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Murdoch fa il padrone al ‘WSJ’ e cerca la tripletta con il ‘Newsday’

Il boss caccia il direttore che non si adegua alle sue direttive editoriali e la redazione comincia davvero a temere per la sua autonomia – “Anche quelli che se lo aspettavano, non pensavano che sarebbe stato così veloce” – Intanto gli viene offerto Newsday, il tabloid “della gente che pensa” – Ad offrirlo è Sam Zell, il re del mattone avventuratosi nel turbolento mondo dei giornali a stelle e strisce – Con la luce verde di Zell, che controlla la società Tribune Company, Murdoch diventerebbe il padrone di tre dei dieci giornali più diffusi degli Stati Uniti – Ma si aprirebbe un complesso problema giuridico perché la legge (di cui comunque si dicute molto in questi tempi) limita per ogni editore su ciascun mercato il controllo di un solo giornale e di una emittente tv e Murdoch che ha anche due tv, è già parecchio oltre.

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di Matteo Bosco Bortolaso

New York -Terremoto al Wall Street Journal. Murdoch entra nel prestigioso quotidiano, in tutti i sensi: firma un intervento nella pagina degli editoriali il giorno in cui il direttore del giornale se ne va. Da quando il WSJ è passato di mano al cosiddetto “squalo” dei media, le nuove linee direttive erano chiare: storie più corte, più politica, sport e intrattenimento in prima pagina, meno economia.

Secondo le ricostruzioni, il direttore, Marcus Brauchli, avrebbe appoggiato alcuni cambiamenti, ma frenato su altri. Il suo potere di controllo sul giornale, comunque, era diminuito. Murdoch aveva voluto, nella redazione, un ufficio per Robert Thomson, nuovo editore e suo fedelissimo. Thomson non era soddisfatto dalla direzione Brauchli.

Le tensioni – da quanto trapela dalla redazione – nascevano dalla richiesta della Newscorp. di rimuovere alcuni giornalisti e di mettere gli articoli più corti in prima pagina.

Brauchli avrebbe cominciato a meditare di lasciare il giornale qualche settimana fa, durante un viaggio in Cina. La notizia, comunque, ha colto di sorpresa diverse persone: è stata pubblicata la sera del 21 aprile sul sito del settimanale Time, mentre il direttore, Murdoch e molti giornalisti del WSJ erano alla cena dell’Atlantic Council of the United States.

Ora le paure nella redazione – dove Brauchli era amato e rispettato – aumentano. Un reporter ha detto al New York Times, sotto la copertura dell’anonimato: “Anche quelli che se lo aspettavano, non pensavano che sarebbe stato così veloce. E chi non se lo aspettava, adesso è a terra. Marcus continuava a respingere certe proposte, dicendo che voleva proteggere la cultura, ma adesso che se ne è andato, che succederà?”.

Il direttore ha scritto alla redazione che “ora che la transizione di proprietà ha avuto luogo, credo che i nuovi proprietari debbano avere un direttore di loro scelta”. Anche se le dimissioni di Brauchli hanno effetto immediato, il giornalista – che ha un curriculum davvero impressionante – rimarrà alla News Corporation come consulente.
Murdoch, per la verità, aveva assicurato gli azionisti che non avrebbe licenziato il direttore per controllare i contenuti editoriali pubblicati dal Journal. Aveva addirittura preso un accordo affinché una commissione indipendente vigilasse sulle possibili interferenze.

I cinque membri di questa commissione – stipendiati a 100 mila dollari all’anno – sono Susan Phillips, capo della scuola di economia della George Washington University, Thomas Bray, ex responsabile delle pagine degli editoriali del Detroit News, Louis Boccardi, che in passato è stato ai vertici della Associated Press, Nicholas Negroponte, fondatore della società nonprofit One Laptop per Child e Jack Fuller, presidente della Tribune Publishing Company.

Murdoch avrebbe chiamato ognuna di queste persone, che si sono poi confrontati in una conference call di un’ora e mezza, alla quale ha partecipato lo stesso direttore, sottolineando che le dimissioni erano una decisione personale, non una reazione a interferenze editoriali.

Lo “squalo” ha firmato anche un editoriale sul WSJ, che riprende l’intervento pronunciato all’Atlantic Council sul ruolo della Nato. “L’Europa non ha più la voglia politica né la cultura sociale per sostenere gli impegni militari per difendere se stessa e i suoi alleati”, sostiene il padrone di Fox. Conviene quindi, secondo l’editore-editorialista, allargare la Nato a Australia, Israele, Giappone e, in Europa, ad Albania, Croazia, Ucraina e Georgia. Il vecchio continente, inoltre, minaccia la Nato perché “sta perdendo fede nei valori e nelle istituzioni che ci hanno mantenuto liberi”.

 

MURDOCH INARRESTABILE: TRIPLETTA A NEW YORK

Rupert Murdoch vuole fare la tripletta. Dopo il tabloid New York Post e il prestigioso Wall Street Journal, potrebbe portare nella cassaforte della sua Newscorp. pure Newsday, il tabloid “della gente che pensa”. Ad offrirlo al magnate dei media australiano è Sam Zell, il re del mattone avventuratosi nel turbolento mondo dei giornali a stelle e strisce.

Con la luce verde di Zell, che controlla la società Tribune Company, Murdoch diventerebbe il padrone di tre dei dieci giornali più diffusi degli Stati Uniti. Secondo gli esperti del settore, se il passaggio di mano andrà a buon fine, i due tabloid, teoricamente rivali, condividerebbero alcune attività, arginando così le perdite del New York Post, che soffre di un’emorragia di 50 milioni all’anno.

Murdoch, padrone della tv conservatrice Fox, ha offerto 580 milioni di dollari per Newsday, una mossa che inquieta molti giornalisti della redazione che ha sede a Long Island, non troppo distante da Manhattan.

L’imprenditore australiano si muove con disinvoltura tra vecchi e nuovi media: dopo aver conquistato il Wall Street Journal, aspira a raggiungere un accordo per Yahoo e ha aperto un canale della Fox dedicato agli affari e alla finanza.

Non è detto che il magnate australiano abbia successo nella sua tripletta: il proprietario di The Daily News, Mortimer Zuckerman, altro rivale storico del New York Post che vede con preoccupazione un Murdoch sempre più potente, sta preparando una contro-offerta.
E una terza cordata, composta da l’Observer Media Group, che pubblica The New York Observer, e la società Cablevision, che gestisce la tv via cavo, potrebbe entrare nella sfida.

La preda, Newsday, messo in vendita dal re del mattone, ha ricavi che non sono in crescita, ma l’anno scorso i profitti – al lordo di interessi, tasse e altro – sono stati di 80 milioni di dollari a fronte di 500 milioni di ricavi.

Il declino è iniziato nel 2000, quando la società editrice Times Mirror fu acquistata dalla Tribune: meno redattori, meno copie vedute e addirittura uno scandalo per dei dati sulla diffusione, falsificati.

Una tripletta del magnate australiano aprirebbe anche un delicato capitolo legale. La Newscorp. di Murdoch, infatti, è già proprietaria a New York di due emittenti televisive, Wnyw e Wwor, e dei giornali Wall Street Journal e New York Post. Lo “squalo” australiano aveva chiesto di essere considerato “un’eccezione” già con queste quattro proprietà, alle quali adesso se ne potrebbe aggiungere una quinta.

Secondo la nuova normativa adottata in dicembre dall’autorità per le comunicazioni americana, la Federal Communication Commission (Fcc), nei venti mercati più importanti degli Usa – tra i quali c‘è ovviamente New York – si può possedere solo un giornale e una televisione.

Uno dei maggiori artefici della normativa, Kevin Martin, il capo della commissione, ha fatto capire che ottenere il lasciapassare dell’“eccezione” che vorrebbe Murdoch (in gergo tecnico, waiver) non sarà facile.

Nel frattempo, il Congresso potrebbe chiedere un ritorno alla vecchia normativa sulle proprietà editoriali, che vieta di possedere un giornale e una televisione nella stessa città, a meno di essere, appunto, “un’eccezione”. Il disegno di legge per tornare alla vecchia normativa potrebbe superare i passaggi parlamentari, ma è probabile che Bush lo blocchi con un veto.

Uno degli sponsor del “ritorno al passato”, il senatore Byron L. Dorgan, ha detto che l’obiettivo è di evitare casi come quello di Murdoch “lo squalo”. “La libera circolazione delle informazioni non è garantita dall’avere meno voci – incalza – vogliono farci credere che ci sono così tanti mezzi di comunicazione: Internet, radio, televisione, giornali e così via. Può essere che ci siano più mezzi di comunicazione, ma ci sono sempre gli stessi ventriloqui: cinque o sei grandi corporation che determinano cosa gli americani sentono e leggono”.

Sotto la vecchia normativa, Murdoch aveva un lasciapassare da eccezione permanente e uno temporaneo e poteva così gestire televisioni e giornali in deroga alla legge.

Nel 2006, però, alcuni gruppi contrari alla concentrazione mediatica dello “squalo” hanno cercato di mettergli i bastoni tra le ruote. “Era fuori dalle regole e, mentre le sue licenze per trasmettere erano sotto esame, ha acquistato il WSJ, e forse pure Newsday”, ha detto Andrew Jay Schwartzman, presidente di Media Access Project, organizzazione a favore del pluralismo informativo.

Dall’altra parte della barricata, però, la stessa Newscorp. di Murdoch, assieme ad altre grandi aziende, ha sfidato le restrizioni alla proprietà, interpretate da agguerriti avvocati  come una violazione del primo emendamento della costituzione americana, che garantisce la libertà di parola. Chi vincerà?

Quel che è certo, secondo le associazioni dei consumatori, è che – vecchia o nuova regolamentazione  che sia – lo “squalo” vuole aggirare le regole e non avere limiti. Gene Kimmelman, che fa il lobbista per l’Unione dei consumatori, sfida il responsabile della Fcc dichiarando al New York Times: “Vedremo quanto il capo dell’autorità per le comunicazioni è serio sull’applicazione delle nuove regole”. Martin, comunque, potrebbe lasciare prima di prendere una decisione: molti dicono che se ne andrà entro il prossimo gennaio, quando un nuovo presidente sarà alla Casa Bianca.

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