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Mentre da Goteborg il presidente della WAN, l’ Associazione mondiale dei giornali, Gavin O’ Reilly, assicura che “il futuro dei giornali è roseo”, dagli Usa si fanno sentire nuovamente delle voci radicalmente pessimistiche.
Fra queste ultime c’ è, in particolare, quella di Paul Gillin – un giornalista che da sempre segue internet e le tecnologie informatiche (fra l’ altro è stato cofondatore di TechTarget e direttore di Computerworld) – che parla addirittura di“spirale di morte”.
La notizia di un calo record (meno 14%) dei giornali Usa nel primo trimestre 2008 – diffusa dalla Newspaper Association of America in un venerdì pomeriggio dopo il Memorial Day, sperando forse, rileva Gillin, che così forse sarebbe passata inosservata – dimostra che la realtà è peggiore di quello che anche i più scettici avevano immaginato e indica che l’ industria dei giornali è entrata in una irreversibile spirale di morte. Per spiegare perché Gillin ha appena pubblicato sul suo sito – che non a caso ha chiamato Newspaperdeathwatch – un articolo dal titolo “Has the death spiral begun?”
Gillin cita in particolare Jon Fine che, su BusinessWeek, ”pensa l’ impensabile”: uno o più fra i principali quotidiani Usa andrà sotto nei prossimi 18 mesi. Non è un’ idea esagerata. La crescita dei costi di stampa e del petrolio sta aumentando il peso su un’ industria già piena di problemi, che distribuisce i suoi prodotti su strada. Qualche editore sa comninciando a pensare seriamente a tagliare le edizioni del lunedì e del martedì, le meno vantaggiose. E Dean Singleton, Ceo di MediaNews, ha spiegato recentemente come 19 dei 50 maggiori giornali Usa stiano perdendo soldi.
E se, appunto – argomenta Gillin – un terzo delle principali testate americane stanno perdendo soldi allora la spirale è probabilmente cominciata. L’ unica strada per fermarla è intervenire profondamente e dolorosamente, con tagli delle redazioni sull’ ordine del 40% e più e un forte rafforzamento della versione settore online.
Tuttavia questo difficilmente avverrà. Gli imprenditori in difficoltà raramente hanno lo stomaco – o gli investitori se la sentono – di fare dei cambiamenti radicali. Invece fanno quello che tutti stanno facendo oggi: tagliare dal 5 al 10% qui e lì fino a quando lentamente sanguineranno a morte.
Avevo sottolineato questo scenario – precisa Gillin – nel mio saggio del 2006 sul collasso dei giornali e la reinvenzione del giornalismo:
I giornali saranno costretti a licenziare giornalisti per mantenere i margini. Tagliare i servizi porterà a tagliare la copertura editoriale, rendendo il giornale meno importante per i lettori. Più la diffusione declina, e più i prezzi delle inserzioni devono scendere per restare competitivi. Tutto questo eserciterà una ulteriore pressione sui margini, portando a ulteriori tagli, a una ulteriore contrazione delle vendite e a maggiori pressioni sui margini. Una volta che questa spirale si avvia, andrà accelerando con velocità spaventosa.
Se guardate all’ analisi di Alan Mutter sulla situazione alla McClatchy, si può verificare come questo scenario potrebbe andare avanti. Dal punto di vista di Mutter, i tagli non riusciranno a coprire un quarto della diminzione dei ricavi del Gruppo. Questo significa che bisognerà fari altri tagli, azzoppando la capacità dei suoi giornali di realizzareun prodotto di qualità. Il logoramento dei lettori continuerà. E così via.
Tutti questi trend sono già all’ opera, e anzi un po’ più velocemente di quanto io avevo predetto. Quanto più a lungo gli editori cincischieranno tanto più rinvieranno quelle decisioni che potrebbero salvarli. Ma sfortunatamente per la maggior parte dei giornali Usa sarà già troppo tardi.