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Migrazioni: utilizzare i media per “sentirsi a casa”

I media come “cornice portatile” in cui infilarsi per “tornare a casa” nei momenti di spaesamento – Una tesi di un ricercatore della Iulm – Il caso della BBC, che non avrebbe più una funzione di integrazione culturale nei confronti delle ultime ondate migratorie, spinte così a rifugiarsi sempre di più nei media dei paesi d’ origine

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Si parla spesso di come i media rappresentano i migranti, mai di come questi ultimi utilizzano i media per abbattere il confine che si portano addosso. E’ su questa tema che su Meltingpot.org, Alessandra Sciurba ha intervistato Tiziano Bonini, un ricercatore alla Iulm di Milano che ha appena finito la sua tesi di dottorato dal titolo “Turisti, migranti, vagabondi: tornare a casa/sentirsi a casa con i media”.

Secondo il ricercatore, in particolare, i media possono essere “una specie di scenografia portatile, una cornice portatile che uno tira fuori nei suoi momenti di disperazione, di spaesamento, di nostalgia , e mettendosi dentro questa cornice, inserito dentro questa cornice, può temporaneamente e in maniera molto fragile sentirsi a casa”.

Nell’ intervista si fa riferimento, fra l’ altro, al caso dell’ UK e della BBC. Mentre in passato – spiega Bonini – l’ emittente

“ha  avuto un ruolo fondamentale nel nutrire, nel fornire una base, una piattaforma di discussione, di alfabetizzazione alla cultura nazionale inglese”, oggi “ci sono delle comunità migranti che vivono lì e che non sono più rappresentate dalla Bbc, ma molti di loro guardano la televisione o programmi o i canali satellitari delle loro nazioni d’origine.
In questo caso si tratta di comunità che vivono fisicamente in Inghilterra ma che, nel momento in cui si connettono ai media dei loro paesi d’origine, è come se fossero delle piccole sfere disperse fuori dal territorio madre che ci rientrano virtualmente attraverso l’ uso dei media. Seguono il dibattito pubblico, il discorso pubblico, lo svolgersi della cultura nazionale del proprio paese non essendo fisicamente lì, sono diasporiche”
.

“Alcuni studi di sociologi inglesi che ho dovuto affrontare per la tesi – precisa il ricercatore – dicevano che le comunità indiane non si sentivano rappresentate dalla Bbc, e allora la Bbc dovrebbe cominciare a pensare che non è più il media nazionale degli inglesi bianchi di un certo tipo, ma che è il media di una comunità fatta di tante comunità diverse e dovrebbe provare a rispondere di più, a rappresentare di più queste comunità”.

Se i migranti non si sentono rappresentati dai media, insomma, si chiudono nella rappresentazione identitaria che ne dà il proprio mezzo di comunicazione originario.

Diversamente da quanto avveniva nell’ ondata migratoria della fine ‘800-primi ‘900, inoltre, i media condizionerebbero fortemente quella attuale.

“Sappiamo tutti che in Albania si vedeva la televisione italiana negli anni ’90 e gli albanesi avevano imparato a parlare italiano attraverso la televisione. Anche per questo hanno deciso di andare in Italia, per loro era l’avamposto della modernità, dell’Europa ricca, il paradiso in terra. Questo è uno degli esempi più famosi – osserva Bonini -.

È vero che i media da soli non bastano a spingere qualcuno a lasciare la propria casa, i motivi sono certamente altri: il disagio, la persecuzione, cose molto più grandi. Ma la scelta di dove andare, di cosa aspettarsi, questa sì è condizionata.

Perché è soprattutto un discorso di aspettative – anche la musica rap ascoltata nei sobborghi delle metropoli africane poi crea un immaginario, lavora sull’immaginario dei giovani che si fanno un’idea dell’America, dell’Occidente che si modella simbolicamente attraverso i prodotti mediatici con cui vengono a contatto, dai Cd, ai film, ai frammenti di televisione che colgono, alle immagini degli eroi della musica stamparti sulle magliette, sicuramente l’aspettativa del mondo occidentale è condizionata dai media”.

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