‘Le norme del vostro paese avrebbero procurato eccessive lungaggini’’, commentano a Mountain View dopo la decisione di escluderci da un progetto per cui sono in palio 10 milioni di dollari – Rischi anche per il WiMax – Siamo al 40/o posto nella classifica sulla Libertà di stampa di RSF
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di Andrea Fama*
Se – forse, sembra, speriamo – c’ � andata bene per il disastroso disegno di legge sulla privacy e le intercettazioni,� � lecito domandarsi quante altre volte potremo scamparla. Infatti, il tanto contestato ddl stava per passare in sordina se non fosse stato intercettato dall’attentissimo osservatorio dei blog, non certo dalle istituzioni. Lo stesso osservatorio che oggi ha portato a galla un altro primato poco lusinghiero per l’ Italia on-line e le maglie burocratiche che la immobilizzano. Ad eccezione di Cuba, Iran, Siria, Sudan, Corea del Nord e Burma-Myanmar (il che la dice lunga), l’Italia � infatti l’unico Paese al mondo che non parteciper� al concorso indetto dal colosso Google per il lancio di Android, il suo nuovissimo sistema operativo mobile.
Il concorso, che prevede un incentivo di ben 10 milioni di dollari per i progetti di software per cellulare che saranno selezionati, avrebbe senz’altro costituito un’ottima opportunit� di sviluppo -non solo imprenditoriale- per l’ Italia, ma tutto � sfumato perch� “le norme italiane ci avrebbero obbligato a lungaggini” impreviste, come commentano da Mountain View, sede di Google.
Allo stesso tempo, si rischia di perdere anche il treno del WiMax, la trasmissione a banda larga veloce ed economica che consentirebbe di cablare in tempi rapidi, e senza particolari sforzi logistico-economici, quella (ampia) parte di territorio ancora scoperta, colmando almeno in parte il nostro digital divide, ovvero “il divario esistente tra chi pu� accedere alle nuove tecnologie (internet, personal computer) presenti nel mondo e chi invece non pu� farlo per motivi quali reddito insufficiente, ignoranza o assenza di infrastrutture come nel caso dei paesi in via di sviluppo”.
E gi�, perch� per quanto riguarda l’accesso all’informazione e alla tecnologia l’Italia strizza l’occhio ai regimi e al terzo mondo, con una penetrazione della connettivit� inferiore alla media europea, secondo i dati della stessa UE, e un sistema d’informazione che ci colloca ad un inaccettabile 40/o posto nel panorama mondiale, secondo i dati del Quinto Rapporto mondiale sulla Libert� di stampa realizzato da Reporter senza Frontiere. Ma questa non � una novit�, tant’� che perfino Celentano qualche anno fa sbandier� su Rai1, in prima serata, delle statistiche allarmanti a riguardo. Sorprendentemente, quindi, l’Italia � in ritardo e l’UE invita ad accodarsi al resto d’Europa e ad aprire finalmente un mercato reso inerte da decenni di monopolio stantio. Ma il ministro Gentiloni pare non abbia alcuna intenzione di allungare il passo, tanto il treno del WiMax alla fine lo prender�, salendo dal lato sbagliato per�.
Il bando, infatti, pare scritto proprio dai quattro giganti che gi� monopolizzano la telefonia UMTS (Vodafone, Wind, H3G e Telecom, principale responsabile del ritardo italiano), i quali con un’asta al rialzo taglierebbero plausibilmente fuori le piccole imprese dalla competizione per l’assegnazione delle macroaree, con addirittura il rischio teorico che una sola di esse si aggiudichi l’intero network nazionale, ancora una volta in barba a quanto auspicato dalla commissaria UE Reading circa l’importanza della concorrenza per aumentare l’innovazione e gli investimenti, nonch� l’accesso, la qualit� e l’economicit� del servizio in un’ottica davvero pluralista e aperta dei mercati.
Peccato che di tutto ci� si parli poco. In compenso, per�, si celebrano altri “piccoli grandi eventi”, per dirla con il Ministro Gentiloni. Nella fattispecie, si tratta di un altro bando, questa volta per l’assegnazione di 108 frequenze tv non utilizzate su un totale di circa 24 mila (ventiquattromila!).
Nell’apprendere la notizia non si pu� fare a meno di ridere amaro e pensare a come Rete 4 continui impunemente ad usurpare le frequenze regolarmente assegnate ad Europa 7 nel 1999, e continuer� a farlo almeno fino al 2012 grazie ai lunghissimi tempi d’approvazione della legge Gentiloni, che per diversi aspetti cruciali altro non � che la Gasparri con una parrucca ed un po’ di trucco (la quale legge Gasparri � gi� stata dichiarata incostituzionale e definitivamente condannata dall’UE, che ha avviato un’ultima, pesante procedura contro l’Italia per la sua mancata abrogazione).� La nuova riforma del sistema televisivo, infatti, rimanda il passaggio al digitale terrestre al 2012 e non risolver� il problema del duopolio RAI-MEDIASET delle frequenze tradizionali prima di un anno dalla sua attesa e travagliata approvazione, non fornendo, oltretutto, una precisa definizione di quelle “frequenze in eccesso” che dovrebbero essere riassegnate a nuove emittenti.�
Per quanto riguarda il tetto dei ricavi pubblicitari, il ddl Gentiloni � un pericoloso placebo, che di fatto riduce in modo irrisorio gli introiti dei principali broadcaster, imponendo sanzioni minime per chi sfora il gi� alto tetto del 45% sul totale, e lascia alle altre emittenti le briciole di un banchetto tanto esclusivo quanto succulento. Inoltre, la nuova riforma lascia miracolosamente intatto (ancora una volta dopo circa 15 anni) il conflitto d’interessi, ormai cos� assodato e trascurato da essere diventato “ambiente” nel parossistico panorama socio-politico-economico del Paese, quasi negandone la gravit� e relegandolo a fenomeno marginale laddove l’interessato si trovi soltanto all’opposizione.
�In parallelo, si rimandano le decisioni su come ricondurre la RAI sui binari del servizio pubblico evitando le lottizzazioni partitiche che l’hanno trasformata nel salotto pubblico di sottosegretari e portavoce, nel tentativo di garantire una “maggiore autonomia” dalla politica – un autogol linguistico che equivale ad un’ammissione di colpa circa l’ingerenza del mondo politico in Viale Mazzini. Intanto, si auspica una programmazione di qualit� che non abbia come paradossale priorit� le esigenze economiche e di palinsesto delle reti concorrenti, non sia infestata dall’eccessiva pubblicit� (altro nervo scoperto di un’anomalia tutta italiana che viola le disposizioni UE in merito e che sar� vagliata nella procedura di cui sopra) e, pertanto, non sia elaborata in base ai verdetti dell’auditel e sacrificata al dio dello share, tra l’altro calcolato praticamente ‘in casa’ da Mediaset e RAI.
Ma siamo seri. Come si fa a parlare di servizio pubblico, informazione e pluralismo se il primo quotidiano del Paese � controllato dalle banche (mentre tutti gli altri pagano indistintamente la sudditanza verso gli azionisti), le principali emittenti televisive rischiano un giorno s� e l’altro pure di tornare tutte e sei in mano ad un solo soggetto politico-economico e Internet, laddove arriva o non � burocraticamente inibito, viaggia con la velocit� e l’efficienza di un treno a vapore?
In definitiva, l’Italia pare essere un Paese che si dibatte tra la necessit� di apparire e darsi in pasto al pubblico, qualunque esso sia, e la deriva dell’intimit� inghiottita dai gorghi seducenti del prime time e dell’approfondimento giornalistico; tra l’esigenza di libert� e sicurezza ed un’azione di governo che si limita a sterili misure di controllo e ad una legislazione che di fatto invoca la privacy per imbavagliare l’informazione – uno dei principali tramiti per la temuta e faticosa libert� individuale – svuotandola di contenuti e inondandola di contenitori, in nome di un fantomatico ed illusorio pluralismo che ha le fattezze della deformazione piuttosto che dell’informazione.
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*Andrea Fama, 27 anni, � nato a Roma e risiede a Scalea (Cosenza). Dopo la maturit� scientifica ha seguito i corsi d laurea in Scienze della mediazione linguistica presso la S.S.M.L. Gregorio VII, dove si � laureato con 110 e lode.
Attualmente collabora c on il settimanale casentino ‘’Mezzoeuro’’).
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