Attraverso la panoramica più o meno recente di casi di contaminazione del giornalismo, Altamore descrive la creazione di una bufala vera e propria. Come quella volta in cui tutti i giornali del mondo raccontarono che la minaccia bellica dell’Iraq risiedeva anche nell’uso che il regime mediorientale faceva di normali consolle di gioco. Ma descrive anche le ragioni che stanno alla base di notizie peggiori: quelle che non sono false (almeno non interamente), ma alterate a suon di regali, viaggi a spese di aziende farmaceutiche, vetture date in prova, condizionamenti di contratti milionari. Contratti che spesso contengono clausole non scritte in base alle quali, accanto alla normale pubblicità tabellare, prevede anche pubbliredazionali non segnalati come tali. Che, quando va bene, parlano in termini incensanti di cosmetici e capi di abbigliamenti, ma che diventano più insidiosi quando descrivono come rivoluzionarie terapie farmacologiche o quando non descrivono affatto difetti di fabbrica di automobili che possono non rispondere più ai comandi in corsa o riversare monossido di carbonio nell’abitacolo a causa di un problema all’impianto di scarico.
C’è poi una parte che riguarda le comunicazioni istituzionali dei governi spiegate attraverso una serie di esempi. Come il cormorano intriso di petrolio che diventò il simbolo del disastro politico e ambientale in Kuwait alla vigilia della prima guerra del Golfo. Ma quel cormorano morì a causa del rovesciamento di una petroliera della Exxon Valdez a poca distanza delle coste dell’Alaska, ben lontano da dove si disse essere stata ripresa quell’immagine. Oppure il ricorso che venne fatto ai tempi della guerra nei Balcani delle agenzie di pubbliche relazioni e di come queste si siano scontrate, al pari degli eserciti, per demonizzare e condizionare la percezione delle motivazioni dei bombardamenti.