Il citizen journalism sta evolvendo in maniera stabile verso i media sociali. Ne parlano vari osservatori citando diversi progetti lanciati in Francia
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Su demain tous journalistes? , Benoit Raphael scrive:
A Libération Ludovic Blecher, un giornalista che da molto tempo è impegnato a favore del giornalismo partecipativo, ha appena lanciato un blog insieme agli squatters del ministero della casa . I protagonisti dell’ occupazione gli raccontano quello che accade e lui lo elabora sul blog.
Questo meccanismo ci fa vivere lÂ’ avvenimento dallÂ’ interno con quella dose di filtraggio giornalistico che serve per valorizzare il contenuto.
Su un altro fronte, racconta sempre Raphael, Tristan Mendes-France, ha appena inventato il video-reportage partecipativo. Partito per la Cambogia con un cellulare video portatile (un Nokia N90), ha realizzato un serizio sulla memoria del genocidio cambogiano. I piccoli video sono stati pubblicti su un blog e commentati. Gli internauti potevano anche orientare la ‘’direzione’’ del reportage nelle tappe successive, suggerendo percorsi o scelte particolari. (Una sua videointervista qui e i servizi qui).
Iniziative di questo tipo*** – aggiunge Raphael – spiegano come il citizen journalism, che non poteva in ogni caso essere la panacea, sta per evolvere in maniera stabile verso i cosiddetti media partecipativi, o media sociali. Cioè una organizzazione specifica del media che permette di tenere conto e di integrare in modo naturale i contenuti generati dallÂ’ utente nella fabbricazione dellÂ’ informazione.
Gadget giornalistici? Non è detto. Perché al di là dell’ utopia partecipativa che esso veicola, questo modello ha però il vantaggio di rispondere a una problematica economica: produrre del contenuto che ha un notevole valore.
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In ecosphère – Emanuel Parody, giornalista economico specializzato in tecnologie dellÂ’ informazione, parla di ‘’incubazione di una nuova generazione di media partecipativiÂ’Â’.
E annuncia che altri tre redattori di Libération, Laurent Mauriac , Pierre Haski e Pascal Riché hanno deciso di lasciare il giornale e di lanciarsi in una avventura 100% Internet con un progetto di sito di informazione a taglio collaborativo. Andando ad ingrossare – scrive – la nnova generazione di siti comunitari che ne hanno abbastanza della pesantezza della stampa tradizionale e della dispersione dei siti al 100% comunitari come AgoravoxÂ’Â’.
La nuova generazione – aggiunge Parody – abbandona il miraggio del ‘’citizen journalismÂ’Â’ per assumere un giornalismo partecipativo che rivendica lÂ’ inquadramento editoriale e la partecipazione.
Oltre a quello dei tre redattori di Libération, Parody conta almeno altri tre o quattro progetti di questo tipo in Francia: Youvox di Laurent Esposito e Christian Jegourel, Obiwi di Julien Jacob e Jean-Louis Amblard (non ancora aperto ma se ne anticipa le linee qui) e Cafebabel .
QuestÂ’ ultimo punta a una copertura generica dellÂ’ informazione, Obiwi dovrebbe avere una strategia di nicchia tematica, mentre il primo punta allÂ’ agregazione di post provenienti dai blog.
Troppo presto per giudicare, aggiunge Parody, ma si tratta di progetti che hanno delle ambizioni molto chiare in materia di produzione di informazioni esclusive.
Animati da professionisti dell’ informazione, gran parte di questi progetti – rileva Parody – hanno capito che non si può basare un progetto editoriale sul solo contributo spontaneo dei lettori e sull’ aggregazione di contenuti prodotti da terzi. Alla maniera del coreano Ohmynews, tutti si basano su una struttura pro e semi-professionale e una parte calcolata di produzione esclusiva. Fanno suonare la fine della ricreazione in materia di “user generated content” per imporre dei criteri di qualità .
Ciascuno di essi si distinguerà per la ricetta un po’ diversa con cui mescolare gli stessi ingredienti : contenuti esclusivi, inquadramento professionale, aggregazione di contenuti terzi, blog di lettori, gadget Web 2.0, posizionamento settoriale o generalista.
E’ ancora presto per dare dei giudizi ma, globalmente, secondo Parody, si può dire che non si tratta più di progetti frutto di una sperimentazione azzardata ma il prodotto di persone che hanno osservato l mercato e hanno assorbito qualche lezione in materia di modelli economici, di progetti editoriali e di organizzazione della produzione. Non penso che ne veranno fuori dei milionari, ma semmai dei laboratori per futuri siti di giornalismo rofessionale. Il punto in comune di almeno tre di questi imprenditori ? Un certo pessimismo sulla capacità di riorganizzarsi dei media tradizionali e una fede certa nel futuro dell’ industria della stampa d’ informazione.
Parody consiglia anche:
* un post di Laurent Esposito sul co-generated media
* Benoït Raphaël sul ritorno all’ equilibrio della stampa
* Jeff Mignon sulle tendenze della stampa online.