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”Ma a forza di cercare uomini che mordono cani non stiamo per caso trasformando, con la nostra professione al servizio dello “spettacolo dellÂ’informazione”, la realtà che pretendiamo di raccontare in una maschera tragicomica, in una parodia, in una grottesca brutta copia alla quale nessuno potrà più credere? EÂ’ la domanda che si pone Marco Capovilla in un articolo su Fotografia&informazione dal titolo ‘’Giornalismo, drag queens e distribuzioni statisticheÂ’Â’.
Capovilla fa un’ analisi delle fotografie utilizzate dai quotidiani italiani nei servizi sulla recente siccità , ma il discorso vale per tutto il campo dell’ informazione giornalistica italiana.
‘’ Se si parla di una manifestazione di gay – commenta Capovilla – , le foto coglieranno gli aspetti più folkloristici (le “drag queens” con le piume di struzzo, i parrucconi biondi e i glutei allÂ’aria, per capirci); se il tema è un corteo di protesta contro la politica estera di Israele, di fronte al comportamento pacifico di centomila manifestanti si fotograferanno (e i giornali pubblicheranno, e i politici commenteranno) solo le foto dei soliti quattro, o fossero pure dieci, scalmanati che danno fuoco alla bandiera israelianaÂ’Â’.
Per verificare di persona la congruità delle immagini proposte rispetto alla realtà , Capovilla ha compiuto una verifica sul campo, che documenta sgomento nel suo editoriale.
‘’Ho visto il Po scorrere tranquillo – racconta -, largo come sempre, carico di acqua, con le rive verdeggianti di pioppeti come sempre, forse con qualche sasso in evidenza in più lungo l’argine, a causa dell’abbassamento effettivamente registrato dalle autorità competenti. Un po’ me l’immaginavo, avevo intuito la spropositata visualizzazione che ne avevano dato i media nei giorni precedenti. Ma la differenza di cui sono stato testimone è stata superiore ad ogni aspettativa’’.
’’Vedete – conclude Capovilla -, ogni lettore, ogni persona che abbia sotto ai propri occhi quel che viene caricaturizzato ogni giorno dai media, prima o poi finisce per smettere di credere che quel che gli viene raccontato sia vero. Perché almeno in qualche caso quel lettore può fare il confronto diretto ed immediato con ciò che gli sta intorno. E allora il pericolo di spacciare in continuazione “code di distribuzione statistica” per “valori medi” è che nessuno crederà più nemmeno ai milioni di morti in Darfur, alle centinaia di vittime civili fatte saltare in aria quotidianamente in Iraq o in Afghanistan, agli oltre mille morti che ogni anno dobbiamo ancora registrare tra i lavoratori nei cantieri e nelle fabbriche del nostro paese.
Questo genere di informazione visiva drogata, sulla lunga distanza, non giova a nessuno: né ai fotografi, né ai giornalisti, né ai giornali, né ai loro editori. Soprattutto non giova al cittadino che desidera informarsi sul mondo, anche attraverso le immagini che appaiono sui giornali e nei siti web’’.