riproduciamo anche noi, insieme a una intervista che Tiziana Musto, dell’ Osservatorio Iraq, ha fatto a Joe Compagna, del Cpj, a proposito delle detenzioni illegittime da parte delle truppe Usa di giornalisti iracheni.
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Questa l’ intervista a Joe Compagna
TUPPE USA DETENGONO PER MESI GIORNALISTI SENZA ACCUSE
Quali sono le condizioni in cui lavorano i giornalisti in Iraq?
L’Iraq oggi e’ uno degli incarichi più pericolosi e complessi per i giornalisti in tutto il mondo, per il numero straordinariamente alto di morti degli operatori media a partire dal marzo 2003, dopo l’invasione statunitense, e per altre cose in cui sono incorsi, come minacce, detenzioni. E in genere è un ambiente molto difficile per gli operatori media.
Ci sono tanti fattori dietro questo fenomeno, dagli attacchi degli insorti, ai militari statunitensi, che sono stati responsabili di morti e detenzioni per parecchi reporter. Questa combinazione mette i media di fronte a una sfida estrema e pericolosa.
Qual e’ la situazione dei giornalisti iracheni, messi in galera dalle forze
statunitensi, come si legge in un articolo del “Commetee to protect journalists” e nella lettera di denuncia che avete inviato a Rumsfeld?
E’ uno sviluppo allarmante, che abbiamo osservato fin dall’inizio della guerra e nell’immediato periodo successivo.
Decine di giornalisti sono stati messi in galera dalle forze US, la gran parte temporaneamente; ma la cosa particolarmente allarmantee’ che alcuni giornalisti iracheni sono stati tenuti in galera per settimane, mesi, nelle mani dei militari US, senza accuse. Solo nello scorso anno sono stati parecchi tra giornalisti, fotografi e cameraman a restare nelle carceri cittadine, nelle mani delle forze statunitensi, per settimane, mesi. Senza accuse, senza prove.
Abbiamo trovato semplicemente inaccettabile che reporter che già lavorano in un ambiente estremamente pericoloso, debbano anche trovarsi di fronte all’eventualità di una detenzione di cui non conoscono il termine, nelle mani delle forze militari.
Crede che gli Stati Uniti abbiano una vera e propria strategia nei confronti dei
giornalisti e che il fatto che abbiano accettato dei giornalisti embedded abbia reso le cose più difficili, per chi embedded non è?
Il processo di embedding era molto più preminente durante il conflitto vero e proprio nel 2003. Naturalmente ci sono ancora giornalisti embedded, una base selezionata, che non ha però a che fare con i numeri che abbiamo visto all’inizio del conflitto.
Ora i giornalisti in generale sono a rischio, quelli che cercano di riportare cosa succede sul campo.
Le statistiche mostrano che in Iraq dal marzo 2003 56 giornalisti sono stati uccisi in azione, e così altri 21 operatori media.
Se guardiamo questi numeri, scopriamo che in Iraq le morti sono causate principalmente dai militari statunitensi.
Le statistiche che colpiscono maggiormente riguardano i giornalisti iracheni. Se prendiamo il numero di giornalisti uccisi nel primo anno del conflitto, la maggioranza era costituita da giornalisti che lavoravano come corrispondenti per i media occidentali.
Nel 2004 questo numero ha cominciato ad aumentare drammaticamente. Oltre il 75% dei morti tra gli operatori media in Iraq era costituito da iracheni stessi.
Il motivo per cui i giornalisti iracheni sono sempre più a rischio sia di fronte all’insurrezione, sia di fronte all’esercito statunitense e’ il loro ruolo sempre più importante.
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Contro le uccisioni di giornalisti, lettera del Cpj a Rumsfeld
Il comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) ha espresso al ministro della difesa americano Donald Rumsfeld le sue «gravi preoccupazioni» per la detenzione prolungata di cronisti iracheni, incarcerati senza essere accusati di alcun reato. Il Cpj ha quindi chiesto agli Stati Uniti di porre fine agli arresti. Almeno sette giornalisti iracheni sono stati messi in prigione quest’anno e, in tre casi documentati, sono stati detenuti per oltre 100 giorni, ha detto il comitato con sede a New York in una lettera a Rumsfeld in data di ieri. I giornalisti detenuti lavorano per diversi media, come la Cbs News, la Reuters, l’Associated Press e l’Agence France- Presse. Almeno quattro giornalisti sono tutt’ora nelle prigioni delle forze armate americane, tra cui tre dipendenti della Reuters e uno della Cbs. «I giornalisti hanno il dovere professionale di coprire gli avvenimenti in Iraq, compresi quelli in cui sono coinvolti militari americani», afferma il Cpj nella lettera a Rumsfeld.
Il testo della lettera qui
E qui un commento della direttrice del Cpj, Ann Cooper.