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Vendere meno copie ed essere felici


Per qualche testata USA il calo è ‘’pilotato’’ e si parla di ‘’qualità della diffusione’’: così meglio perdere il 10% di readership (i lettori non fedeli) che spendere per conquistare abbonamenti costosi – Nel 2006 costava 68 dollari acquisire un abbonato contro la metà del 2002 – E sono per primi gli inserzionisti che consigliano di trascurare i lettori occasionali – L’ esempio del Los Angeles Times e la riduzione delle aree geografiche di presenza

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di Matteo Bosco Bortolaso

NEW YORK – Declino dei giornali? Non tutto il male vien per nuocere. Diversi quotidiani americani non sembrano preoccuparsi di aver perso il 10% dei lettori negli ultimi sette anni. Trovare, servire e mantenere certi abbonati costa. E talvolta non è conveniente spendere soldi per convincere lettori che non sono abbastanza fedeli alla testata.

“È una decisione economica razionale, quella di focalizzarzi sulla qualità piuttosto che sulla quantità della diffusione, lasciando perdere quegli abbonati che costano di più e rendono meno” dice Colby Atwood, presidente della Borrell Associated, azienda che studia il mercato dei media.

Diversi inserzionisti hanno cambiato approccio sulla diffusione della carta stampata. Negli anni dorati, ricorda Jason E. Klein, capo dell’alleanza per il marketing Newspaper National Network, “gli inserzionisti davano una certa importanza al lettore occasionale, lo studente, il lettore che non rientra in un determinato profilo”. Ora gli inserzionisti sono più attenti ai costi e hanno imparato come raggiungere pubblici ristretti attraverso Internet.

Sono stati soprattutto i pubblicitari che curavano gli inserti distribuiti con i quotidiani a diffondere l’idea che certe aree di diffusione non sono così importanti. “Gli inserzionisti vogliono diffondere gli inserti entro un’area di cinque miglia dai loro negozi oppure in una determinata area – spiega Klein – non sono interessati al lettore occasionale, non vogliono pagare per lui”.

Di conseguenza, i quotidiani hanno rivisto i metodi per avere più lettori: pubblicità, telefonate, offerte promozionali attraverso sconti. Queste tecniche sono sempre state costose. Secondo i dati della Newspaper Association of America, il costo medio per avere un nuovo abbonato, compresi gli sconti, era di 68 dollari nel 2006, più del doppio rispetto al 2002. Alcuni clienti, inoltre, non rinnovano l’abbonamento alla fine del periodo promozionale. E per chi vende il giornale, in questi casi, il gioco non vale la candela. E così l’industria dei quotidiani accetta che la diffusione diminuisca, nella speranza di trovare un livello che possa essere sostenuto da un impegno minore. Conseguenza di questo fenomeno è che la percentuale delle persone che non rinnovano il loro abbonamento sul totale degli abbonati è diminuita dal 54% del 2000 al 36%.

Ci sono naturalmente delle eccezioni a questo trend: sono i tabloid della Grande Mela, il Daily News e il New York Post, che continuano ad accaparrarsi più lettori possibili anche se questi non sono così fedeli.

Secondo alcuni dirigenti e analisti, i giornali hanno tagliato troppi investimenti per la pubblicità in radio e la distribuzione nelle scuole. “I quotidiani non hanno speso molti soldi in questo tipo di promozioni”, dice John Kimball, responsabile della sezione marketing della Newspaper Association of America.

Un primo esempio del nuovo approccio arriva dal Los Angeles Times, che negli ultimi decenni ha perso in copie vendute più di ogni altro giornale: 800 mila copie durante i giorni infrasettimanali rispetto a 1,1 milioni del 2000. “C’è una scuola di pensiero secondo cui le vendite vanno fermate, lasciando che il bacino di lettori raggiunga il suo livello naturale – spiega Jack Klunder, vice presidente al Los Angeles Times che si occupa proprio di diffusione – noi non siamo a questo punto, ma certamente abbiamo meno promozioni rispetto ad un tempo e accettiamo il fatto che alcune persone non compreranno il giornale a prezzo pieno”.

Come molti altri giornali, anche il Los Angeles Times ha ridotto parecchio le promozioni. “Visto che il flusso di profitti diminuisce, si cerca di tagliare le spese – argomenta Klunder – certamente si dovrebbe puntare su una promozione di lungo periodo, ma in questo settore abbiamo un sacco di decisioni a breve termine”.

Il New York Times, tra i giornali più attenti alle dinamiche dell’industria dell’informazione, ha avuto una diffusione relativamente stabile in questi ultimi dieci anni, ma questo maschera due opposte tendenze. Nel suo mercato d’elezione, la Grande Mela, le vendite sono diminuite e il quotidiano, come gli altri, ha abbandonato sconti e promozioni. La diffusione è in aumento, invece, in altri mercati, e la testata sta cercando di ottenere l’abbonamento di lettori nuovi e abbienti.

Molti giornali di un certo rilievo hanno deciso di ridurre la zona geografica di interesse.

L’esempio più recente è il Dallas Morning News: l’anno scorso ha tagliato la distribuzione al di fuori di un raggio di 200 miglia dalla città del Texas. Le copie vendute sono diminuite del 15%, scendendo poco sotto le 400 mila. Quest’anno il giornale si è imposto un limite di 100 miglia e si aspetta un’altra diminuzione delle vendite. “Stavamo distribuendo a Tulsa, Oklahoma City, Little Rock, giù nel Texas meridionale – dice l’editore Jim Moroney – portare i giornali fino laggiù costava troppo e non era chiaramente qualcosa che aveva valore per gli inserzionisti”.

Diversi lettori che hanno subìto il taglio si sono lamentati. “Ma non ho rimpianti – dice l’editore – chi vuole veramente leggere il Dallas Morning News lo può ancora fare online”.

 

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