Video-blogging per la rivoluzione (dell’informazione)
Bernardo Parrella
«Credo che stiamo assistendo appena all’avvio del livello successivo del citizen journalism. Finora quel che potevamo seguire erano soltanto eventi locali. Ora la corsa alle Presidenziali del 2008 ha grandi spazi online. E i candidati stanno considerando e usando Internet come un medium a se stante, separato dalla televisione». Così Amanda Congdon, animatrice di un video-blog tra i più popolari in Usa, Rocketboom, che le sta anche aprendo la strada a progetti con ABC News Now e HBO. Congdon non è certo l’unica a ritenere che nell’anno appena iniziato molte più gente vorrà offrire “news commentary” tramite il vlogging. E non a caso lo stesso John Edwards ha annunciato la sua candidatura su You Tube, 10 giorni prima della tradizionale conferenza stampa. Annotazioni queste illustrate in un lungo articolo di Business Week Online, appropriatamente intitolato Lunga vita alla rivoluzione del Net Video. Dove si spiega fra l’altro come il trend non sia affatto ristretto agli Stati Uniti, anzi tutt’altro. Lo stanno dimostrando i report indipendenti dall’Iraq, tipo il vlog-news settimanale Alive in Baghdad curato (con tutti i rischi del caso) da cittadini-reporter locali e fondato da Brian Conley, ora all prese con un analogo progetto in Messico. E ancor più il drammatico filmato dell’esecuzione di Saddam Hussein che in queste ore sta spopolando online, con gli inevitabili strascichi polemici. Un fenomeno di proporzioni globali, contro le censure e verso il pluralismo dell’informazione, abbracciato da giornalisti amatoriali e reporter dilettanti. Dovuto sia alla iperdiffusione della banda larga (nel 2006, il 79% degli utenti Usa ha seguito con regolarità i video online) sia alla maggior qualità di siti e filmati. Senza dimenticare la cascata di dobloni in arrivo da parte di inserzionisti e investitori vari. Come usare dunque al meglio questi strumenti così importanti? Semplice, replica Conley: «Abbiamo l’onere di fare qualcosa di rivoluzionario».