Wikimedia, pubblicità e progetti in rete
Mentre è in corso una discussione a più voci su blog ed etica, un dibattito analogo ha preso il via in seno alla Wikimedia Foundation e alla sua campagna di raccolta fondi. Un buon sunto lo fa Mike Linksvayer in merito, più specificamente, alla questione inserzionisti pubblicitari. Uno dei quali potrebbe essere il braccio benefico della Virgin e in proposito lo scrittore e programmatore canadese Evan Prodromou dice:
«Non sono in sintonia con questa gente, anzi, mi trovo in sostanziale opposizione. Penso però che l’elevato traffico web generato da Wikipedia sia una risorsa che la Fondazione sperpera. Un traffico simile vale decine se non centinaia di milioni in entrate pubblicitarie ogni anno. È denaro che potrebbe essere utilizzato per diffondere (liberamente e gratuitamente) libretti simil enciclopedie a milioni di studenti e bambini, nella loro lingua, in tutto il mondo. È irresponsabile snobbare questa opportunità ».
Mentre il fondatore di Wikipedia, Jimmi Wales, rimane ancora fedele al suo concetto di libertà (riassumibile in free as in speech, not free as in beer), avendo in passato confermato l’apertura alla pubblicità sul Time Online (britannico), Linksvayer porta altri due esempi di esperienze efficaci. Quello della Mozilla Foundation, che dal 2005 ha registrato un’impennata delle sue entrate (non estranea alla performance l’alleanza con Google), e di Creative Commons, che ha centrato e superato l’obiettivo economico che si era proposta (300 mila dollari al 31 dicembre scorso).
Probabilmente un progetto forte e focalizzato come quello attorno al quale si articolano le realtà di cui sopra è un buon antidoto contro i condizionamenti della pubblicità . Del resto già gli attuali benefattori della WMF non sempre sono persone fisiche e se nuovi inserzionisti finanziassero anche solo una parte di quanto ipotizzato da Prodromou, be’, perché no? Ulteriore garanzia della trasparenza dell’organizzazione viene poi offerta dalle migliaia di contributori che difficilmente sono manipolabili, se non altro per ovvie difficoltà quantitative.