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“Le caratteristiche dei blog giornalistici inducono a immaginare la nascita di un cosiddetto neogiornalismo.
Da non confondere con “nuovo giornalismo” (termine utilizzato negli Stati Uniti per definire il movimento di forte critica nei confronti della società americana e di ritorno alla soggettività nel reportage, secondo la pratica di un Truman Capote, Tom Wolf o Hunter S. Thompson), il neogiornalismo qualifica una comunicazione di tipo orizzontale in cui svaniscono le divisioni classiche non solo fra i generi ma anche fra i ruoli dei protagonisti della comunicazione (il giornalista non è più il padrone delle fonti).
Il prefisso “neo” simbolizza il ritorno a dei valori essenziali, scomparsi o fortemente svalutati, che erano stati parte integrante nella genesi dell’ immagine classica, iniziale della pratica. Per l’ ideale giornalistico, sarebbe il risorgere di una pretesa verso l’ obbiettività e l’ onestà e quindi verso tutto quello che il quarto potere, comprendendovi la sua parte di utopia, incarna e che il continuo rilancio economico-politico-mediatico ha corroso”.
La lunga citazione è tratta da uno dei saggi pubblicati su un libro appena uscito in Francia nelle edizioni dell’ Harmattan, che Narvic recensisce sul suo blog, Novovision: « La liberté d’informer retrouvée. Les médiablogs : fers de lance du néojournalisme ? », di Emmanuel Murhula A. Nashi, Sophie Damas, Annabelle Klein e Sandro Faes. In « Objectif blogs ! Exploration dynamique de la blogosphère », sotto la direzione di Annabelle Klein, L’ Harmattatn, 2007, 240 p., 24€.
Al centro dell’ analisi di un gruppo di ricercatori belgi, le motivazioni che spingono dei giornalisti “affermati” che si mettono a bloggare e il maturare, in questa loro pratica, di una sorta di “neogiornalismo”.
In questo studio consacrato specificamente ai giornalisti blogger – rileva Narvic – emerge la conferma indiretta di una intuizione sullo stato inquietante del sistema mediatico attuale: se dei giornalisti si mettono oggi a bloggare, è per ritrovare una libertà di informare che ritengono evidentemente di avere perduto nei media tradizionali e una relazione diretta col lettore che non c’ è.
E facendo questo, secondo Narvic, essi reinvestano il loro mestiere sotto una forma nuova, più libera, interattiva col lettore e non gerarchica, che permette il risorgere del progetto utopico di un giornalismo emancipatore.