Se da una parte i quotidiani stanno lottando per sopravvivere puntando su web, maggiore copertura locale e uno staff sempre più ridotto, dall’altra stanno trasformando in maniera drammatica architettura e funzionamento delle redazioni – Jennifer Carroll, vice presidente della Gannett per i contenuti dei nuovi media, aggiunge: “Non stiamo parlando di spostare qualche mobile, stiamo parlando di ripensare completamente il modo in cui facciamo giornalismo” – Le redazioni come ‘’imprese di notizie’’ – Il caso dell’ Atlanta Journal-Constitution – I reporter del ‘’branco’’ – Il rischio di perdere il controllo dell’ intero processo di produzione delle notizie – Un articolo di Carl Sessions Stepp, dell’ American Journalism Review.
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di Carl Sessions Stepp*
American Journalism Review, Ottobre/Novembre 2007
La redazione del domani potrebbere essere oggi ad Atlanta dove la direttrice del Journal-Constitution Julia Wallace ha stravolto senza paure l’organizzazione redazionale, reinventando il processo di produzione delle notizie.
La redazione del futuro potrebbe anche prendere forma al San José Mercury News, dove un’altra direttrice, Carole Leigh Hutton, prevede cambiamenti imponenti e avverte: “Qui tutti sanno che il lavoro che svolgono oggi potrebbe essere molto diverso da quello che avranno tra sei mesi. Io non posso assicurare che ci sarà un responsabile per l’economia, per lo sport o per la cronaca locale, perché non è detto che queste figure ci serviranno”.
Questa nuova redazione potrebbe anche emergere dal vasto panorama dei giornali della Gannett, ad esempio al Des Moines Register, dove la redazione guidata dalla direttrice Carolyn Washburn viene chiamata Information Center e sta espandendo il suo impegno su Internet, aggiungendo tocchi futuristici come il desk dedicato ai dati oppure accorpando ed eliminando alcune mansioni tradizionali.
La redazione del domani, infine, potrebbe sbocciare in una torre luminosa sul fiume Potomac a Washington, dove il sito (e giornale cartaceo) Politico, giovane e vincente, ha attirato talenti dai più importanti media tradizionali, vendendo notizie fresche, pienamente multimediali, con stile.
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Per anni i giornalisti hanno litigato su un violento cambio di prospettiva e specialmente su quella rivoluzione telematica che ha portato da una parte nuove responsabilità e dall’altra una riduzione di personale che ha lasciato meno colleghi a prendersene carico. Ora questo cambio di prospettiva sta accelerando verso un limite che sembra proiettare la nostra familiare redazione per la carta stampata in un centro multimediale che lotta per la sopravvivenza ed il successo.
Mentre l’attenzione di molti si è concentrata soprattutto su titoli che richiamano la cultura New age (ad Atlanta, per esempio, c’è un reponsabile “per la cultura e il cambiamento”) e sulle nuove prospettive tecnologiche, in realtà le intenzioni dei direttori vanno ben al di là della cosmetica.
“Nel corso degli anni abbiamo cambiato molte etichette per le nostre mansioni – dice la Hutton del San José – ma non abbiamo cambiato ciò di cui ci occupiamo. Puoi chiamarlo un ‘team’, un ‘branco’ o in qualsiasi altro modo, ma è sempre la stessa redazione di cronaca cittadina dove ho lavorato come reporter. Se vogliamo veramente cambiare la redazione, dobbiamo cambiare l’architettura del giornale”.
Jennifer Carroll, vice presidente della Gannett per i contenuti dei nuovi media, aggiunge: “Non stiamo parlando di spostare qualche mobile, stiamo parlando di ripensare completamente il modo in cui facciamo giornalismo”.
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Provate a camminare per i corridoi del Journal-Constitution che si allungano per tre piani della sede di Atlanta. Vedrete che i mobili non sono stati spostati più di tanto. Il disordine regna piacevolmente sovrano. I soliti, irriverenti poster e altre cianfrusaglie decorano le scrivanie e gli uffici. Ma l’Atlanta Journal-Contitution o AJC, come lo chiamano i residenti, non è soltanto giornalismo ripensato: è uno scorcio di come può essere il futuro del giornalismo.
Sono passati mesi di riunioni e pianificazioni e ci sono anche state parecchie settimane intense, durante le quali circa la metà dello staff ha dovuto cercare un nuovo lavoro. Alla fine, la scorsa estate, il Journal-Constitution ha abolito le redazioni tradizionali, che superavano la dozzina, e ha formato quattro dipartimenti. Due producono contenuti: il primo e più grande, News and Information, fornisce notizie d’attualità e altro materiale indirizzati prima di tutto al web. Il dipartimento Enterprise, invece, sviluppa storie investigative sorprendenti, soprattutto per il giornale cartaceo della mattina successiva.
Gli altri due dipartimenti, Digital e Print, selezionano il materiale prodotto dagli altri due dipartimenti e preparano il Journal-Constitution cartaceo e il sito web http://www.ajc.com.
Adesso il giornale non ha un responsabile per la cronaca locale, lo sport o le storie di approfondimento (le cosiddette features, ndr). Ci sono certamente squadre che hanno i loro responsabili e che sono molto affiatate, ma non c’è nessuno che controlla, per dire, la produzione della sezione economica dall’inizio alla fine. La strategia di pensiero “il web prima di tutto”, di cui si parla praticamente ovunque, qui è realtà. La redazione non ha una riunione formale nel tardo pomeriggio per il budget, ma all’una e mezza del pomeriggio c’è un affollamento generale attorno alla scrivania di un responsabile per parlare della prima pagina (poco frequentato dai vice direttori).
Ci sono poi molti altri assembramenti simili per il digitale e per altre questioni. Azioni dai livelli più bassi e non ordini dall’alto: queste sono le parole chiave.
“Avevamo una redazione costruita per il mondo antico – dice la Wallace – e nel mondo antico le persone che si occupano dei contenuti hanno il controllo del cartaceo ma non dell’online, e io pensavo che questa situazione era inaccettabile. Non possiamo più essere soltanto un giornale, dobbiamo essere un’impresa di notizie e informazioni. L’online diventerà il nuovo mezzo di comunicazione di massa e il cartaceo sarà rivolto agli adulti che non vogliono cambiare”. (Per onestà devo dire che la Wallace ha lavorato per un breve periodo per me a Usa Today, all’inizio degli anni Ottanta).
In generale, dice la Wallace, la richiesta del pubblico telematico, più giovane, è “aiutatami a gestire la mia vita ad Atlanta” mentre la folla dei vecchi cartacei cerca “notizie locali approfondite”.
E così la nuova architettura di AJC è fatta per offrire sul web notizie costantemente aggiornate, guide pratiche e storie di approfondimento multimediali, raccogliendo circa 5 milioni di visitatori al mese. L’edizione cartacea – la cui diffusione durante la settimana è di 360 mila copie, mentre la domenica sale a 525 mila – sottolinea invece profondità e intraprendenza.
“Il dipartimento News and Information pensa per principio prima all’online. Il dipartimento Enterprise, invece, pensa dapprima a ciò che verrà stampato – dice Shawn McIntosh, che ricopre davvero la carica di “direttore per la cultura e il cambiamento” – e devo dire che questa soluzione è decollata come un siluro”.
Come molte redazioni, anche quella del Journal-Constitution è stata ridimensionata. Lo staff che si occupa delle notizie è di 435 giornalisti, dopo 43 licenziamenti la scorsa primavera, scendendo da una quota che in tempi migliori si aggirava attorno ai 535. In parte la riorganizzazione cerca l’efficienza spremendo il più possibile le risorse rimaste.
“Chiave per fare di più con meno è semplificare la struttura” sostiene un vice direttore anziano, James Mallory.
Alcune funzioni e servizi tradizionali sono stati sacrificati:
- In marzo il giornale ha ridotto la diffusione da tutte le 159 contee della Georgia (e altre aree degli stati confinanti) alle 66 contee chiave della Georgia settentrionale (più una manciata in North Carolina e Tennesse).
- Alcune mansioni sono state rimosse o accorpate. Non ci sono più cronisti per il nazionale o il regionale. Di televisione locale si occupa un solo reporter, non più due. Trasporto e trasporto pubblico sono stati accorpati e assegnati ad un solo redattore. Chi si occupava esclusivamente della Coca-Cola, un’istituzione locale importante (l’azienda ha sede proprio ad Atlanta ndr) ora scrive, più in generale, di cibo e bevande.
- Il giornale dipenderà maggiormente dalle agenzie di stampa sulle notizie regionali, le storie di approfondimento, lo sport ed ha inoltre rinunciato alla sua critica cinematografica (vedi l’articolo The End of the Affair di Agosto/Settembre 2007) e manderà meno cronisti sportivi a seguire gli eventi nazionali.
- Circa venti redattori se ne sono dovuti andare. La gerarchia redazionale è state ridotta e ora i capiservizio, in linea generale, controllano più cronisti di prima. “C’erano sei livelli gerarchici tra un reporter e me” dice la direttrice. Ora non ce ne sono più di tre. Gli articoli vengono controllati meno rispetto al passato. “Abbiamo una rete di sicurezza più piccola rispetto al passato – ammette la direttrice – e anche la nostra credibilità è diminuita”.
La copertura di altri settori è invece cresciuta. Ci sono molte più risorse per i contenuti del web. Il dipartimento Digital è cresciuto da 50 a 65 unità e parecchia dell’energia delle 180 persone del dipartimento News and Information è concentrata sull’online. L’AJC ha inoltre rimpolpato le cronache di processi locali, sviluppo delle periferie, spettacoli e tempo libero.
Ci sono poi sei reporter chiamati “il branco”, una via di mezzo tra i pirati e i guardiani del potere. I reporter-segugio “si svegliano ogni mattina alla ricerca di problemi” spiega Hank Klibanoff, direttore della sezione Enterprise. Una delle storie che hanno scritto: alcuni funzionari di polizia hanno usato i parcheggi attorno al tribunale locale senza pagare i parchimetri. I “pirati” dell’Atlanta “guidano le loro macchine alla ricerca di storie affascinanti, come quella di una donna di novant’anni che va al lavoro tutti i giorni in un negozio della zona”. Secondo Klibanoff è qualcosa di simile alle rubriche “La nostra città” o “L’opinione della strada”.
L’editore John Mellott promuove a pieni voti la Wallace – “oggi come oggi è il miglior direttore sul mercato” – e il suo impegno a bilanciare missione e risorse, che l’editore chiama “obiettivi equivalenti”.
“E’ molto tempo – dice Mellott – che non ci sediamo nelle ultime file e diciamo: ‘Qual è la soluzione adeguata che servirà al meglio i nostri lettori e il nostro modello economico? Se pensiamo al lato economico, non possiamo pensare di tagliare una certa percentuale. Dobbiamo affrontare meglio questo problema. Dobbiamo ragionare sugli elementi fondamentali dell’industria delle notizie”.
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Uno degli elementi fondamentali lo evidenzia Gilbert Bailon, editore e direttore di Al Dìa, la controparte in lingua spagnola del Dallas Morning News, di proprietà della Belo Corporation. “Di questi tempi ci stiamo ridimensionando – dice Bailon dell’industria dei giornali – e le entrate non bastano più a sostenere il vecchio modo in cui lavoravamo: dobbiamo fare qualcosa”.
Bailon ha una prospettiva nazionale e locale. E’ anche l’attuale presidente della American Society of Newspaper Editors (Società americana dei direttori di giornale). Come molti altri direttori intervistati per questo articolo, parla di diverse dinamiche.
Prima di tutto, forse, c’è la “rinascita del locale” accompagnata da un “reale declino nella copertura regionale, nazionale e internazionale”.
Altre dinamiche:
- la fusione delle sezioni, come quella locale e quella economica, con la creazione di “mega-desk” che gesticono la produzione di diversi settori
- l’accorpamento delle mansioni assegnate ad uno stesso cronista
- l’eliminazione di mansioni specifiche, particolarmente nelle storie di approfondimento e nella copertura culturale a livello locale
- minore tempo dedicato alle operazioni di editing
Carole Leigh Hutton ha fatto diverse di queste cose (e anche più) al Mercury News, un giornale che era della Knight Ridder, passato di proprietà al Media News Group di William Dean Singleton. La redazione del quotidiano, che ha una diffusione di circa 230 mila copie, è formata da circa 200 giornalisti, meno della metà di quelli che vi lavoravano durante la bolla delle imprese “punto com” (il Mercury News è il “quotidiano della Sylicon Valley” ed è molto attento all’industria delle nuove tecnologie). La carta non può più fare quello che faceva una volta, quindi nei prossimi mesi Carole darà una risposta a queste domande: “Qual è il nostro posto nel mercato? Qual è la nostra nicchia?”
Come molti altri direttori, spera di rovesciare il concetto “prima il cartaceo, quindi l’online”. “Ci basiamo troppo sull’idea di considerare una cosa alla volta. Dovremo perdere un po’ del personale, perché se non lo faremo non ci libereremo della prigionia del giornale”.
Per fornire all’online un numero maggiore di risorse, che nel complesso sono minori, il San José ha rinunciato a diversi livelli di editing nella preparazione di notizie dalle agenzie; ha preparato pagine standard per risparmiare tempo; ha chiesto ad alcuni redattori di scrivere anche i titoli; ha ridotto il personale di supporto (quattro direttori esecutivi condividono un solo assistente); ha chiuso alcune pagine locali dedicate ai sobborghi e ha abbassato la serranda dell’ufficio del giornale in Asia; ha ingrandito altre sezioni (per esempio, quella che era dedicata soltanto all’industria dei microchip ora si occupa di altre aziende locali).
La Hutton spera di mantenere una forte copertura locale, economica e “almeno un certo livello di lavoro investigativo” e di tenere alto il morale “rimanendo molto sincera e rispettando i sentimenti di rabbia e precarietà che vivono in molti”.
Al Tampa Tribune, di proprietà di Media General, la direttrice Janet Coats snocciola la sua lista di priorità: vuole “costruire un fossato e salvare a tutti i costi” il giornalismo di comunità (di quartiere, cittadino, di contea, di periferia), un approfondito giornalismo investigativo e “l’abilità di spiegare le cose complesse”. Anche lei ha bisogno di incanalare più risorse nell’online.
Il risultato, secondo la Coats, dovrebbe essere una “redazione di attualità” e una “redazione di approfondimento”. Le persone che controlla sono passate da 300 a 270 negli ultimi tre anni, con sette persone che se ne sono andate la scorsa primavera. Il Tribune, 218 mila copie al giorno, ha perso il suo critico cinematografico locale, ha ridotto il numero di reporter economici, ha ridimensionato alcuni uffici: nella capitale (della Florida, Tallahassee ndr), per esempio, si è passati da tre a due corrispondenti. La Coats ha migliorato il desk per le notizie da gestire con continuità (le cosiddette continuos news, ndr) aumentando il personale del 50%, creando una squadra per l’interattività di otto o nove persone e rafforzando una squadra per gli spettacoli, che è focalizzata sull’online.
In futuro la Coats tenterà di capire come un giornale deve essere costruito. “Penso davvero che stiamo per sapere se c’è bisogno di un drammatico cambiamento del quotidiano” dice, pensando, per esempio, di accorpare le notizie locali, economiche e sportive in un’unica sezione (la peculiarità dei quotidiani americani è che sono suddivisi in diversi fascicoli ndr).
Alla Gannett, i giornali stanno ridisegnando le loro redazioni come “centri di informazione locale” capaci di raccogliere e distribuire notizie a cartaceo, online, telefonia mobile e “qualunque altro media che può andare incontro ai nostri lettori”, sostiene una nota aziendale.
Al Register, il giornale che la Gannett possiede a Des Moines, la direttrice Carolyn Washburn descrive le sue priorità in questo modo: “Guardiani del potere rivelatori, imprese sorprendentemente illuminanti, buona capacità di narrazione, copertura molto locale e di comunità, attenzione al digitale e un ultimo pezzo che noi chiamiamo capriccio: è questo il mix perfetto”.
Il Register ha una diffusione di 150 mila copie e una redazione di 195 persone, dieci in meno rispetto al picco del 2003. Secondo la Washburn, sta raggiungendo una buona potenza di fuoco per l’online. Il Data Desk, per esempio, si occupa di informazioni di tutti i tipi che possono essere consultate dai lettori, passando dalla sicurezza dei ponti ai luoghi dove si trovano i bagni lungo un percorso ciclabile interstatale.
La Washburn ha ricavato forza lavoro dall’accorpamento di alcuni settori (due reporter al posto di tre si occupano di agricoltura), ridistribuendo le mansioni (due redattori alle storie di approfondimento al posto di tre), e pure in questo caso, gettando al mare la critica cinematografica.
Per sottolineare l’enfasi sull’edizione web, il Register sta sviluppando nuove recensioni sulle performance che includeranno anche sezioni sui giornalisti che lavorano al multimediale e ai contributi nei database.
In un altro quotidiano della Gannett, il News Journal di Wilmington, in Delaware (115 mila copie vendute al giorno), il direttore David Ledford sottolinea l’importanza di una copertura locale e investigativa. Perfino durante il passaggio “alla produzione di notizie 24 ore su 24”, il News Journal ha utilizzato tutti i tipi possibili di database che possono essere consultati: dall’uso di fondi del dipartimento per la sicurezza interna da parte della polizia locale alle stime dei rifiuti chimici delle industrie del Delaware.
La squadra guidata da Ledford è di circa 138 persone (quindici in meno rispetto a tre anni fa), ha assistito alla fusione delle sezioni dedicate alla cronaca locale ed economica, oltre che al trasferimento di diversi reporter e redattori tradizionali nella sezione multimediale. Un impiegato è diventato un reporter per il web e il cartaceo nel turno del mattino, un grafico è passato alla produzione di video per lo sport, un giornalista è diventato un web designer. Circa otto reporter si possono occupare di video e di audio.
“Ci ritroviamo costantemente in ristrutturazione – dice Ledford – ma non puoi rinnegare i principi di base. Non puoi farlo”.
Ah, i principi di base. I redattori sono pagati abbastanza bene per percorrere obbedienti il sentiero di ghiaia che porta alla nuova redazione, ma molti sono preoccupati dai continui tagli e alcuni si lamentano apertamente.
Steven A. Smith, direttore dello Spokersman-Review di Spokane, nello stato di Washington, ha scritto ai suoi lettori e alla sua squadra di giornalisti, sul suo blog, riguardo agli imminenti tagli del suo giornale.
“Tra un anno la nostra squadra sarà più piccola. Credo che perderemo dalle 8 alle 12 persone – scrive Smith – nessuno dovrebbe farsi illusioni qui. Una squadra più piccola vuol dire meno carta…fare più con meno è una s…a da aziendalisti che voi non mi sentirete dire”.
In un’ intervista, Smith ha notato che il suo giornale di proprietà familiare si è stabilizzato su profitti al di sotto degli “eccessivi” livelli della catena. La sua redazione di 137 persone, meno rispetto alle 159 di qualche anno fa, è rimasta stabile negli ultimi tre anni e può ancora essere considerata salutare per un giornale che vende 92 mila copie.
Ma i ricavi preoccupanti richiedono azioni più incisive. E così il direttore dovrà esaminare soluzioni come l’accorpamento della sezioni diurna e notturna, la fusione delle redazioni per il locale e l’economico e il licenziamento di chi si occupa di arte. Smith vuole costruire un giornalismo telematico e simultaneamente “tenere tutti quei giornalisti necessari alla copertura di strada nelle aree chiave per la cronaca locale”.
Smith non è duro, ma è schietto. “Alla fin fine, sappiamo che non sarà come è stato finora. Non lo può essere – dice – mi danno davvero fastidio i colleghi che di fronte ai colleghi professano queste sciocchezze”.
Anche Bailon, il presidente dell’Asne, la società americana degli editori dei giornali, vede l’ovvia ironia nel provare a fare più cose con meno persone.
“Non possiamo passare all’appalto: ci servono risorse e persone – dice Bailon – non puoi pensare di far venire una persona da fuori, magari brava a vendere hamburger o scarpe, che dice ‘Questo è quello che possiamo tagliare’. I quotidiani non funzionano così. La sezione locale non serve a far soldi”.
“Non direi che abbiamo rovinato l’industria e non possiamo farci niente. Ma c’è un punto di non ritorno? Sì”.
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Un mercoledì di non troppo tempo fa un cronista dell’Atlanta, Craig Schneider, stava andando ad un incontro di una commissione di contea quando è squillato il suo cellulare. Era il suo capo che lo stava reindirizzando ad una conferenza stampa sui servizi familiari offerti dallo stato.
Prima della grande riorganizzazione, Craig Schneider era il reporter del giornale per i servizi sociali. Ora si occupa di salute e medicina, ma di tanto in tanto gli chiedono di occuparsi di storie del suo vecchio settore. Quel mercoledì è andato alla conferenza stampa, ha spedito un paio di lanci per l’online e quindi è andato alla riunione della commissione di contea, tornando in redazione per scrivere entrambe le storie per il giornale cartaceo dell’indomani.
“Sto lavorando di più – dice lui scherzando – mi sembra così duro, in questo nuovo modo di lavorare, devo usare i muscoli come in uno sprint: scavare, ottenere l’informazione e tirarla fuori velocemente”.
Agire velocemente sta chiaramente imponendo una nuova dinamica. “Questo privilegia la filosofia del ‘Smetti di pensarci e fallo’” osserva Chris Stanfield, redattore anziano dell’Atlanta Journal-Constitution che si occupa di fotografia. “Adesso significa adesso. Non significa in otto minuti”.
Generalmente i cronisti dovrebbero scrivere un “servizio rapido”, dalle 150 alle 300 parole, per il web e quindi lavorare su un lead di maggior respiro per il quotidiano del giorno dopo, dice Nunzio Michael Lupo, uno dei vice direttori del giornale. Per aiutare questo processo, l’Atlanta ha creato un “dispatch desk” di tre persone per esaminare quello che hanno raccolto i reporter sul campo, riscrivere e fare editing, per poi spedire i pezzi e nutrire le edizioni online e cartacea.
Un punto da sottolineare è che una volta che i cronisti e i fotografi hanno sviluppato i contenuti ne perdono il controllo. Secondo il metodo tradizionale, un responsabile di una sezione può controllare completamente il processo: dall’assegnare una determinata storia ad un reporter alla pubblicazione. Ora, un redattore responsabile dello sport al dipartimento News e Information, per esempio, non è più responsabile della pubblicazione.
Questa spetta invece ai dipartimenti Digital and Print. Molti si preoccupano del fatto che in questo modo si perda la funzione di difesa pubblica e la continuità della produzione, ma altri dicono che queste dovrebbero essere sostituite da una migliore comunicazione e collaborazione. I responsabili delle sezioni, insomma, dovrebbero coordinarsi con i colleghi dei dipartimenti Print e Digital.
E’ interessante notare che ai reporter non viene chiesto di aggiornare continuamente quel che pubblicano sul web. “Non siamo così pazzi per quindici pollici (una misura abbastanza lunga ndr) di pezzo per il web – dice Lupo – basta scrivere 300 parole, quindi focalizzare l’attenzione sul cartaceo. Per molte persone questo non è stato difficile, anzi è stato facile”.
Shawn McIntosh, direttore per la cultura e il cambiamento, aggiunge che “la nostra regola è che se il lead e la prima parte dell’articolo non cambiano, non c’è bisogno di aggiornare”.
Robin Henry, responsabile del dipartimento Digital, pensa che il giornalismo sul web debba andare oltre la mentalità da notizie da consumare immediatamente. “Abbiamo indottrinato bene i giornalisti a pensare prima all’online – dice – ma penso che ora siamo in una seconda fase: basta con il digitale prima di tutto, ora c’è il digitale intelligente”.
L’idea è quella di non pubblicare ogni singolo dettaglio che i reporter vengono a sapere, ma utlizzare la potenza dell’online in maniera più ponderata. Secondo la Henry, ai reporter bisognerebbe chiedere: “E’ interessante, è fattibile? E’ qualcosa di cui la gente parla, è qualcosa che sarebbe meglio raccontare a livello visuale?”
Viene posta attenzione anche a quelli che i cronisti e i redattori di Atlanta chiamano “contenuti durevoli”, ossia informazioni come calendari, guide, sport e database che, con un po’ di aggiornamento, possono essere pubblicati e utilizzati per lunghi periodi. In maniera simile, un reporter che si occupa di spettacoli e tempo libero cura anche le informazioni sui festival, aggiornando in tempo reale informazioni di servizio come parcheggi, affollamenti e biglietti.
Nuova è anche l’irriverente sezione sulla mondanità di cui si occupa Jennifer Brett, che scrive anche sul blog The Social Butterfly. Si focalizza su nomi, facce e cose da fare, ricordando le rubriche personali dei giornali settimanali. “E’ quasi un mix di passato e futuro”, dice la Brett.
Vista tutta questa energia che freme nell’online, si potrebbe immaginare che ci sia invece rabbia al dipartimento Print, la cui importanza ora sembra minore. Invece alcuni redattori che ci lavorano esprimono sollievo per non doversi preoccupare del frenetico ritmo dell’online. “Ci possiamo focalizzare esclusivamente sul giornale. Non ci occupiamo del settore delle notizie da scrivere immediatamente – dice Bert Roughton Junior, uno dei responsabili del dipartimento Print – abbiamo intenzione di spiegare, analizzare, di scrivere quello che i lettori vogliono leggere…e spero che loro sentano che il giornale è graficamente migliore, meglio organizzato, e forse preparato in maniera più ponderata”.
Rifornire l’edizione cartacea è compito del dipartimento Enterprise, dove è il veterano Hank Klibanoff a tenere le redini. “C’è una concentrazione di risorse per un ampio spettro di storie” dice il responsabile, che può contare su squadre preparate per indagare, raccontare storie, costruire profili e spiegazioni, fianco a fianco con specialisti di economia, sport e storie di approfondimento e il “branco” di giornalisti-segugio e pirati della notizia. Il loro lavoro punta sia su progetti a lungo temine sia su storie che si esauriscono in una giornata.
Un pericolo ammesso da quasi tutti è che i reporter del dipartimento Enterprise vengano visti come una squadra d’elite mentre quelli del settore News and Information rimangano una squadra di api operaie. Quando i lavoratori sono stati invitati a fare richiesta per un nuovo lavoro nell’ambito della riorganizzazione aziendale, un numero spropositato ha chiesto di essere mandato a Enterprise. In un caso, addirittura 44 persone si sono accapigliate per quattro posti nella squadra che si occupa della scrittura delle storie e dei profili.
La McIntosh, che ha la responsabilità di gestire questo passaggio, riconosce il problema. “Dobbiamo ripensare a come attribuiamo valore a queste mansioni – dice – dobbiamo assicurarci che le persone che scrivono immediatamente le notizie sul web valgano tanto quanto chi scrive i pezzi domenicali”.
Altra questione è il carico di lavoro. Un problema, dice Roughton del dipartimento Print, è stato accettare la riduzione di aspettative. “Bisogna abbandonare l’idea di essere un giornale che scrive ogni cosa” dice.
E ancora, con il giornalismo digitale che sta assorbendo sempre più energie, ci sono sempre meno persone che si dedicano alla carta stampata. Nel vecchio sistema Bill Steiden, per esempio, era il redattore politico che si occupava di Washington. Dopo la riorganizzazione, è diventato un redattore per gli affari nazionali, mondiali ed economici nella squadra per il cartaceo. Circa quattro anni fa, spiega, il giornale aveva un caporedattore il nazionale e altri sei giornalisti, che si sono ridotti a lui e altri due redattori, cha ovviamente possono avere giornate più lunghe.
“Quando togli molte persone dai loro compiti, rimane molto da fare – dice Steiden – entri in una modalità che può essere definita ‘trova e leggi’. Mi ritrovo a lavorare a versioni basilari di storie economiche, non mi soddisfano. Si pensa solo a fare qualcosa subito, ritornandoci dopo, se c’è tempo”.
I responsabili vedono diversi di questi problemi. Poco dopo il nostro colloquio, Steiden mi ha mandato un’email dicendomi che il giornale aveva intenzione di modificare le sue mansioni e aggiungere un redattore per l’economico.
Schneider è d’accordo: da una parte c’è più lavoro, dall’altra terre di nessuno tra i dipartimenti, ma non è così pessimista e vede anche dei lati positivi. “Sto dirigendo le notizie, non sono in un ruolo passivo – dice – non penso di avere un ruolo sussidiario qui”. Il fatto che un reporter nell’Enterprise possa scrivere storie invadendo il suo campo non sembra disturbare Schneider: “Adesso collaboriamo molto di più e la cosa mi va benissimo”.
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“Va benissimo” è una frase che sembra essere adatta al tour della giovane redazione di Politico, che si trova a Rosslyn, in Virginia, poco lontano da Washington.
Nato lo scorso gennaio (vedere a riguardo l’articolo Drop Carp, Febbraio/Marzo 2007), Politico ha creato un prezioso stato di euforia che ha richiamato star del giornalismo a lavorare a questo sito web (che ha pubblica anche un giornale con una diffusione di 30 mila copie che viene pubblicato da uno a tre giorni alla settimana, in base a quando il Congresso è in sessione).
L’organizzazione della redazione sembra seguire gli standard: i capiredattori che giudicano e pubblicano i pezzi sono al centro della stanza, i vice direttori in uffici di vetro, con titoli abbastanza convenzionali. Il bello è che Politico sta facendo qualcosa di tanto radicale quanto, usando le parole del responsabile Bill Nichols, una consumata pubblicazione cartacea “che sta crescendo e non sta riducendo i costi”.
Ad essere onesti, Politico vive grazie ad un pubblico di nicchia, non quello generalista. Focalizza la sua attenzione sulla politica di Capitol Hill, la campagna presidenziale, le lobby di Washington, promettendo “spirito intraprendente, stile e forte influenza”. Come nuovo arrivato, Politico potrebbe impartire diverse lezioni alle redazioni esistenti, cominciando dalla primazia di Internet.
“Dal primo giorno abbiamo provato ad essere un’azienda che puntava sul web – spiega un responsabile, Jim VandeHei, che assieme al direttore John Harris ha lasciato i galloni del Washington Post per iniziare questa nuova avventura. “Abbiamo avuto successo nel creare l’etica del pensare soltanto alla storia, senza preoccuparsi di dove o quando andrà finire”.
Politico.com pubblica sul sito nel corso della giornata, mettendo online gli articoli dell’edizione cartacea ogni sera e provando a mettere in calendario qualcosa di fresco ogni mattina. La maggior parte degli articoli, cartacei e online (ad eccezione dei blog), passano attraverso un desk di controllo, anche se alcuni argomenti urgenti vengono pubblicati subito e pubblicati dopo il fatto.
Come una pubblicazione di nicchia, Politico ha uno stile simile a quello di una rivista. VandeHei incoraggia i giornalisti ad utilizzare la propria intelligenza e prendere una direzione diversa nel raccontare la storia”.
In una redazione tradizionale, dice VandeHei, è difficile, se non impossibile, cambiare la burocrazia, la mentalità, cambiare la maniera in cui viene concepito il lavoro. Ma qui mi sento liberato. Proviamoci”.
Naturalmente finora Politico non ha fatto un centesimo di profitto, anche se VandeHei spera di sfondare verso il terzo anno. Come notano diverse persone, Politico ha sede nello stesso edificio che ospitò l’avventura, in perdita e poco ortossa, che Usa Today iniziò venticinque anni fa, ma che alla fine ha ripagato (vedi l’articolo Full Court Press, Ottobre/Novembre 2007).
Lo staff di Politico conta sessanta persone che occupano le stanze dietro alle redazioni di due emittenti televisive della capitale, di proprietà dello stesso editore, Robert Allbritton.
Ad eccezione di chi si occupa della parte tecnica della produzione telematica o del disegno delle pagine, lo staff è tutto nella stessa stanza, anche se all’inizio non era così. Nichols porta i suoi ospiti attraverso un corridoio che curva verso una stanza che ospitava orginariamente i redattori del web. Quasi immediatamente, dice, tutti hanno sentito che quell’isolamento era un errore. Ora lo staff dell’online è in mezzo alla redazione. “Vogliamo assolutamente un mix tra web e carta stampata – dice – non ci deve essere divisione”.
“Gran parte di quello che tentiamo di fare è divertirci – continua Nichols – non vogliamo trasformarci in un ufficio di assicuratori. Se qualcuno ha un’idea, viene qui e la dice. Qui non ci sono molte persone che scrivono promemoria o che partecipano ai focus group”.
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Nessuno sa veramente come sarà la redazione del futuro.
Ma Julia Wallace dell’Atlanta sostiene appassionatamente che, comunque le cose vadano, i vecchi metodi vanno messi a frutto. Lei boccia l’idea che il suo giornale è preoccupato dalla trasformazione. “Se non fai andare la trasformazione nella direzione giusta – dice la Wallace – non otterrai il tuo scopo finale. Puoi girarci attorno dicendo che stai facendo un gioco. Ma se è un gioco, chi farà i costumi? Chi dipingerà le coreografie?”
Ovviamente, è davvero troppo presto per giudicare l’esperimento di Atlanta, ma sembra che nella redazione non si parli d’altro. I giornalisti si chiedono spesso, ad esempio, se il loro lavoro sta diventando troppo locale o parrocchiale. Il giorno dopo il catastrofico collasso del ponte di Minneapolis la prima pagina del Journal-Constitution mostrava una foto della squadra di football di una scuola superiore locale e questo non è stato giudicato un errore da quasi nessuno dei giornalisti con cui ho parlato. D’altra parte, molti dicono che ridurre i lacciuoli e le gerarchie in redazione permette una cronaca più agile e veloce dei problemi legali del quarterback Michael Vick degli Atlanta Falcons.
Alcuni giornalisti se ne sono andati, altri stanno cercando lavoro, diversi sostengono che il morale si sia deteriorato. In una nota ai redattori che sono stati diverse settimane in quello che lei chiama “il nuovo mondo”, la Wallace ha invitato a mandare commenti sui successi e le difficoltà e ha detto che i redattori sono stati molto veloci nel compilarla.
Basandosi sia su conversazioni formali e informali con più di venti giornalisti dell’Atlanta, mi sembra che siano diffidenti ma volenterosi.
Hank Klibanoff ha molta credibilità tra i colleghi, basata in parte sul suo lavoro durante i giorni gloriosi del Philadelphia Inquirer e in parte per aver vinto, assieme a Gene Roberts, il premio Pulitzer quest’anno per The Race Beat, un libro che si occupa del movimento per i diritti civili (vedi l’articolo Above the Fold, Giugno/Luglio 2007).
“Posso dirti che, basandomi su ogni singolo frammento dell’esperienza che ho avuto, non ho mai sentito che la nostra missione svaluta i giornalisti – afferma convinto Klibanoff – se avessi creduto che stavamo vendendo i nostri valori, non sarei andato avanti”.
Un giornalista più critico ha chiesto di rimanere anonimo. “Mi sembra di stare nell’esercito – dice – questo è quello che mi è stato assegnato… e, comunque, non c’è niente che dura più di un anno in questo giornale”. Un altro giornalista chiede di parlare senza essere citato e invece loda l’abilità della Wallace nel gestire il cambiamento.
Molto significativi, forse, sono i commenti della reporter che si occupa dei trasporti, Ariel Hart, che ora ha raddoppiato occupandosi anche dei trasporti pubblici. Hart riconosce che adesso c’è più lavoro, ma ha una visione più moderata. “Solo l’unica persona. Posso solo darmi da fare e produrre parecchio. Questo comporterà una selezione. E magari comporterà lo scarto di alcune storie sul dietro le quinte del baseball che stavamo facendo. Anche questo è pericoloso comunque perché mentre prepari il dietro le quinte, stai coltivando contatti per la grande storia che scriverai più avanti.
Quindi si spinge ancora più avanti e dice convinta: “Ma questa è la chiave. Questo è il collegamento per ogni cosa, secondo me. Grazie a Dio stiamo andando avanti. Potevamo fermarci e vedere questo pensare che non saremmo andati da nessuna parte, che non saremmo resistiti. Non l’abbiamo fatto. Abbiamo un’idea da seguire”.
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*L’autore è redattore anziano di AJR e professore al College per il Giornalismo “Philip Merrill” dell’Università del Maryland. Stepp ha scritto di giovani giornalisti nel numero di Aprile/Maggio di AJR. Per contattarlo, cstepp@jmail.umd.edu
(traduzione di Matteo Bosco Bortolaso)