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Anche se i media – in maniera più o meno cosciente – sono il supporto fondamentale della Retorica del discorso politico, la democrazia contemporanea ha bisogno del contributo di giornalisti che, dallÂ’ interno dei processi di produzione centralizzata e di distribuzione di massa delle ‘’paroleÂ’Â’, sappiano decifrare i meccanismi e denunciare pubblicamente gli obbiettivi di tale Retorica. Nessuna ‘’Guerra alla RetoricaÂ’Â’, ma reporter esperti in retorica che siano in grado di operare una massiccia ‘’ripulitura linguisticaÂ’Â’ di cui il mondo contemporaneo ha un grandissimo bisogno.
In un articolo pubblicato sull’ ultimo numero della Columbia Journalism Revue, dal titolo ‘’The Rhetoric Beat (Why journalism needs one)’’ – Lo Specialista in Retorica (Perché il giornalismo ne ha bisogno’’), Brent Cunningham prende in esame il peso che la scelta delle parole ha avuto, in relazione alle vicende del 9/11, nella determinazione delle azioni e come il proporsi con forza del ‘’discorso di guerra’’ abbia svolto un ruolo cruciale nel condurre per mano l’ America verso l’ azione militare in Iraq.
‘’È vero – precisa Cunningham -, il linguaggio è sempre stato usato e manipolato a scopi politici. La retorica politica non è intrinsecamente negativa, e io non sto suggerendo una Guerra alla Retorica. Ma ci sono aspetti dell’attuale realtà politica e culturale che sottolineano la necessità di una prominente, persistente ed intellettualmente onesta ripulitura linguistica, e la stampa tradizionale costituisce la nostra più grande speranza di ottenerla’’.
Una ‘’cattiva forma di linguaggio’’, spiega Cunningham, finisce per ‘’dominare il dibattito pubblico riguardo ad un determinato argomento escludendo una seria valutazione di possibilità alternative. Basti pensare a come la nazione abbia discusso (o non sia riuscita a discutere) circa la possibilità di invadere l’Iraq nei mesi che hanno portato all’invasione. Nell’agenda della “guerra al terrore” dell’amministrazione Bush, l’invasione dell’Iraq figurava come una “liberazione”, una “passeggiata”. Ci dicevano che i cittadini iracheni avrebbero accolto i soldati statunitensi con i fiori. Praticamente senza una controparte, questa preordinazione della liberazione ha effettivamente impedito approfondite considerazioni nel dibattito nazionale circa i differenti scenari che potevano profilarsi una volta messa fine ad una brutale dittature di 24 anni in un Paese che i leader statunitensi non comprendevano appieno’’.
I giornalisti specialisti in Retorica avrebbero già davanti ai loro occhi – rileva Cunningham – nuove forme di framing* del discorso sulla guerra in Iraq.
*Framing: Un frame è una struttura concettuale usata nel pensiero (Gorge Lakoff, Simple Framing, An introduction to framing and its uses in politics, 14 febbraio 2006) Vedi anche, ‘’Non pensate a un elefante’’ di Paul Olden(da www.ilbarbieredellasera.com ): |
Il messaggio ‘’che si sente giungere dalla Casa Bianca e dall’esercito è: certo, abbiamo commesso degli errori, ma abbiamo combattuto un conflitto onorevole e degno. Abbiamo dato agli iracheni la possibilità di vivere da persone civili, ma erano troppo invischiati in una serie di guerre tribali che risalgono a millenni fa’’. Ecco, secondo Cunningham, c’ è il timore fondato che ‘’sarà purtroppo facile per la stampa cadere nella trappola di ripetere acriticamente alla nazione’’ la storiella governativa secondo cui ‘Noi abbiamo vinto la guerra in Iraq, ma gli iracheni l’ hanno persa’ ”.
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L’ articolo di Cunningham è qui.