STAMPA USA: FINITA LÂ’ ERA DELLE GRANDI FAMIGLIE?

Gli attacchi ai padroni di New York Times e Wall Street Journal, che controllano le aziende attraverso il sistema delle ‘’azioni privilegiateÂ’Â’ – Le grandi dinastie cominciarono a vendere già negli anni Sessanta – LÂ’ espansione delle famiglie aveva finito per indebolire le aziende

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di Matteo Bosco Bortolaso

New York – È finita l’era delle grandi famiglie alla guida dei giornali a stelle e strisce? I padroni di New York Times e Wall Street Journal faranno la fine delle grandi dinastie italiane della carta stampata, relegati nei libri di storia del giornalismo? Negli ultimi giorni, i due quotidiani, a guida ancora familiare, hanno subito entrambi un attacco del mercato.
 
Al New York Times gli Ochs Sulzberger hanno respinto l’assalto degli azionisti “senza privilegi” che hanno votato no al nuovo consiglio di amministrazione, attestandosi al 42%. L’anno scorso il dissenso si era fermato al 30%. Gli investitori sono sempre più frustrati e molti si chiedono cosa accadrà nel 2008.

I Sulzberger controllano il New York Times dalla fine dell’Ottocento e il loro predominio si è consolidato nel 1969, quando la società è stata quotata in borsa. L’assalto alla “Vecchia Signora in Grigio” era stato lanciato già un anno fa da Hassan Elmasry, un banchiere di Morgan Stanley che aveva proposto di cambiare il sistema di azioni privilegiate che di fatto rende i Sulzeberger padri e padroni del giornale che ha appena trovato una nuova casa nel grattacielo disegnato dall’architetto italiano Renzo Piano vicino a Times Square. La famiglia può esprimere nove posti su tredici nel consiglio di amministrazione anche se ha solo 738 mila azioni privilegiate, mentre gli investitori di borsa, forti di 6,5 milioni di azioni ordinarie, possono esprimere solamente i quattro posti residui del consiglio. Secondo l’editore, questo sistema è l’unica via per preservare l’indipendenza della prestigiosa testata e proteggere la società in un momento di profonda crisi del sistema dei media.

Non a caso anche gli altri due sopravvissuti del sistema a controllo familiare, Washington Post e Wall Street Journal, hanno la stessa struttura del capitale. Alla Dow Jones, società editrice del quotidiano economico-finanziario, la famiglia Bancroft controlla il 64,2% delle azioni che, al momento del voto, hanno un peso dieci volte maggiore rispetto a quelle vendute sul mercato. Non a caso Donald Graham, capo della società editrice del Washington Post, ha difeso la struttura a guida familiare, in un articolo intitolato The Gray Lady’s Virtue, pubblicato sul Wall Street Journal: “Non è detto che chiunque possieda il Times spenderà più di 200 milioni di dollari nel budget della redazione e manderà dozzine di corrispondenti in giro per il mondo” scrive Graham.

Il Wall Street Journal, invece, è da giorni sotto l’assedio di Rupert Murdoch, magnate dei media australiano che ha offerto la cifra astronomica di cinque milioni di dollari per le azioni della famiglia Bancroft. Ma che giornale ha in mente Murdoch? Il padrone della Fox e di Sky ha detto di non apprezzare troppo le lunghe storie pubblicate dal giornale, preferendo, invece, più politica e più attenzione per quel che accade a Washington. Il magnate australiano non è un grande estimatore dell’edizione del sabato, inaugurata nel 2005, e convertirebbe volentieri la sezione Pursuits in un settimanale patinato simile al New York Times Sunday Magazine. E il nuovo canale della Fox per l’informazione economico-finanziaria prenderebbe il nome della testata newyorchese.  Murdoch si avvicina al giornale di Wall Street senza l’idea di tagli selvaggi, anche se precisa che, se prenderà le redini della Dow Jones “non sarà un villaggio vacanze per tutti”. Nessun cambio al vertice: rimarrebbe Richard Zannino come amministratore e il direttore sarebbe sempre Marcus Brauchli, appena nominato al timone della redazione. Anche se Murdoch dice che non ha intenzione di controllare la linea editoriale dei giornali, l’esperienza al Sun di Londra e al New York Post lascia qualche sospetto. Il modello, però, non sarebbero i tabloid, bensì i broadsheet: quando Murdoch comprò il Times di Londra nel 1981 installò un consiglio di amministrazione separato per il giornale, in modo da poter assicurare l’indipendenza del quotidiano.

Se Murdoch riuscisse ad espugnare la fortezza di Wall Street, sconvolgerebbe il mondo dell’informazione economico-finanziaria americana e la stessa Dow Jones, comprata oltre un secolo fa da Jessie Barron, che possedeva la Boston Boardinghouse, non per cinque milioni di dollari, ma per 2.500, tanto quanto costa, adesso, un mese in affitto in un appartamento a Manhattan. Quando la signora Jessie morì, nel 1918, la maggioranza delle azioni passò alla figlia avuta dal primo matrimonio, Jane Bancroft. Da allora la famiglia Bancroft controlla la Dow Jones. Il marito di Jane, Hugh Bancroft, fu a lungo presidente della società. Il successore fu Casey Hogate, reporter diventato manager, al quale Jane disse “tu e i tuoi ragazzi, fate il meglio per l’azienda: non preoccupatevi per i dividendi”.
Ora le tre dozzine di parenti vicini e lontani della Bancroft devono decidere che fare con le  azioni di famiglia. Murdoch ha offerto 60 dollari ad azione, il 75% in più rispetto a quanto valevano prima dell’offerta. La risposta iniziale della famiglia è stata no, ma le divisioni percorrono i parenti, anche perché è difficile dire no di fronte a 5 miliardi di dollari, un’offerta che davvero non si può rifiutare. “Non voglio trovarmi nella posizione di mettere un Bancroft contro l’altro e non è mia intenzione rimestare nei problemi della famiglia – ha detto Murdoch in un’intervista al New York Times – il nostro convincimento è che ci sono numerosi componenti della famiglia che non hanno ancora preso una decisione finale: il prossimo passo sarà quello di essere pazienti e disponibili”.

Secondo il settimanale Time, l’uscita dei Bancroft segnerebbe la fine dell’era familiare per i giornali statunitensi. Le grandi dinastie, che hanno avuto i loro corrispettivi italiani nei Crespi e nei Perrone, cominciarono a vendere alle aziende negli anni Sessanta. Le più grandi catene come Gannett, Knight-Ridder, Tribune, Times Mirror hanno cominciato guidati da generazioni di editori che si passavano le redini delle aziende editoriali di padre in figlio. Nell’espandersi, la parte familiare andava indebolendosi. “Il più grande pericolo del controllo familiare arriva dagli stessi membri della famiglia” scrive Justin Fox su Time. E così i sopravvissuti sono solo tre: i padroni di New York Times, Wall Street Journal e Washington Post.Questi ultimi avrebbero resistito al tramonto dell’era familiare grazie alla Kaplan, azienda collegata al giornale che pubblica libri didattici.

Nel ciclone che sconvolge le proprietà dei media è entrata anche la Reuters, finita nelle mani della canadese Thomson Corp. L’agenzia britannica, 156 anni di storia alle spalle,  leader delle agenzia di stampa assieme a Associated Presse e Agence France Presse, deve scontare problemi sull’attuazione del piano industriale messo a punto dall’amministratore delegato Tom Glocer.