Giornalismo partecipativo: tre esperienze francesi a confronto

Agoravox Agoravox, Mediapart e Rue 89: tre interviste pubblicate da “Le Mensuel de l’ Université” (un magazine interuniversitario online) delineano tre modelli mediatici diversi, tre modelli economici distinti, tre filosofie originali – Tutte e tre le testate però danno grande risalto al carattere partecipativo della loro esperienza e puntano a difendere e a sviluppare il giornalismo investigativo

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E’ in pieno svolgimento in Francia la partita per diventare il principale punto di riferimento per l’ informazione sul web.

Qualcuno dice che se ne conoscerà il vincitore non prima di cinque anni.

Ma intanto tre siti di giornalismo partecipativo, con caratteristiche diverse l’ una dall’altra, hanno cominciato a incrociare le armi, sfidando anche i siti web dei grandi media.

Tutti e tre – Agoravox, Mediapart, Rue89 – danno grande spazio all’ aspetto collettivo dell’ attività di informazione e puntano sulla ripresa e l’ approfondimento del giornalismo investigativo.  

Obbiettivi e filosofie delle tre testate sono al centro di altrettante interviste (raccolte da "Le Mensuel de l’ Université", una publicazione interuniversitaria online), che proponiamo in traduzione italiana. (Lsdi si è già ampiamente occupato di queste tre iniziative; vedi ad esempio “Giornalismo partecipativo: quello reale non è perfetto, ma non si può non crederci”).

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Agoravox, la prima nata, si caratterizza per una fortissima impronta partecipativa e di impegno civico. I suoi ideatori non sono giornalisti, ma provengono da esperienze di imprenditoria editoriale. E anzi, alla base della testata – ricorda Carlo Revelli, uno dei fondatori – , c’ è la convinzione che il giornalista non è più “il solo soggetto qualificato a trattare l’ informazione”. Continuare ad affermare questo – aggiunge Revelli – “equivale da una parte a denigrare gli altri  mestieri che si muovono nel campo dell’ informazione e che sanno come trattarla, e dall’ altra a sottovalutare la gran parte dei cittadini, che sono abbastanza intelligenti per rispettare qualche  regola di base (verificare, andare alle fonti, separare le opinioni dai fatti).

Bisogna rendersi conto – aggiunge – che oggi gli internauti non vogliono essere più presi per mano, non vogliono che gli si dica quello che è bene e quello che è male, quello che devono leggere, ecc. Vogliono invece essere attori e vogliono riflettere sulla veridicità delle notizie, sulla loro complessità, sul loro contesto…”.

Logo Mediapart, invece, punta all’ informazione di qualità, al valore aggiunto che solo il lavoro giornalistico può dare e ritiene che, anche sull’ online, la qualità vada pagata. Noi – dice Edwy Plenel, ex capo redattore di le Monde e coordinatore del sito – pensiamo che internet sia ancora un continente non pienamente sfruttato per proporre una informazione rigorosa e di qualità.

Mentre anche Rue 89, fondata da alcuni ex giornalisti di Libération, punta a “ricavare valore aggiunto selezionando l’ informazione”, un sapere di natura strettamente giornalistica. “Trattiamo gli argomenti che ci sembrano pertinenti – dice Pierre Haski – senza sentirci obbligati a riprendere la gerarchizzazione dell’ informazione veicolata dai media tradizionali”.

Sul piano del modello economico, Agoravox ha scelto la strada dell’ accesso gratuito e non ha intenzione di tornare indietro. Revelli progetta di arrivare a un modello fatto di pubblicità, di mecenati e di Fondazioni, un po’ all’ americana, anche se – dice – in Francia la gente non è ancora convinta dei vantaggi fiscali che questo sistema di donazioni può portare.

Mediapart invece è a pagamento. Mentre Rue89 è stata finanziata dai suoi fondatori “per garantire la nostra indipendenza” e accanto ad essi è stata creata una società per azioni, “gli amici di Rue89”. La terza tappa consisterà nel sollecitare degli investitori esterni, da cui saranno esclusi però i grandi gruppi industriali o i fondi di investimento.La scelta dell’ accesso a pagamento da parte di Mediapart – spiega Plenel – “viene da un profondo convincimento, che – è vero, è un po’ contrario al punto di vista dominante attuale.

Questa convinzione non è soltanto giustificata dalla difficoltà di imporre la sua indipendenza economica, ma per una scommessa democratica: la costruzione di un pubblico fedele, che non fa zapping, non anonimo, di una natura diversa dalla folla dell’ audience o da una massa indistinta. Il gesto, volontario, di pagare il proprio abbonamento sovvenziona la nostra indipendenza e fa degli aderenti delle persone che veramente danno un contributo in modo globale”.

L’ illusione coltivata da Agoravox e da altri siti – aggiunge Plenel nell’ intervista – è di considerare quello che nasce dall’ opinione pubblica sul web come dell’ informazione. Ora, le opinioni appartengono a tutti. La rete permette a tutti di proporre il proprio punto di vista e di costruire il proprio mezzo personale. Noi insistiamo a Mediapart sul valore d’ uso dell’ informazione. Teniamo conto dell’ agorà sviluppando uno spazio di dialogo e di dibattito. Ma l’ informazione utile, l’ informazione pertinente, è quella che mi permette di essere un cittadini libero e autonomo. Questa informazione ha un valore e quindi un prezzo.
Logo

Ma, secondo Rue 89 – che pure nasce da giornalisti e ha una forte impronta giornalistica –  l’ informazione a pagamento è una scelta incompatibile con la cultura originale del web.

Posso condividere il principio difeso da Edwy Plenel, secondo il quale una informazione di qualità deve avere un prezzo che il lettore deve essere d’ accordo a pagare – dice Pierre Hasky -. Ma la filosofia stessa di internet non si presta a questo. A mio avviso è una strada incompatibile con la cultura originale del web.

Il problema dell’ indipendenza è essenziale anche per Rue89. Hasky parla della crisi profonda della stampa scritta, rilevando fra l’ altro che “le aziende editoriali non hanno mezzi sufficienti per finanziare questa transizione. Libération, per esempio, in cui il 90 % delle entrate vengono dal giornale, non può trasferire una parte dei suoi capitali per finanziare una evoluzione morbida verso il web.

In più i rari gruppi editoriali in Francia non finanziano sufficientemente il settore che oggi è controllato da grandi gruppi industriali la cui attività principale non è mediatica. I media sono sotto- capitalizzati quando vogliono restare indipendenti.

Abbiamo finanziato noi giornalisti Rue89 per garantire la nostra indipendenza – rileva Haski – ed è stata poi  creata una società per azioni, “gli amici di Rue89”, composta da persone vicine ai fondatori della testata. La terza tappa – aggiunge – consisterà nel sollecitare degli investitori esterni, da cui saranno esclusi i grandi gruppi industriali o i fondi di investimento. Vogliamo controllare la nostra crescita e garantire la nostra indipendenza editoriale

L’ ingresso nel capitale sarà condizionato a una adesione totale al progetto di stampa indipendente. Questa apertura permetterà di sviluppare diverse funzionalità (rete sociali interne, pagine personalizzate, ecc.). Ma la dimensione comunitaria sarà onnipresente.

 

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1)

Carlo Revelli : «Il giornalista non è il solo soggetto qualificato a trattare l’ informazione”

Intervista con Carlo Revelli
Fondatore di AgoraVox

Agoravox

Le Mensuel de l’Université : Alcuni osservatori ritengono che il giornalismo partecipativo sia più una moda che una rivoluzione mediatica. Che ne pensa?

Carlo Revelli – Il giornalismo partecipativo non è una moda, ma è la risultante di una doppia evoluzione, tecnologica e sociologica. La democratizzazione di internet, la comparsa dei blog, lo sviluppo del digitale in tutte le sue forme, tutto ciò ha considerevolmente aumentato le possibilità di esprimersi, di comunicare, di fare scambi.
E questa nuova realtà tecnologica ha consentito a un fenomeno sociologico più profondo di concretizzarsi. Nelle nostre società occidentali si è progressivamente sviluppata una certa forma di sfiducia nei confronti dei media tradizionali: il desiderio del cittadino di non subire l’ informazione, ma di parteciparvi. Il giornalismo dei cittadini, o partecipativo, permette di dare corpo a questo bisogno grazie alle nuove tecnologie. Non ha quindi niente di effimero; anzi, segna l’ avvio di una era mediatica inedita.
Agoravox è stata lanciata perché noi abbiamo preso molto presto sul serio questa evoluzione. 

LMU : Agoravox è stata fondata su un principio di trasparenza ma resta relativamente reticente rispetto al suo modello economico attuale e ai suoi sistemi di gestione. Può illustrarci questo modello in poche parole?

Carlo Revelli – Agoravox è stata creata nel 2005 nell’ ambito di Cybion, una società di studi su internet che avevo creato nel 1995 con Joël de Rosnay e di cui noi due siamo gli azionisti di maggioranza. Cybion ha investito nel lancio di Agoravox in maniera autonoma, per preservare l’ indipendenza del progetto ci è parso in effetti necessario non fare appello ad altri investitori.

LMU : Indipendentemente dal suo funzionamento editoriale, chiaramente presentato sul sito, come vengono fatte le scelte strategiche?

Carlo Revelli : Bisogna tener conto del fatto che non c’ erano precedenti e quindi per parecchio tempo Agoravox ha funzionato in maniera parecchio inedita. Non esiste un comitato di direzione in senso proprio, ma abbiamo messo in atto un triplo filtro, molto originale, che è la base della nostra   politica editoriale. Cosa che naturalmente non impedisce il dialogo e la concertazione.
Per esempio, l’ idea di creare una Fondazione è mia. Ma è stata discussa con i miei principali collaboratori e con Joël de Rosnay. E su questa questione si è sviluppato un dibattito pubblico direttamente sul sito di Agoravox.

LMU : Perché creare una Fondazione?

Carlo Revelli : L’ idea nasce in risposta a una critica ricorrente da parte di alcuni internauti che rilevano una presunta opacità nel funzionamento di Agoravox. A questa idea di autonomia si aggiunge quella, complementare, di indipendenza: non è sano funzionare con fondi di alcuni investitori per far vivere un sito come il nostro. Bisogna essere coerenti con il modello di giornalismo partecipativo che difendiamo. Fatte le debite proporzioni, ci ispiriamo ai modelli di Wikipedia o della Fondazione Firefox.

LMU : Qui paga l’ équipe di Agoravox ?

Carlo Revelli : Per ora è Cybion. Una parte della sua équipe lavora per Agoravox. A seconda dei momenti, possono essere dai quattro ai sette dipendenti, ma la nostra forza sono i migliaia di redattori che propongono ogni giorno varie decine di articoli. La Fondazione disporrà del suo proprio modo di funzionamento e delle sue proprie risorse, legate, fra l’ altro, a donazioni, a mecenati e alla pubblicità.

LMU : Qual è il punto di vista dei collaboratori sulla pubblicità? Qualcuno vi ha rimproverato di far soldi grazie agli articoli redatti gratuitamente dai vostri collaboratori?

Carlo Revelli : L’ idea non è di fare dei soldi alle spalle degli autori degli articoli! Quei ricavi saranno reinvestiti nella Fondazione, specialmente per migliorare il sito e svilupparlo. Senza adottare delle posizioni anticapitalistiche, mi sembra chiaro che bisogna separare la produzione dell’ informazione dalla raccolta delle entrate.

LMU : Che cosa pensa dello sviluppo impetuoso dei media partecipativi?

Carlo Revelli : E’ vero che molti siti si sono lanciati nell’ informazione partecipativa, come Cafebabel, o Le Post, etc. Per Agoravox, è una buona notizia: questo conferma che l’ idea che noi avevamo del webgiornalismo al momento della creazione del sito nel 2005 era quella buona, contrariamente a quanto vari professionisti sostenevano a quel tempo.
Altri siti come Bakchich, Mediapart o Rue89, mostrano una dimensione partecipativa in maniera un po’ marginale. Sono stati lanciati da giornalisti di qualità venuti dalla stampa scritta che hanno trasposto le loro pratiche professionali sul web, cominciando col dare una linea editoriale precisa alla loro testata. Agoravox non è animata da giornalisti e non desidera fissare una linea editoriale unica, tenuto conto del numero dei redattori e delle loro diversità di opinione, di origini e di sensibilità.

Detto questo, va notato che il taglio partecipativo è spesso criticato da alcuni giornalisti professionisti specialmente quando comincia a prendere uno spazio rilevante in un sito… Io non ho niente contro il mestiere di giornalista, ma non fa un buon servizio a se stesso quando afferma di essere il solo qualificato per trattare l’ informazione. Affermare questo equivale a denigrare, da una parte diversi mestieri che sono nel campo dell’ informazione e che sanno come trattarla, e dall’ altra sottovalutare una gran parte della popolazione che è abbastanza intelligente per rispettare qualche  regola di base (verificare, andare alle fonti, separare le opinioni). 

Bisogna rendersi conto che oggi gli internauti non vogliono essere sistematicamente presi per mano, non vogliono che gli si dica quello che è bene e quello che è male, quello che devono leggere, mecc. Vogliono essere attori e vogliono riflettere sulla veridicità delle notizie, sulla loro complessità, sul loro contesto…

LMU : Come evolverà Agoravox nel futuro?

Carlo Revelli : Mi piacerebbe strutturare di più l’ attuale funzionamento partecipativo del sito. Vorrei anche avviare un maggior lavoro di investigazione di lungo periodo, facendo appello, se ce n’ è bisogno, a qualche mecenate. Vorremmo anche ampliare l’ attività di Agoravox ad altri paesi, a cominciare dall’ Italia.
Cercheremo anche di  mettere a disposizione di tutti strumenti e metodi tali che qualsiasi internauta possa creare il proprio mezzo partecipativo in maniera indipendente da Agoravox, in una logica di open source.

LMU : Pensa di vivere un giorno di Agoravox ?

Carlo Revelli : Non è il mio primo obbiettivo anche se, è vero, oggi mi dedico a tempo pieno ad Agoravox. Non lo faccio per guadagnare dei soldi. Ma voglio che il progetto sia economicamente redditizio, perché altrimenti non durerà. E quest’ anno ci siamo molto vicini. 

LMU : E’ fiducioso?

Carlo Revelli : Sì. Anche senza pensare ad eventuali profitti, la pubblicità, qualche mecenate e l’ apporto di qualche donazione permetteranno a Agoravox di avere un modello economico stabile e perenne. Quello che non riesco ancora a valutare bene è invece l’ ammontare delle donazioni che la Fondazione potrà aspettarsi dal grosso dei cittadini. In Francia, nonostante i rilevanti vantaggi fiscali legati alle donazioni, le persone sono meno abituate a donare a delle fondazioni, come negli Usa o nel Regno Unito.

LMU : A proposito del modello economico, che ne pensa di Mediapart, che ha scelto di far pagare l’ accesso all’ informazione? Questo modello economico le sembra in sintonia con la natura del web?

Carlo Revelli : Indipendentemente dalla qualità editoriale del progetto, ho qualche dubbio sul fatto di arrivare a far pagare agli internauti delle somme relativamente importanti per aver accesso a dell’ informazione. Chiedere 100 euro all’ anno per un abbonamento non è poco, mi sembra.  

LMU : Edwy Plenel ritiene che far pagare l’ utente permette di finanziare l’ indipendenza del sito e la qualità delle informazioni diffuse, di tirar fuori qualche scoop per esempio.

Carlo Revelli : E perché no? Il cammino di Agoravox non è lo stesso. Noi diamo la parola ai cittadini e lanciamo delle inchieste di investigazione partecipativa di lunga durata. Io credo meno all’ utilità dello scoop e mi interrogo anche sulla pertinenza di questo termine applicato a Internet. Una informazione su internet resta esclusiva per molto poco tempo: appena è in rete viene ripresa da migliaia di blog e di siti.

LMU : Agoravox resterà quindi gratuito?
Carlo Revelli : Certo. Per parte mia non prevedo di lanciare un sito a pagamento.

LMU : L’ accesso a pagamento le sembra quindi votato al fallimento?

Carlo Revelli : Non dico che sia così. Bisogna sperimentare caso per caso. Questo modello economico può funzionare. Per quello che si può giudicare, il sito di Daniel Schneidermann, « @rrêt sur images » ha l’ aria di funzionare bene. E’ vero che si è portato dietro una comunità di lettori e di telespettatori fedeli. In ogni caso io auguro buona fortuna a tutte le iniziative.

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2)

Edwy Plenel : « la battaglia per diventare un punto di riferimento è cominciata»

Intervista con Edwy Plenel
Giornalista, fondatore di Mediapart

Mediapart

Le Mensuel de l’ Université : In che cosa Mediapart è un webmedia a parte?  

Edwy Plenel : Tutte le iniziative sono le benvenute quando si tratta di reinventare una informazione di qualità, indipendente e utile ai cittadini. Mediapart è prima di tutto un giornale, come spiega il nostro logo, uno strillone di giornali. Che simbolizza quello strumento democratico che è la stampa. Questa stampa non è un mezzo come un altro.
Il nostro mezzo è un giornale indipendente, di cui i giornalisti controllano la maggioranza del capitale, appoggiati da una “società degli amici”. Il desiderio di indipendenza ne è stato il principio fondatore.
Il supporto scelto costituisce in effetti la sua altra originalità. Mediapart è un giornale digitale. Noi pensiamo che internet sia ancora un continente non pienamente sfruttato per proporre una informazione rigorosa e di qualità. Questa conquista del valore di riferimento comincia a giocarsi a partire da ora. E bisogna farlo sulla base di un modello umanistico, eliminando qualsiasi logica puramente mercantile.
Come il sottotitolo indica, questo mezzo è partecipativo. E’ un club aperto ai lettori, che possono diventare dei collaboratori. Il lettore può creare il suo blog, legato al sito, che è animato da giornalisti professionisti. Sarà un luogo di pubblicazioni collettive in cui il lettore può lui stesso delineare la sua linea editoriale.  

LMU : Un giornale partecipativo ma… a pagamento!

Edwy Plenel : E’ esatto. E’ a pagamento. La scelta viene da un profondo convincimento, che – è vero -, è un po’ contrario al unto di vista dominante attuale. Questa convinzione non è soltanto giustificata dalla difficoltà di imporre la sua indipendenza economica, ma per una scommessa democratica: la costruzione di un pubblico fedele, che non fa zapping, non anonimo, di una natura diversa dalla folla dell’ audience o da una massa indistinta. Il gesto, volontario, di pagare il proprio abbonamento sovvenziona la nostra indipendenza e fa degli aderenti delle persone che contribuiscono in modo globale.

LMU : Lei dice che un “giornale non è un mezzo di flusso”. Che è l’ essenza stessa della comunicazione su internet. Come conservare la paternità di uno scoop senza che il lettore si informi altrove? Come assumere una determinate struttura salariale e rendere durevole il vostro modello economico così particolare?

 Edwy Plenel : Siamo convinti che sia questo il modello da seguire. Non ci sono alternative. Il modello audience/gratuità, accoppiato a quello del “solo pubblicità” non consente l’ irruzione durevole di un mezzo indipendente di fronte ai grandi. Sono convinto di essere più realista di quelli che  scommettono sul gratuito, soprattutto se si vuole restare indipendenti.
Molti si fissano sul principio di gratuità totale che il web dovrebbe per natura incarnare. La rivoluzione digitale è tecnologica e democratica. Il principio morale di gratuità si afferma effettivamente nella condivisione, lo scambio e il dialogo, valori che noi condividiamo. Questi valori si accordano completamente con la cultura di una stampa democratica: quando un quotidiano cartaceo esce con uno scoop, questo viene ripreso dai media di flusso, come radio e televisione; entra con loro nello spazio pubblico. Che qualche utente faccia approfittare del proprio “login” qualche persona o che questa informazione sia ripresa e destinata allo spazio pubblico, io non ci vedo niente di strano, a patto che l’ informazione sia citata e attribuita. L’ informazione, lo ripeto, appartiene allo spazio pubblico.

La gratuità che invece noi mettiamo in causa è la furbizia o l’ illusione mercantile dell’ arricchimento individuale e privato, che non costruisce una ricchezza collettiva. Il mercato dell’informazione  generale di qualità non è un luogo di alti profitti.

Il capitalismo finanziario impone questa logica approfittando di una rivoluzione tecnologica. Questa logica influisce sfortunatamente sulla qualità dei contenuti. La gratuità che noi denunciamo è quella dei giornali gratuiti pubblicati dal gruppo Bolloré. Questa stampa “usa e getta” rovina i contenuti. Ed è illusorio credere che le logiche di audience e di gratuità non abbiano alla fine una incidenza sulla qualità editoriale. Se la logica audience/gratuità fosse da solo produttrice di qualità, non avremmo dovuto difendere l’ idea di un servizio pubblico… che poi non è affatto gratuito perché alla base è pagato con le nostre tasse.

La logica dell’ audience ha e avrà una incidenza sui contenuti editoriali, anche se sono dei professionisti seri ad animare i media.
Il flusso mediatico continuo su internet non deve determinare un tipo di contenuti. Non riflettere sull’ autonomia dei contenuti e legare la tecnica a delle conseguenze troppo permissive e disordinate. Dove sono le “voci”, dove l’ informazione? C’ è una gerarchizzazione delle notizie? Con Mediapart noi difendiamo l’ idea di una stampa multimedia su internet. In qualità di giornalisti proponiamo una agenda autonoma, una gerarchia dell’ informazione.

LMU : Perché non avete optato per una formula settimanale o mensile per rompere l’ immediatezza dell’ informazione?

Edwy Plenel : Dire che internet si riassume nel trittico « flusso, audience, gratuità » nasce da un puro dogmatismo. Ma resta un mezzo dal flusso continuo, per cui noi desideriamo soprattutto ricreare una temporalità diversa.
L’ era mediatica nasce dalla seconda rivoluzione industriale (elettricità/rotative). La stampa diventa per il suo costo minimo di fabbricazione e di alfabetizzazione generalizzata un prodotto di massa. Per la cronaca, alla fine del XIX° secolo un quotidiano belga, Le Soir de Bruxelles,  fondato da un imprenditore che si occupa di piccoli annunci, comincia a essere gratuito.

La stampa di massa è allora immaginata come una stampa gratuita. Contro la “massa”, contro la “folla”, sembra necessario costruire un pubblico.

Noi difendiamo questi valori e siamo convinti che essi possono esprimersi sul net. Perché quindi non pagare per una informazione di qualità quando, già, non abbiamo alcun problema a pagare per un servizio o una informazione specifica su internet?

L’ illusione seguita da Agoravox e da altri siti è di considerare quello che nasce dall’ opinione pubblica sul web come se fosse dell’ informazione. Ora, le opinioni appartengono a tutti. La rete permette a tutti di proporre il proprio punto di vista e di costruire il proprio mezzo personale. Noi insistiamo a Mediapart sul valore d’ uso dell’ informazione. Teniamo conto dell’ agorà sviluppando uno spazio di dialogo e di dibattito. Ma l’ informazione utile, l’ informazione pertinente, è quella che mi permette di essere un cittadini libero e autonomo. Questa informazione ha un valore e quindi un prezzo.

LMU : Alla fine, il vostro progetto tornerebbe quindi a costruire una testata di riferimento?

Edwy Plenel : Non abbiamo nessuna pretesa, solo una ambizione. Il giornalista deve pensare costantemente al lettore e chedersi se può essere utile e come esserlo.

Uno dei problemi della crisi della stampa francese e che essa non è  crisi della domanda ma dell’ offerta. La stampa non porta sufficienti informazioni al lettore. Dopo la mia partenza da Le Monde ho constatato che, in quanto lettore sul web, non avevo alcun sito di riferimento. Navigavo fra siti e link che cercavo o conoscevo. Ora, molte persone fanno un uso professionale del computer senza avere dei punti di appoggio o dei riferimenti informativi. Quale sito vorrei avere sulla mia barra degli strumenti di navigazione?

Mediapart è nata da questa domanda. Abbiamo riflettuto sul concetto e ci siamo fermati su quattro imperativi: l’ essenziale dell’ informazione nazionale e internazionale; il meglio dell’ informazione (politica, economia, società, cultura), con il plusvalore nel suo trattamento e nell’ anticipazione; il meglio del web; il meglio del dibattito, aperto alle discussioni dei cittadini. Insomma, non vogliamo essere una testata di complemento, ma un mezzo autosufficiente e legittimo come “marchio” depositato.

LMU : Che cosa pensa degli inizi di polemiche al momento dellancio del vostro sito?

Edwy Plenel : Mediapart è una scommessa di cittadinanza. Era legittimo far conoscere il nostro progetto agli eletti e ai rappresentanti politici. Alcuni ci hanno sostenuto, altri hanno contestato la natura e l’ origine del progetto. Fa parte del gioco.
Ventisei giornalisti di mondi diversi compongono oggi la redazione. Questa pluralità si riunisce attorno a una stessa sfida: la libertà dell’ informazione. Più che una scommessa professionale, Mediapart è una scommessa democratica.

LMU : Cioè ?

Edwy Plenel : La funzione primaria del giornalista è di proporre una informazione giusta, che scuote le certezze e le credenze. Esistono forti sfumature fra “verità logica” e “verità dei fatti”. Senza parafrasare Hannah Arendt, le “verità logiche” perdurano sempre, animate dalle opinioni, dai giudizi, dai pregiudizi. Ma le “verità dei fatti” sono minacciate nelle nostre società moderne.
E allora ci vogliono degli artigiani per lavorare queste “verità dei fatti” perché senza di esse non c’ è più mondo comune. Se la realtà non è che percezione o ideologie, questo mondo scompare. La scommessa è essenziale. Fare di un media un luogo di sapere e di dibattito è l’ ambizione di Mediapart.

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3)

Pierre Haski : Rue89 deve « imporre una identità e un tono differente »

 

Intervista con Pierre Haski
co-fondatore del sito Rue89

Rue89

Le Mensuel de l’Université : Nascono sempre più siti di informazione sul web. Come Rue89 arriverà a distinguersi?

Pierre Haski : Rue89 parte da una constatazione semplice : l’informazione di base è oggi sottorappresentata, su tutti i supporti: stampa gratuita, radio e catene di informazione continua, notiziari ad accesso libero… il flusso mediatico è incessante. L’ offerta è crescente, globale e ormai di facile accesso.

Sin dall’ inizio abbiamo scelto di non cercare l’ esaustività ma piuttosto di ricavare del valore aggiunto selezionando l’ informazione.

Trattiamo gli argomenti che ci sembrano pertinenti senza sentirci obbligati a riprendere la gerarchizzazione dell’ informazione veicolata dai media tradizionali.

LMU : Questo non svierà qualcuno dei vostri lettori?

Pierre Haski : No. Sono loro stessi a chiederlo. Al momento della partenza avevamo inserito un elenco di notizie della Reuters sul sito per non frustrare quanti desiderano che una testata generalista si faccia eco di tutte le notizie. Ma abbiamo rapidamente constatato che gli internauti non le consultavano e le abbiamo eliminate, confortati nella nostra scelta editoriale: l’ importante non è fornire una offerta generalista, ma imporre una identità e un tono diversi.

LMU : Fate intervenire dei cittadini sulle vostre pagine. Non avete la sensazione di esercitare lo stesso mestiere di Agoravox ?

Pierre Haski : Affatto. Siamo prima di tutto dei giornalisti. Il sito è partecipativo e aperto ai non giornalisti ma il contenuto editoriale pubblicato viene valicato da una redazione di giornalisti professionisti. Garantiamo ai nostri lettori la verifica di ogni informazione diffusa. E’ credo, una delle ragioni del successo del sito.

Ma c’ è evidentemente posto per tutti. D’ altronde Agoravox non si presenta come un sito animato da giornalisti professionisti ma come una piattaforma di dialogo civica.

Da parte nostra, noi cerchiamo di sposare cultura professionale e cultura partecipativa di internet per mettere fine a una querelle sterile che oppone professionisti a cittadini.

LMU : Fino a dove arriva questa dimensione participativa ?

Pierre Haski : Rue89 milita per il pluralismo delle voci e desidera far vivere il dibattito delle idee, anche quando non sono le nostre. Per esempio uno dei nostri blogger, Etienne Wasmer, è un economista liberale con cui noi non condividiamo lo stesso punto di vista. Tuttavia alcune delle sue posizioni ci sembrano interessanti e vengono pubblicate e discusse dalla redazione e dagli internauti.

LMU : La stampa scritta tradizionale è a volte molto critica nei riguardi dell’ informazione sul web, spesso accusata di produrre del cattivo giornalismo. Cosa le ispira questo giudizio?

Pierre Haski : Questa opposizione non mi sembra molto pertinente. Il web non è che una tecnologia fra e altre. Web o carta, la scelta della qualità dei contenuti è fattibile, bisogna ancora prenderla in carico.
E’ vero che le aziende editoriali su internet dispongono spesso di troppo deboli mezzi umani, finanziari e professionali. E quindi non hanno il tempo né i mezzi per proporre una informazione verificata e costruita.  Rue89 punta su questa esigenza, malgrado la relative debolezza dei nostri mezzi. D’ altra parte vogliamo moltiplicare le inchieste e il lavoro di investigazione.

LMU : Secondo lei, devono essere dei giornalisti ad animare un sito affinché esso sia credibile?

Pierre Haski : Contrariamente ad altri media, ci presentiamo oggi sul web forti della nostra esperienza di giornalisti. La scommessa della stampa su internet è oggi sensibilmente diversa perché sempre più professionisti migrano sul web. E vi apportano la loro esperienza.
Non cambiamo mestiere ma immaginiamo una sua diversa pratica esplorando nuove forme di scrittura e di comunicazione. Ma i criteri etici e deontologici restano gli stessi. Meglio, essi predominano perché il modello economico del web garantisce una maggiore indipendenza.

LMU : La lotta per diventare un punto di riferimento sul web è già cominciata?

Pierre Haski : Senza alcun dubbio. Emergeranno nei prossimi cinque anni i siti che diventeranno punti di riferimento su internet. E’ un processo logico e inevitabile. Quello che è interessante notare è che il web dà anche delle chance ai  pure-players che vengono da internet, non soltanto ai media classici.

LMU : Che cosa pensa delle crisi di gestione a ripetizione che sta conoscendo la stampa scritta in questi ultimi mesi?

Pierre Haski : Il suo modello storico sta franando. Le crisi sono legate a questa difficile transizione e si spiegano a mio avviso con due tipi di ragioni.
Ci sono delle ragioni congiunturali, per prima cosa: l’ apparizione di nuovi giornali gratuiti, la diminuzione dei lettori giovani… E poi ci sono delle ragioni strutturali, legate alla distribuzione, alla stampa…

Il modello alternativo è ancora embrionale e non può ancora sostituirvisi. Le aziende editoriali non hanno mezzi sufficienti per finanziare questa transizione. Libération, per esempio, in cui il 90 % delle entrate vengono dal giornale, non può trasferire una parte dei suoi capitali per finanziare una evoluzione morbida verso il web.
In più i rari gruppi editoriali in Francia non finanziano sufficientemente il settore che oggi è controllato da grandi gruppi industriali la cui attività principale non è mediatica. I media sono sotto- capitalizzati quando vogliono restare indipendenti.

LMU : I media digitali possono conoscere crisi analoghe?

Pierre Haski : No. I mezzi tecnologici necessari non sono comparabili, perché infinitamente più piccoli. E quindi controllabili.

LMU : Come si traduce tutto questo per Rue89 ?

Pierre Haski : Abbiamo finanziato noi Rue89 per garantire la nostra indipendenza, e poi creando una società per azioni, “gli amici di Rue89”, composta da persone a noi vicine. La terza tappa consiste nel sollecitare degli investitori esterni, da cui saranno esclusi i grandi gruppi industriali o i fondi di investimento. Vogliamo controllare la nostra crescita e garantire la nostra indipendenza editoriale
L’ ingresso nel capitale sarà condizionato a una adesione totale al progetto di stampa indipendente. Questa apertura permetterà di sviluppare diverse funzionalità (rete sociali interne, pagine personalizzate…). La dimensione comunitaria sarà onnipresente.

LMU : Quali sono I vostri obbiettivi di sviluppo?

Pierre Haski : Vogliamo raggiungere un milione di visitatori mensili prima possibile. Attualmente siamo a 500.000 (novembre 2007). Il passaparola funziona piuttosto bene.

LMU : Gli internauti a volte si interrogano sul modello economico e la redditività dei siti di informazione. Qual è quello di Rue89 ? Mediapart ha scelto l’ accesso a pagamento: che ne pensa?

Pierre Haski : Non credo molto alla scommessa di Mediapart. La giovane generazione nata con lo strumento internet non è incline a pagare per ottenere informazioni online. La gratuità su internet ha le sue radici nello scambio e nella partecipazione, componenti di base della rete. Monetizzare l’ accesso all’ informazione online mi sembra quindi paradossale.

Posso condividere il principio difeso da Edwy Plenel, secondo il quale una informazione di qualità deve avere un prezzo che il lettore deve essere d’ accordo a pagare. Ma la filosofia stessa di internet non si presta a questo. A mio avviso è una strada incompatibile con la cultura originale del web.

Da parte nostra non pensiamo però di restare totalmente dipendenti dagli inserzionisti. E’ per questo che abbiamo creato l’ anno scorso una società di servizi basata sulla creazione, lo sviluppo e l’ animazione di siti web. E potremo quindi finanziare l’ attività di Rue89  con la vendita di contenuti editoriali. Che per ora resta minima. L’ obbiettivo comunque è di arrivare a un autofinanziamento del 30%.