———-
Il Sindacato Nazionale dei Giornalisti francesi (Snj, aderente alla CGT) ha abbandonato gli Stati generali della stampa scritta, la grande kermesse organizzata dal presidente Nicolas Sarkozy per fare il punto sulla crisi della stampa francese, sostenendo che i primi risultati dei lavori delle commissioni avrebbero confermato le loro forti perplessità inziali.
Sin dal lancio degli Stati generali, spiega un documento della Snj-Cgt (uno dei quattro sindacati dei giornalisti francesi), “avevamo denunciato la parodia di concertazione messa in campo dall’ Eliseo e le minacce che questa strategia fa pesare sul diritto all’ informazione e sull’ integrità morale e professionale dei giornalisti”.
E’ chiaro a questo punto, secondo la Snj, che questi Stati generali “hanno un solo scopo: organizzare il mercato e la redditività di un nuovo modello economico a vantaggio soltanto dei grandi gruppi editoriali, nazionali e soprattutto multinazionali, di fronte ai progressi del web e di internet”.
In Francia i lavori degli Stati generali sono al centro dell’ attenzione. Su Acrimed (sito web di analisi e di critica del mondo dei media) si può leggere un’ analisi interessante degli obbiettivi che sarebbero dietro questa iniziativa, secondo cui attraverso gli Stati generali si starebbe celebrando una sorte di “ode al capitalismo mediatico”.
Visto che se ne è cominciato a parlare anche qui da noi, ci sembra utile presentare delle valutazioni sull’ esperienza francese.
Il documento del Snj
Poco importa – continua il documento – che tutto questo si traduca in una profonda degradazione delle condizioni di lavoro dei giornalisti e del diritto a una informazione pluralista. Fagocitati da dei rappresentanti padronali onnipresenti che impongono la loro visione mercantile dell’ informazione, semplice prodotto di marketing che bisogna formattare e mettere in scena al minimo costo, questi pseudo Stati generali della stampa scritta mettono di fatto la museruola ai cittadini e ai sindacalisti a cui è stata concessa qualche piccola poltrona.
Non si tratterebbe altro che di far saltare qualche catenaccio per rendere redditizio al massimo questo settore.
Così – prosegue il Snj – le leggi anticoncentrazione, i diritti d’ autore, gli statuti dei lavoratori, piloni portanti della nostra democrazia, non sarebbero che degli ostacoli per i cambiamenti e gli sviluppi della loro “industria” (cioè dei loro profitti). Il contenuto, la qualità dei giornali, la circolazione delle idee, il diritto democratico all’ informazione e al pluralismo, l’ indipendenza delle redazioni, non fanno parte dei dibattito, né, sfortunatamente, delle preoccupazioni dei poteri pubblici.
Diversamente dallo spirito di 60 anni fa, lo Stato regolatore – continua il documento – ora ha solo un obbiettivo: facilitare le concentrazioni e garantire la massima redditività agli azionisti dei grandi gruppi, la maggior parte dei quali fanno capo agli amici del Presidente! In queste condizioni, constatando che tutto e’ stabilito in anticipo, il SNJ-CGT si rifiuta di avallare con la sua presenza questo simulacro di dibattito e di concertazione.
Pertanto, il SNJ-CGT – conclude il documento – abbandona gli Stati generrali e lancia un appello al giornalismo e, più oltre, ai cittadini interessati a una informazione pluralista, ad unirsi per fare in modo che si realizzi un vero diritto all’ informazione.
– – –
Dietro gli Stati generali* una ode al capitalismo mediatico
Henri Maler , l’ autore dell’ articolo pubblicato da Acrimed, ritiene in particolare che il Rapporto di Danièle Giazzi – il documento alla base dell’ iniziativa di Sarkozy – non sia altro che “un’ ode al capitalismo mediatico” e punti quindi, soprattutto, a favorire le concentrazioni.
Dice Maler, fra l’ altro:
Niente, neanche una parola sui quotidiani o i periodici che godono di scarse risorse pubblicitarie o che hanno fatto la scelta di fregarsene della pubblicità;
Niente, neanche una parola, sul ruolo del sistema audiovisivo pubblico in questa strategia miracolosa;
Niente, neanche una parola sul futuro dei media del terzo settore e dell’ associazionismo;
Tutto per la mercificazione e le concentrazioni.
La conclusione del Rapporto – spiega – sottolinea giustamente che “tutto si lega”, ma una esigenza domina le altre: « E’ importante far saltare in fretta i blocchi che impediscono ai grandi gruppi mediatici francesi di diventare dei grandi gruppi multimediali mondiali, trascinandosi dietro tutto il settore delle industrie culturali ».
I – Favorire le concentrazioni capitalistiche
E’ l’ oggetto dell’ « Obbiettivo 6 » (« Permettere la costituzione di gruppi di taglia internazionale » e delle 4 « Raccomandazioni » (23-26) che permetterebbe di raggiungerlo.
« Autorizzare un gruppo editoriale a possedere una catena televisiva, una radio e un quotidiano di dimensione internazionale. In altre parole « abolire » la regola detta dei « due su tre » che impedisce a uno stesso gruppo di possedere simultaneamente un grande quotidiano nazionale, una grande radio nazionale e una grande rete televisiva nazionale. Questa regola, secondo il rapporto, costituisce un « handicap ».
« Alzare la soglia di audience massima per una radio » al fine « di aumentare i mercati potenziali delle radio nazionali,vegliando però contemporaneamente sul rispetto del pluralismo delle antenne ».
« Ridefinire i limiti alla concentrazione della televisione su una audience reale piuttosto che sul numero delle emittenti ». In altre parole non prevedere altri limiti alla concentrazione se non un plafond di audience che (e questa volta non lo dimenticheremo…) riguarderebbe anche la televisione pubblica.
« Sopprimere le soglie di detenzione massima nei vari settori (49%, 15%, 5%). Con questa deliziosa precisazione: « La garanzia di pluralismo, che è già determinata dalla protezione della concorrenza, ci sembra debba essere ricercata per altre strade e in particolare attraverso il rafforzamento della professione giornalistica e quello dell’AFP ».
A questo prologo, secondo cui le concentrazioni non fanno correre alcun rischio al pluralismo e all’ indipendenza delle redazioni, abbiamo già risposto in passato (vedi ad esempio: « Per garantire il pluralismo, contro la concentrazione e la finanziarizzazione dei media », maggio 2006). Tutto il resto, nel rapporto, deriva più o meno dall’ obbiettivo iniziale.
II. Favorire con tutti i mezzi i media privati e “finanziarizzati”
(1) Tra le misiure destinate a (« Obbiettivo 5 ») « Sostenere gli investimenti », si trova ad esempio:
« Mettere in campo delle misure di stimolo all’ investimento digitale. Cioè: piuttosto che favorire la ricerca pubblica, riformare il c redito d’ imposta sulla ricerca destinato alle imprese in modo che esso possa diventare ugualmente, a budget costante, « un vero credito d’ imposta digitale per il settore dei media ».
« Allargare il perimetro degli aiuti alla digitalizzazione. Per « permettere ai siti d’ informazione di giornali presenti unicamente sul web (Mediapart, Rue 89…) di beneficiare di queste disposizioni » e « inoltre » permettere ai siti che vendono abbonamenti agli internauti di applicare una IVA ridotta. Quanto agli altri siti, che fanno la gran parte della vitalità del web ma non sono né « generalisti », né « professionali », né a pagamento, che se la sbroglino da soli.
(…)
Infine, anche se essa è rivolta secondo la Signora Giazzi a « difendere e rafforzare il pluralismo», non si potrà omettere questa audacia (« Racommandazione n° 2 ») : « Migliorare il finanziamento della stampa sviluppando il mecenatismo ». Una « innovazione » che suona come una rifondazione del sistema di aiuti alla stam pa e accorda ai mecenati il potere di scegliere i media che lo meritano e consente loro di accrescere il loro prestigio e il loro potere simbolico.
(2) Quanto alla pubblicità, Maler nota come, in relazione alla necessità (« Obbettivo 8 ») di « sostenere i media francesi di fronte alle sfide del digitale », si apprende (Raccomandazioni 30-32), senza sorpresa è vero, che la pubblicità, finora regina dei finanziamenti, merita di diventare imperatrice.
Per questo conviene « preservare gli equilibri economici di fronte all’ evoluzione dei mercati della pubblicità ». E più in particolare « adattare le regole della pubblicità alla televisione ». In pratica: trasportare, ma in maniera progressiva, la direttiva europea, « in modo da evitare un richiamo troppo forte del mezzo televisivo nei confronti degli inserzionisti », che rischierebbe di destabilizzare la radio e la stampa scritta. Ma soprattutto: « accordare un reale statuto al product-placement » e « immaginare […] la possibilità di nuovi format pubblicitari come lo schermo suddiviso ».
E’ ancora il mercato pubblicitario (e non la cultura dei cittadini) l’ obbiettivo quando si parla di « ottimizzare e garantire le misurazioni di audience e di contenuti ». L’obbettivo è trasparente : « Questi problemi assumono una grande importanza in un contesto in cui una frazione crescente della spesa pubblicitaria si trasferisce sul media digitale, e in cui i nuovi entrati, desidesori di conquistare delle parti di mercato, hanno la tendenza a far abbassare i prezzi della pubblicità. »
——-
* Naturalmente questi Stati generali della stampa scritta che si svolgono sotto l’ egida di Sarkozy, non hanno niente a che vedere con gli Stati generali sul pluralismo dei media. (Vedi Lsdi, La Francia contro la privatizzazione dell’ informazione)