In un articolo sul Los Angeles Times, Jay Rosen ribatte con puntiglio alle sfuriate antiblogger di Michael Skube e dà una lezione di giornalismo applicato
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di Bernardo Parrella (da bernyblog )
Ecco uno scintillante esempio di professionalità e collaborazione nel fluire odierno dell’informazione, oltre che lezione di giornalismo applicato.
“Il giornalismo concreto fatto dai blogger“, è il titolo di un articolo apparso sul Los Angeles Times qualche settimana fa, in cui Jay Rosen (professore di giornalismo alla New York University) ribatte con puntiglio all’accusa di “fare solo rumore” rivolta sullo stesso quotidiano ai blogger da Michael Skube, anch’egli docente di giornalismo, alla Elon University in North Carolina, nonchè vincitore del Premio Pulitzer.
In sostanza, l’editoriale di quest ultimo sparava a zero contro il valore giornalistico della blogosfera, spiegando come «le personalissime opinioni dei weblog non possono sostiture la paziente verifica dei fatti dei reporter». Proprio verificando i fatti citati nel pezzo, Rosen ne mette invece a nudo la totale inconsistenza e la mancanza di professionalità giornalistica (come pure niente link nel suo pezzo e divieto di di diffondere online suoi articoli precedenti): «In Skube’s columns, there’s a teacher who doesn’t believe in doing his homework – any homework».
Incalzato da altri blogger/reporter, l’autore ammette perfino di non aver quasi mai letto quei blog che accusa.
E così Rosen procede all’homework che spettava a Skube, segnalando decine di casi in cui i blogger hanno fatto esattamente quello di cui venivano biasimati: «the patient sifting of fact, the acknowledgment that assertion is not evidence … the depiction of real life». Dai report sul campo in Iraq ai contributi del post-Katrina a importanti indagini investigative, tutto lavoro non pagato e con rischi personali, senza l’appoggio dei grandi gruppi editoriali o di corporation varie. E il bello è che sono gli stessi blogger/giornalisti che, raccogliendo prontamente l’appello di Rosen, sottopongono i dettagli e la sostanza, altro che rumore, di queste attività di giornalismo/blogging.
La conclusione di Rosen: «Nessuno ha la proprietà sul modo di fare informazione o può avvocarsi il diritto a farlo. È prassi democratica spiegare agli altri gli eventi e “dimostrare il valore del proprio lavoro”. C’è chi non si tira indietro di fronte a ciò. La maggior parte di costoro non si preoccupa di come vengano definiti. Si preoccupa che il loro sia un lavoro ben fatto». Bravo, Jay!