E’ Consumer Reports, un mensile dell’ Unione dei consumatori, i cui lettori pagano 26 dollari all’ anno di abbonamento – Gli abbonati sono 4,4 milioni e i ricavi dell’ ultimo anno finanziario sono stati pari a 208 milioni di dollari – Come combattere le multinazionali con metodi capitalistici
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di Matteo Bosco Bortolaso
New York – Sono poche le testate che continuano a far pagare per i loro contenuti online. Il Wall Street Journal continua a farlo, ma il suo nuovo proprietario, Murdoch, ha già annunciato da tempo che farà come il New York Times, che recentemente ha deciso di abbandonare questa tradizione e in tre mesi ha avuto un aumento del 64% dei suoi visitatori online.
A continuare a chiedere un pedaggio per l’accesso completo ai contenuti, invece, è Consumer Reports. Il mensilerecensisce una sterminata varietà di prodotti commerciali e si è sempre rifiutato di ospitare pubblicità . I lettori pagano 26 dollari all’anno oppure 5,99 dollari al mese. Se vogliono sia l’accesso ad internet sia il giornale cartaceo, la tariffa sale a 45 dollari.
Il sentire comune – e anche quello di parecchi interzionisti – suggerisce spesso che la pubblicità che appare su carta rende di più. Non la pensano così al mensile dedicato ai consumatori, dove “non c’era scelta”, spiega John Stateja, il vicepresidente di Consumer Union, la società senza scopo di lucro che pubblica la testata. “Non abbiamo pubblicità , dobbiamo far pagare i lettori per sopravvivere”, aggiunge Stateja.
In realtà gli affari vanno ben al di là della sopravvivenza. Nell’anno conclusosi il 31 maggio scorso il ricavo è stato di 208 milioni di dollari. “Siamo dovuti diventare più imprenditoriali”, precisa Jim Guest, presidente dell’unione dei consumatori ed ex attivista a favore dell’aborto e contrario alla diffusione selvaggia delle armi da fuoco.
Complessivamente gli abbonati sono 4,4 milioni. Tre milioni, invece, sono i lettori “telematici” (600 milioni sono abbonati sia al digitale che al cartaceo). Gli utenti online sono cresciuti del 60% nell’ultimo anno e mezzo. Cifre che, secondo gli esperti, non sono superate da altri concorrenti.
I lettori telematici hanno un età media di cinquant’anni, dieci di meno di quella dei fruitori dell’edizione cartacea, che sono consumatori molto anziani. Internet, che attrae lettori nuovi interessati anche all’ultima versione dell’iPod, aiuta inoltre a mantenere un database di tutti i prodotti recensiti, utilissimo per ricerche e confronti.
Queste cifre e questi dati hanno risollevato la sorte della Consumer Union, che fa anche attività di lobby sui parlamentari statunitensi, chiedendo norme a favore dei cittadini-consumatori. Questa politica ha spesso attirato critiche da parte di chi riceveva recensioni poco lusinghiere. “Spesso i marchi più importanti sono in fondo alle nostre graduatori”, dice con orgoglio Kimberly Kleman, che dirige la pubblicazione.
Un episodio illuminante riguarda le poltroncine per bambini da installare nelle automobili, bollate in gran numero da Consumer Reports come poco sicure. Ma il test messo a punto da una azienda esterna alla testata era sbagliato e non affidabile. Scusandosi pubblicamente con i lettori e spedendo loro una lettera e rimuovendo l’articolo dal sito, la rivista ha comunque mantenuto la propria credibilità . E anche i propri clienti.
Alla pubblicazione pro consumatori lavorano grosso modo 300 persone: provano di tutto, dai medicinali ai furgoncini. Di questi, 150 sono reporter. Sono giornalisti politicizzati? Non necessariamente. Secondo Victor Navasky, ex responsabile della rivista progressista The Nation: “Sono come Ralph Nader (ex candidato alle presidenziali molto liberal ndr), ma senza la politica”.
Navasky sottolinea che quello che Consumer Reports è riuscito a fare è “affascinante”: andare contro le multinazionali – come la terribile azienda dal film Michael Clayton con George Clooney – in maniera “convenzionale, ossia capitalistica”. Che vuol dire: politica aggressiva per avere visibilità nelle edicole, su Google e Yahoo. Cercando S.U.V. sul primo, le guide di Consumer Reports compaiono ai primi posti.