My Lai, Vietnam, Abu Ghraib, Iraq. Alle due vicende chiave di due epoche apparentemente tanto lontane (ma vicinissime per lo sfondo generale) è dedicata una tesi di laurea che approfondisce la figura di Seymour Myron Hersh, giornalista investigativo statunitense, e il suo tenace lavoro d’inchiesta attraverso cui l’opinione pubblica mondiale è riuscita a conoscere la verità sulla strage dei civili nel piccolo villaggio vietnamita e sulle torture nella prigione irakena.
Seymour Hersh “oltre lo scandalo”. Questo il titolo del lavoro con cui Alessandro Martini* si è
laureato recentemente in Scienze della comunicazione a Padova, con il professor Raffaele Fiengo.
‘’Davanti all’orrore suscitato dall’uccisione di civili innocenti a My Lai o davanti al sadismo della soldatessa Lyndie England e dei suoi compagni nella prigione di Abu Ghraib, – spiega Martini – Hersh, da grande giornalista, si rifiuta di accettare la versione ufficiale data dalle autorità in Vietnam come in Iraq, il teorema delle “mele marce”, dei pochi soldati “cattivi” che infangano il buon nome delle truppe statunitensi.
La domanda che il giornalista si pone è: “Chi ha impartito quegli ordini? Quanti sapevano?
Per il giornalista non è possibile che gli ufficiali che monitoravano la missione di My Lai dall’alto dei loro elicotteri non sapessero che cosa stesse succedendo, e, parlando dell’Iraq è impossibile non pensare ad un coinvolgimento delle alte sfere in un governo che, al tempo delle fotografie dalla prigione irachena, dichiarava pubblicamente che la Convenzione di Ginevra, per i detenuti accusati di terrorismo, non era applicabile, in quanto, quella era gente malvagia e, la sicurezza statunitense veniva prima di qualsiasi altra cosa; perfino dei diritti dei prigionieri.
Seymour Hersh, con le sue inchieste, ha cercato e cerca di scalfire il muro delle connivenze e dei colpevoli silenzi che stanno dietro ogni tragico avvenimento, cercando la vera verità, non fidandosi di quella ufficiale trasmessa dagli organi governativi e dimostrando come, ad ogni processo, sia l’ultimo anello della catena di comando a pagare per tutti, mentre i veri responsabili dallo scandalo, non vengono nemmeno sfiorati.
Per quanto riguarda in particolare Abu Ghraib, l’inchiesta, svolta da una commissione militare, concluse definendo gli abusi: “gesti non autorizzati compiuti da pochi individui”. La conclusione suscitò numerose critiche, la commissione, secondo i senatori democratici, era solo un Pro-forma per tenere buona l’opinione pubblica e, l’esito della stessa venne definito “insabbiamento” in articoli apparsi all’interno di numerosi quotidiani, tra cui New York Times e Washington Post.
Le conseguenze dello scandalo sono state però enormi per quanto riguarda la credibilità dell’esercito americano e la legittimità delle operazioni statunitense nell’area mediorientale e, come conclude Hersh, “Abu Ghraib non sparirà, si tengano o meno processi’’.
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* Alessandro Martini ha 24 anni. E’ nato in provincia di Belluno e si è diplomato all’Istituto tecnico superiore “Enrico Fermi” di Santo Stefano di Cadore. Nel 2002 si è trasferito a Padova per frequentare la facoltà di Scienze della Comunicazione.
Attualmente sta cercando di entrare nella professione giornalistica.