Cominciano a circolare nelle redazioni online per la stesura dei titoli i principi della SEO, la Search Engine Optimization, per aumentare al massimo la ‘’reperibilità ’ da parte dei motori di ricerca – I rischi di un rafforzamento del rapporto di lavoro a ‘’mezzadria’’
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Un nuovo ‘’fantasma’’ si aggira per le redazioni: la SEO , la search Engine Optimization, cioè l’ insieme di tutti quegli accorgimenti che consentono di aumentare al massimo le probabilità che un sito figuri nella zona alta dei risultati delle ricerche compiute con i ‘’motori’’, i Search engine appunto.
La diffusione dei principi della Seo rischia di modificare radicalmente i criteri che per tradizione sono alla base della titolazione, trasformando fantasia e acume in rigidi protocolli e calcoli di probabilità .
Questa volta è stato un articolo di Cnet , un noto magazine online, a sollevare la questione, che è stata ripresa da diversi osservatori.
A noi sembra interessante perché coinvolge anche aspetti relativi alle relazioni sociali (ed economiche) fra gli attori del nuovo giornalismo online. Come la questione della cosiddetta ”mezzadria”.
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Su Corriere.it Raffaele Mastrolonardo spiega:
una crescente quantità di traffico (e, grazie a questo, di pubblicità ) arriva sui siti Web delle maggiori testate passando attraverso Google e compagni. Risultato: su Internet, per farsi trovare dai lettori in carne ed ossa bisogna mettere in soffitta le pratiche tramandate negli anni tra una scrivania di un giornale e l’altra e seguire le regole di una disciplina più fredda ma molto efficace, la Search Engine Optimization (SEO).
E continua:
Il Boston Globe, giornale di Boston, ad esempio, grazie all’attenzione alle esigenze dei motori di ricerca è diventato il quarto sito di quotidiano più trafficato degli Stati Uniti (nonostante sia solo quindicesimo per quanto riguarda la circolazione di copie cartacee). Un successo che passa anche per una politica di formazione dei redattori a cui è stato insegnato come realizzare titoli adatti al Web: frasi più letterali, più lunghe e costruite con le parole chiave contenute nel testo. Sempre in omaggio alla visibilità sui motori i giornalisti del sito Internet di The Times, quotidiano londinese di proprietà di Rupert Murdoch, modificano e adattano al Web i titoli degli articoli presi dall’edizione cartacea. Alla pratica sono stati introdotti l’estate scorsa tramite un corso di aggiornamento sulla SEO.
IL POTERE DI GOOGLE – Sono proprio i quotidiani inglesi, d’altronde, insieme a quelli americani, a sfruttare con più decisione le opportunità regalate dalla pubblicità online. Anche perché, complice la lingua inglese e quindi un mercato pubblicitario online più grande, sono proprio i giornali anglofoni ad avere più da guadagnare da un’informazione online maggiormente Google friendly. Come riportava qualche settimana fa il Wall Street Journal [a pagamento], il Daily Telegraph e lo stesso Times «acquistano» parole e frasi all’interno di AdWords, il programma pubblicitario di Google, in modo da figurare in alto nelle inserzioni a pagamento che affiancano i risultati delle ricerche effettuate sul motore di Mountain View. Non è infrequente che tra i due quotidiani si scatenino delle aste per accaparrarsi i termini più in voga del momento.
FANTASIA, ADDIO – Dobbiamo dunque rassegnarci a news virtuali dominate dai meccanismi della SEO e della pubblicità online?
Il rischio c’è ma non è detto (Â…)
L’ arte del titolo accattivante si è sviluppata in un supporto, quello del quotidiano cartaceo, caratterizzato da limiti di spazio e da ricchi elementi di contorno che rendevano quella tecnica di comunicazione al tempo stesso necessaria e comprensibile. Sul Web le cose cambiano: lo spazio non è un problema e spesso la velocità di lettura viene privilegiata rispetto al contesto. Insomma, potrebbe anche nascere una nuova arte del titolo. Diversa da quella che abbiamo fin qui conosciuto, ma non necessariamente meno piacevole. Almeno si spera.
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In francese viene definita ‘’référencementÂ’Â’. Noi potremmo chiamarla ‘’trovabilità ’’ o ‘’reperibilità ’’. E non si tratta solo – spiega Jeff Mignon in un articolo (dal titolo emblematico, Ecrire pour Google : un passage oblige? su MediaCafè – a essere individuabili quando qualcuno fa una ricerca con una parola chiave, ma soprattutto di essere reperibili, come sottolineano gli esperti, nelle prime tre pagine.
Il ‘’referencementÂ’Â’ non è un gadget – aggiunge Mignon -, è una necessità . Soprattutto quando il business model è pubblicitario e si basa quindi sullÂ’ audience. Dunque bisogna mettersi a scrivere per essere trovati dai motori di ricerca o, in altre parole, fare dei titoli ottimizzati.
Allora, aggiunge Mignon, addio titoli passionali e un benvenuto a quelli informativi dove poter trovare tutte le parole chiave che, fra l’ altro (ma per fortuna ci sono anche altri criteri), amano i robot per realizzare questa ‘’trovablità ’’.
Qualcuno scuote la testa? Cerchiamo di capirci: as nuovi strumenti, nuove regole.
“Molti giornalisti impiegano diverso tempo per realizzare titoli ingegnosi, ma ora bisogna essere molto più diretti. Si tratta di una pratica parecchio diversa, pensoÂ’Â’, ha spiegato Sree Sreenivasan, docente del programma new-media alla scuola di giornalimo della Columbia University (New York) e reporter per WNBC.com e News.com.com.
Alcuni giornali prendono tutto questo in maniera molto seria. Da diversi mesi sono partiti dei corsi di formazione che hanno come obbiettivo la migliore reperibilità possibile. E il compito non è facile perché entrano in gioco criteri molteplici: le parole chiave nel titolo, i tag del titolo, la densità , i link, ecc.
Per concludere, comunque, Mignon invita a leggere un post divertente sulla questione: Come scrivere dei titoli che uccidono ?, secondo cui – però – ”ottimizzare i titoli pensando solo ai motori di ricerca” può diventare un grave errore.
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La questione è molto delicata non solo in relazione alla pratica, all’ arte giornalistico-redazionale, ma anche perché rischia di coinvolgere la sfera dei rapporti economici tra editore e redattore. Si potrebbe trattare di un ulteriore rafforzamento della tendenza a usare unicamente criteri quantitativi, di pagamento a ‘’resa pubblicitaria’’ , per il lavoro dei giornalisti/analisti/collaboratori che lavorano per piccole testate online non strutturate come quelle dei giornali tradizionali.
Si tratta della remunerazione delle collaborazioni disconnessa dalle reali prestazioni in tempo di lavoro: la cosiddetta ‘’mezzadria’’, di cui abbiamo parlato diffusamente in Web 2.0, il tronfo della mezzadria?.