Incrociando i dati delle principali piattaforme collaborative si scopre che sul web prevalgono ‘’the wisdom of the few’’, l’ intelligenza dei pochi, e l’ ineguaglianza partecipativa – Un articolo di Nicola Bruno su apogeonline
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Ma è davvero collettiva l’ intelligenza del web 2.0? Se lo chiede, in un articolo su apogeonline, Nicola Bruno, riferendosi alla ‘’ottimistica e spesso tronfale retorica della partecipazione’’ che ‘’aleggia sul microcosmo dei social media’’.
In realtà, osserva Bruno, ‘’ogni 100 partecipanti, uno solo contribuisce attivamente con i suoi contenuti, 10 fanno il minimo indispensabile e 89 stanno a guardare’’. E c’ è già chi alla utopia dell’ ‘’intelligenza collettiva’’ contrappone la presunta realtà del ‘’the wisdom of the few’’, l’ intelligenza dei pochi.
Si tratta di Michael Arrington, l’autore di Techcrunch , che – osserva Bruno -, incrociando i dati di alcuni tra i più popolari servizi user-powered (digg, YouTube, Wikipedia) ‘’ha trovato un modello esplicativo e predittivo nella cosiddetta regola dell’1% o “1:10:89”, secondo la quale su 100 utenti di una piattaforma ad architettura partecipativa
- solo 1 contribuisce attivamente con propri contenuti;
- 10 partecipano di tanto in tanto alle attività minime della vita di community (commento, ranking, tagging);
- i restanti 89 fruiscono passivamente’’.
Si tratta di un’evidenza ancora non supportata da dati empirici – rileva Bruno – , benchè trovi una sua legittimazione in diverse analisi della teoria economica e della psicologia sociale. In particolare quest’ultima ha dato ampio risalto al fenomeno della participation inequality all’interno delle dinamiche di gruppo. E cioè: non tutti gli individui contribuiscono in prima persona ai processi collettivi; spesso solo un’esigua minoranza determina i comportamenti di una grande maggioranza silente e inattiva. È quanto Pareto aveva sintetizzato nella legge 80/20 secondo cui l’80% degli effetti è spesso determinato dal 20% delle cause.
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Ma, consapevole che «l’ineguaglianza partecipativa c’è e ci sarà sempre», – osserva ancora Bruno -Jacob Nielsen, uno storico critico della rete, non stigmatizza l’universo dei social media: «se i “nascosti” vogliono collaborare possono sempre farlo».
La sfida semmai è un’altra, suggerisce: stringere la forbice dell’attuale divario e riuscire a coinvolgere di più il 10% di utenti già orientati alla partecipazione.