Ifj: nel 2007 record di giornalisti uccisi
La Federazione internazionale dei giornalisti parla di 172 reporter e operatori dei media ammazzati – In Iraq registrati 65 morti – Il Rapporto di Human Right Watch attacca duramente anche molti paesi occidentali, fra cui gli Usa, e l’ Ocse
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Il numero dei giornalisti e degli altri lavoratori dell’ informazione uccisi nel corso del 2007 è stato un tragico record. E’ la riflessione della Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ) che fornisce la cifra di 172 vittime.
In un ampio Rapporto diffuso in questi giorni – Deadly Stories 2007killing journalists touch record level – l’ IFJ ricostruisce tutti i casi che si sono verificati nel corso dell’ anno nelle varie regioni del pianeta, sottolineando come ancora una volta l’ Iraq, con i suoi 65 giornalisti e operatori uccisi, sia il paese più rischioso del mondo per la stampa.
Il numero delle vittime comprende sia i giornalisti uccisi (135) che quelli morti per incidenti (37). Secondo i dati dell’ IFJ, dopo l’ Iraq i paesi con più vittime sono stati nel 2007 il Pakistan e la Somalia (entrambi con 8 giornalisti uccisi e uno vittima di incidenti). Seguono il Messico (6 e 3) e Sri Lanka (6).
I dati dell’ IFJ – tutti documentati – sono superiori a quelli forniti nei giorni scorsi dalla WAN , che registra 95 vittime, e da Reporters sans frontières, che parla di 86 giornalisti uccisi nel 2007.
Il Rapporto di Human Right Watch
Di stampa censurata, brogli elettorali, violenza politica, misure contro lo Stato di diritto, dalla Giordania alla Birmania, dalla Cina alla Russia, dalla Tunisia al Pakistan parla ampiamente il Rapporto 2008 di Human Rights Watch pubblicato in questi giorni.
Settantacinque i paesi messi sotto osservazione da HRW, che lancia l’allarme: le democrazie occidentali rischiano di minare seriamente i diritti civili e politici all’estero avallando le operazioni discutibili dei cosiddetti “simulacri di democrazia”.
Non basta uno scrutinio per provare che uno Stato sia realmente democratico, e troppo spesso le diplomazie europee e statunitensi chiudono gli occhi di fronte a situazioni gravi di violazione della libertà d’espressione, brogli, violenze contro i media e la società civile.
“Oggi è facile per gli autocrati inscenare una parodia di democrazia” ha spiegato Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch “E questo perché i governi occidentali (…) non esercitano pressioni sui punti chiave dei diritti umani che fanno funzionare una democrazia – la libertà di stampa, il diritto a riunirsi pacificamente”.
Un altro nodo rilevato dal rapporto è quello delle Olimpiadi di Pechino. I giochi saranno un’occasione “storica per il governo cinese di mostrare al mondo che può fare dei diritti umani una realtà di 1 miliardo e trecentomila cittadini”.
Anche l’analisi sui paesi occidentali solleva diverse preoccupazioni. Difficile richiedere che siano Stati Uniti e i loro alleati a esigere il rispetto dei diritti umani, se sono questi stessi paesi a commettere gravi violazioni giustificandoli a causa di una generale e troppo ampia “lotta al terrorismo”. Sono ad esempio 257 i detenuti incarcerati senza alcuna accusa a Guantanamo, implicati nella guerra al terrore di Washington. Alcuni tra loro si trovano in una sorta di limbo: per gli Stati Uniti potrebbero essere liberati, ma restano lì perché non possono tornare nel loro Paese d’origine e nessuna nazione accetta di accoglierli.
Un altro caso esemplare, sottolinea HRW, viene dall’OCSE, l’Organizzazione europea per la cooperazione e lo sviluppo economico, che ha affidato la presidenza nel 2010 al Kazakistan, paese che detiene vaste riserve di petrolio e di gas. Nello scorso agosto il partito kazaco al potere ha conquistato il Parlamento nel corso di elezioni che – secondo gli stessi osservatori dell’Ocse – hanno visto i media censurati, l’opposizione duramente repressa e un conteggio irregolare delle schede.