In un recente rapporto Amnesty International denuncia sul fronte dei diritti umani il prevalere di una «linea dura» per reprimere ogni velleità di dissidenza pacifista – L’ auspicio che il CIO (Comitato Olimpico internazionale) continui a premere sulle autorità del paese denunciando la gravità della situazione
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La situazione dei diritti umani in Cina continua a peggiorare a poco più di un anno dai Giochi olimpici di Pechino. Lo denuncia un Rapporto di Amnesty International , pubblicato il 30 aprile, secondo cui nonostante l’ avvicinarsi dei Giochi olimpici, la repressione si starebbe intensificando e starebbe prevalendo la «linea dura» per reprimere ogni velleità di dissidenza pacifista.
Nel conto alla rovescia veso le Olimpiadi, anzi, importanti riforme, come quella relativa all’ ablizione della pena capitale e quella sulle nuove regole relative all’ attività dei giornalisti stranieri nel paese, sarebbero minacciate da una nuova strategia repressiva.
In particolare, secondo il Rapport di Amnesty, i Giochi olimpici del 2008 a Pechino starebbero funzionando da ‘’catalizzatore per estendere il ricorso alla detenzione senza processo, per lo meno a Pechino’’.
L’organizzazione internazionale è convinta perciò che il Comitato internazionale olimpico (Cio) dovrebbe «usare la sua importante influenza» sui dirigenti cinesi per continuare a sollevare la questione dei diritti umani.
È il terzo anno consecutivo dal 2005 che l’Organizzazione per la difesa dei diritti umani, con sede a Londra, valuta che il paese che ospiterà le prossime Olimpiadi non risponde agli standard internazionali in materia di diritti umani.
Nel paese «vi sono poche prove di riforme in diversi campi», scrive Amnesty nel rapporto ed anzi disegna un quadro fosco che indica come l’avvicinarsi dell’evento sportivo mondiale «serva da catalizzatore a una repressione continua contro i difensori dei diritti umani, sopratutto avvocati di fama e persone che provano a far conoscere le violazioni di questi diritti».
Il rapporto tuttavia approva alcune misure adottate di recente da Pechino sulla pena di morte e sulla libertà di stampa, ma sottolinea che queste sono oscurate dall’ossessione di «stabilità » dello stato e questo incoraggia di conseguenza una «linea dura» per contrastare la dissidenza.
Esempio negativo citato dal rapporto è la posizione del ministro dell’interno cinese che un mese fa ha chiesto più repressione contro «forze ostili» come le sette religiose o i separatisti: «dobbiamo colpire forte le forze ostili all’interno e all’esterno del paese», ha detto Zhou Yongkang.
Verso la stampa straniera, riconosce Amnesty, sono state alleggerite certe censure, ma dal settembre scorso sono aumentati i controlli sulla diffusione di notizie da parte di organizzazioni di media stranieri nel paese, ed è stato rafforzato il controllo dei flussi di informazione che passa per internet.
(fonte Ansa-Afp-Reuters)