“7 luglio 2005: a calm chaos. La risposta dei media al terrore nella City”: questo il titolo di una tesi di laurea di una studentessa in Editoria Comunicazione Multimediale e Giornalismo alla “Sapienza” di Roma – Dalla ricerca è emerso un preciso e unanime modello di comportamento, basato sulla compostezza, sulla lealtà dellÂ’informazione e sul rispetto del pubblico britannico
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“7 luglio 2005: a calm chaos. La risposta dei media al terrore nella City”: questo il titolo della tesi con cui Irene Privitera* si è laureata con lode in Editoria Comunicazione Multimediale e Giornalismo alla “Sapienza” di Roma con il professore Giuseppe Gnagnarella.
La ricerca descrive la linea di comportamento adottata il 7 luglio 2005 dai media britannici rispetto alla tragedia causata dal terrorismo, l’uso e la scelta delle immagini, le sensazioni che i media erano volti a suscitare nei cittadini londinesi e nei lettori in genere. Oggetto di osservazione sono stati i quotidiani più diffusi, quelli che maggiormente avrebbero potuto, e dovuto, far presa sulla gente. Dai dati della ricerca è emerso un preciso e unanime modello di comportamento, basato sulla compostezza, sulla lealtà dell’informazione e sul rispetto del pubblico britannico.
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Nei giorni della strage metropolitana di Londra i media britannici mostrarono un diffuso anti-allarmismo e una generale prudenza nel fornire le notizie. Sembrava che alla base di quel comportamento ci fosse una precisa strategia mediatica, in linea con quella governativa; su alcuni quotidiani italiani veniva avanzata l’ipotesi del comportamento unanime dei media a favore della sicurezza dei cittadini.
Se pensiamo alle stragi sui treni di Madrid dell’11 marzo 2004, è inevitabile non ricordare il sangue, i corpi straziati, i sacchi neri allineati che contenevano i cadaveri. In quel caso il piano degli attentatori era riuscito alla perfezione: volevano comunicare il terrore, espanderlo a macchia d’olio attraverso i media. Un anno dopo a Londra le Autorità hanno invece “rubato la scena” ai terroristi, togliendo loro di mano quelle immagini che sarebbero diventate l’icona da far girare nella rete mondiale di Internet. Lo stesso popolo britannico ha saputo affrontare la catastrofe con compostezza, adottando una strategia di contenimento che è scattata fin dal primo allarme.
Il Governo aveva emanato, dopo i fatti dell’11 settembre 2001, l’Anti-Terrorism, Crime and Security Act, un gruppo di leggi che riguardano il trattamento degli immigrati. E ai cittadini era stato distribuito un manuale di comportamento che conteneva le regole sociali da adottare in caso di un attentato terroristico.
La BBC si era data un codice etico, le Editorial Guidelines, con un’ampia sezione dedicata ai comportamenti e al linguaggio da adottare in casi di emergenza, guerre e terrorismo. Inoltre il servizio pubblico televisivo britannico si fonda sul Royal Charter, un editto che viene rinnovato a cadenza decennale, il cui Accordo con il Governo e la cui Carta generale vengono scritti dal Governo stesso: esiste un rapporto continuativo tra il Governo britannico e la televisione pubblica.
Per il settore della carta stampata, invece, non esiste un accordo scritto, poiché quello dei quotidiani britannici è un sistema autoregolamentato: la PCC, Press Complaints Commission – letteralmente commissione per le lamentele sulla stampa – è l’Autorità indipendente di garanzia e di vigilanza sull’applicazione del Code of Practice (CoP), il codice deontologico della stampa inglese.
Dalla ricerca emerge tuttavia il comportamento unanime della stampa di qualità, pronta a rispondere agli attacchi con precise mosse prestabilite. In Gran Bretagna i prodotti a stampa fanno riferimento a un codice etico troppo generico per aver scatenato un comportamento talmente omogeneo.
Tra le cause che hanno determinato questo fenomeno un ruolo fondamentale spetta al traino che la televisione pubblica e il suo codice scritto hanno esercitato sulla carta stampata; ma esistono delle determinanti culturali, politiche ed economiche che condizionano le culture giornalistiche all’interno dei differenti contesti culturali, ed è da questo concetto prende spunto il lavoro di ricerca e di analisi condotto sulle cinque testate prese in esame: The Daily Telegraph, The Guardian, The Daily Mail, The Times, The Financial Times.
Obiettivo della ricerca ed elemento metodologicamente determinante è stata la definizione della presenza e della visibilità del tema, per la quantità ma anche per la modalità del trattamento. L’analisi delle modalità del discorso, basate sulla tendenza alla gerarchizzazione spaziale e sequenziale delle notizie, è stata integrata con un’analisi semiologica delle modalità di enunciazione e dell’offerta dei percorsi emotivi e cognitivi rivolti ai lettori.
La prima impressione di una reazione omologata adottata dai media britannici per fronteggiare l’evento ha trovato conferma nei dati riscontrati: la stampa ha voluto in primo luogo documentare l’evento, senza tralasciare il ruolo delle emozioni. La modalità di presentazione ha fatto di quella reazione un modello. Dai dati della ricerca emerge che nessun elemento è stato trascurato, fattore che dimostra la maturità di un sistema dei media capace di affrontare la copertura di un evento straordinario in maniera varia, senza rischiare la ridondanza intorno ad un aspetto.
I giornali hanno voluto privilegiare il “lato umano” della vicenda. Sono state mostrate le storie, da quelle dei sopravvissuti e pertanto testimoni, a quelle di chi si è prodigato nei soccorsi, a quelle, infine, degli attentatori, le cui vite sono state raccontate dall’interno, per cercare di capire insieme ai lettori come un uomo apparentemente insospettabile possa diventare pedina di uno spaventoso gioco di distruzione.
Il nascente modello potrebbe costituire un esempio: la rinuncia, per i media, a una parte della propria libertà, potrebbe essere letta come senso di responsabilità nei confronti dei cittadini. I giornalisti sono strumento e pilastro della democrazia e pertanto dovrebbero valutare le notizie anche secondo la loro portata e i loro effetti. Fornire una informazione utile, corretta e completa non significa lasciarsi sopraffare dall’allarmismo.
Se i media britannici non hanno reso note le immagini dei cadaveri o dei corpi mutilati in mezzo ai treni schiantati, ciò non vuol dire che la notizia non sia stata ampiamente trattata e divulgata. Che alla base ci sia stato l’invito del Governo ad una autocensura dei mezzi di informazione è possibile, ma del tutto lecito. Soprattutto si è voluta rispettare l’esigenza del pubblico, un pubblico la cui cultura rifiuta la messa in piazza dell’orrore e del cordoglio. Compito primo del giornalista è, infatti, quello di venire incontro al diritto di essere informati, ma questo diritto va necessariamente coniugato con delle modalità specifiche in base alla cultura di riferimento, al contesto storico e sociale di un popolo e di una nazione.
La tesi, che è in via di pubblicazione, ospita due interviste: a Franco Siddi, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana, e ad Antonio Caprarica, allora capo dell’Ufficio di Corrispondenza Rai da Londra, in merito alla possibilità di un adattamento del modello britannico alla realtà italiana. Secondo Siddi andrebbe mossa, nell’ambito della formazione alla professione, una spinta verso una maggiore considerazione del senso di responsabilità. Il presidente della FNSI ha comunque assicurato che “Il rigore professionale, disgiunto dal sensazionalismo, è la linea che la Federazione come organismo professionale di categoria intende praticare”.
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*Irene Privitera si è laureata con lode in Scienze della Comunicazione alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Catania, e in Editoria Comunicazione Multimediale e Giornalismo alla “Sapienza” di Roma. Ha vinto il X Concorso “Giancarlo Mencucci” indetto dalla Rai. Collabora con la cattedra di Tecniche della comunicazione audiovisiva alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Cassino.
E-mail: irene.privi@gmail.com