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di Vittorio Pasteris (lastampa.it)
Un recente scritto da Lsdi ripreso dal Barbiere della Sera, molti fatti vissuti in prima persona o letti in rete, sono segni dei tempi e richiamano a una riflessione importante su quello che in senso esteso potremmo chiamare dignità del giornalismo digitale.
Il post Il giornalismo dopo internet: un mestiere al ribasso? tratto da Ldsi (Libertà di Stampa Diritto all’informazione) e poi rilanciato dal Barbiere della Sera, presenta riflessioni a partire dal libro Le journalisme après internet , del ricercatore francese Yannick Estienne, sul futuro stesso del giornalismo ai tempi della rete o per meglio dire dopo che più di 10 anni di internet di massa lo hanno rivoltato e modificato.
Nello stesso scritto si richiede una esplicita testimonianza della situazione relativa alla redazione on-line di lastampa.it di cui l’autore di queste modeste riflessioni fa parte. Di questo tema parleremo approfonditamente in altro contesto nell’attesa che gli organismi preposti concludano le loro indagini analizzando, verificando e deliberando sul passato, presente e futuro della stessa.
Il tema che merita davvero l’apertura di un dibattito a largo raggio in Italia è quello legato alla dignità intrinseca del giornalismo on-line non come forma residuale di giornalismo, ma come espressione completa del fare l’informazione.
Internet è un canale di distribuzione dove passano bit codificati digitalmente in pacchetti tcp-ip. Un modo alternativo di trasmettere e distribuire le informazioni che per le sue peculiarità sta modificando i linguaggi e i formati dell’informazione e del giornalismo. Per questo internet si è oramai qualificata come un media autonomo: un media in rete.
Passiamo ad analizzare, approfondire ed esplicitate una selezione dei punti critici espressi da Lsdi nella sua analisi.
La ricerca svela il mondo invisibile della bassa manodopera dell’ editoria sul web, quei “giornalisti asserviti”, dal profilo “ibrido”, senza prestigio, senza autonomia, sottomessi a una logica commerciale e ai margini dei canoni deontologici professionali.
La realtà è questa: molte redazioni in rete delle testate dei media tradizionali sono costituite da giornalisti che vivono un disagio legato al mancato riconoscimento formale, spesso forzoso e forzato, della loro effettiva professionalità. Le ragioni di questo sono da ricercare ovviamente non nei giornalisti stessi, soggetti passivi di discriminazione, ma nelle diverse funzioni manageriali, sindacali e professionali che tentano di posizionare questi giornalisti in aree grigie spesso soggette a ricatto.
Anche per il massimo riferimento di tutela professionale, l’Ordine dei Giornalisti, lo stesso giornalismo on-line è ancora un illustre sconosciuto. A questo si aggiunga che la sindacalizzazione dei giornalisti on-line riconosciuti in quanto tali è modesta, dato che l’esistenza in vita dell’OdG e del sindacato stesso è vissuta dai giornalisti nati digitali come un de facto necessario, ma non fondamentale.
E’ chiaro che in queste aree di scarsa tutela è anche difficile che le redazioni on-line possano ottenere senza dover combattere difficili battaglie la necessaria indipendenza da eventuali contaminazioni economiche, se non addirittura politiche, ed il riconoscimento delle comuni rappresentanze sindacali.
La specializzazione del giornalista online ha sempre difficoltà a imporsi come tale nel campo giornalistico. Poco numerosi, invisibili e sconosciuti al pubblico, essi dispongono di pochissimo potere (…) e svolgono spesso un lavoro, se non ingrato, quanto meno con poco valore aggiunto. Non hanno la coscienza di far parte di un gruppo e quindi non hanno né rappresentanti, né portavoce, né organi rappresentativi.
Anche in questo caso la realtà è correttamente rappresentata: chi ha scelto elettivamente o strategicamente di lavorare per i media on-line è stato a lungo svantaggiato rispetto a quanti anno seguito media come giornali, radio o televisione. Ora la situazione sta cambiando.
Dopo gli anni della new economy durante i quali importanti giornalisti “tradizionali” erano scesi in campo nei media digitali, c’è stato un grosso riflusso dovuto ai modelli di business incerti sviluppati in quel tempo dall’editoria in rete.
Come contraltare i giornalisti nati in rete hanno saputo consolidarsi, formarsi, apprendere e sviluppare le caratteristiche dialogiche e multimediali dei media on-line costruendo un percorso che li ha fatti crescere.
Mentre la crisi dei media classici, come la carta stampata, diventava visibile e progressiva, i media digitali crescevano, dando nuove opportunità di lavoro.
Probabilmente i giornalisti nativi digitali hanno maggiormente la coscienza della loro diversità rispetto ai tradizionali, che una coscienza giornalistica tout court, ma hanno anche un forte spinta ideale per realizzare una informazione “corretta e pulita” in cui la citata ricerca del potere viene vista più come un valore negativo che come una ipotesi in cui identificarsi.
Lo stesso problema degli organismi rappresentativi dei lavoratori del mondo digitale sta cercando in questi tempi di trovare un percorso di sviluppo fra due soluzioni possibili apparentemente antitetiche: creare rappresentanze autonome o ritagliarsi spazi fra i preesistenti organismi.
I giornalisti dei siti web dei media tradizionali desiderano come prima cosa affermare la propria legittimità agli occhi dei loro pari dei media tradizionali. Mentre per i giornalisti delle testate web al 100%, la priorità sembra essere quella di costituire le basi di quella legittimità che è loro negata.
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La natura reale del lavoro effettuato dal giornalista online contribuisce ampiamente ad alimentare questa frustrazione, a fare di lui un giornalista asservito. Le redazioni web fanno soprattutto un lavoro di desk, di giornalismo seduto, che non va mai sul campo e non dispone di mezzi per fare inchieste: l’ essenziale del loro lavoro si articola intorno ad informazione di seconda mano. Viene realizzato con i criteri del just-in-time, con una forte richiesta di reattività e di produttività, in una posizione molto spesso assoggettata alla macchina.
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L’ essenziale del lavoro di editorializzazione del giornalista Web consiste nel selezionare e nel gerarchizzare l’ informazione fornita dal supporto originale, le agenzie di stampa e i service esterni. Non richiede mai un lavoro reale di scrittura o di produzione di articoli, attività che resta considerata come la più interessante e carica di valore nel mestiere di giornalista: online il giornalista non firma…
Sono tre passi diversi in cui i analizzano aspetti dello stesso problema che viene banalizzato nel concetto di scarsa rilevanza professionale e qualitativa del giornalismo on-line. Il fatto che le redazioni digitali lavorino per lo più dal desk e quindi non possano “scendere nel mondo” per raccogliere informazione di prima mano è una conseguenza dell’organizzazione aziendale e delle scelte strategiche delle aziende editoriali, non è una caratteristica costitutiva dei media digitali.
E’ banale ma va chiarito che se si ha disposizione una redazione di 250 giornalisti e un budget di diciamo 100 per un giornale cartaceo e se invece si dispone di una redazione di 15 persone e di un budget diciamo di 3 per un sito on-line, c’è poco spazio di manovra per sperare di realizzare un giornalismo meno mediato.
L’obiettivo editoriale di realizzare dei siti di news generalisti che coprano tutte le sezioni tematiche dei giornali tradizionali è uno sforzo che richiede di ottimizzare le poche risorse disponibili per realizzare comunque dei prodotti di qualità per quello che riguarda la completezza, l’onestà e la tempestività dell’informazione.
Si tratta dello stesso problema con cui devono convivere le redazioni radiofoniche e televisive di emittenti di piccole e medie dimensioni, che possono permettersi poche risorse e molta produttività. Per questi il problema di realizzare il pane, non di poter pensare al companatico.
Questo non vuol dire però che il giornalismo digitale deve essere per forza un giornalismo “povero” o “di bassa qualità”. Con risorse, budget e tempo a disposizione le redazioni on-line potranno senza problemi dedicarsi a inchieste, approfondimento, analisi, opinioni.
Il percorso che porta a una crescita quantitativa delle redazioni digitali e un maggiore rapporto di collaborazione strutturata fra redazioni on-line e tradizionali è lo stato dell’arte ad esempio negli Usa. In Italia per molte ragioni l’evoluzione in questo senso stenta a decollare.
Gerarchizzare gli atomi dell’informazione, connetterli, strutturali, mescolanto testo, audio video e altro è un lavoro che richiede a sua preparazione e conoscenza, per dare valore e significato alle notizie. Provate a dare una occhiata a un Tg di rete 4 e del TG3 per capire il senso di queste parole.
E neppure si può considerare fattore distintivo di una qualità dell’informazione il fatto che manchi l’esercizio diffuso dello scrivere o il firmare tutto quanto viene realizzato. E’ la qualità e l’obiettività della stessa ad essere condizionante, non il suo metodo espressivo. Essere giornalista non vuol dire per forza essere scrittori, anche se aiuta saperlo fare.
Per queste ragioni il tentativo di motivare un senso di inferiorità
dei giornalisti nativi digitali rispetto ai giornalisti per esempio cartacei non è che una visione di parte della questione, finalizzata a fotografare forzosamente la situazione.Con questo non si vuole dimostrare che il giornalismo digitale sia una forma migliore di altre modalità di fare informazione, si tratta semplicemente di diverse facce della stessa medaglia. E’ interesse di tutti I giornalisti una corretta sinergia e una definizione sincera dei ruoli. Ma diventa un fattore importante anche per I lettori sempre meno attori passivi del ciclo di vita dell’ informazione.