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Se l’ informazione diventa nomade/2: non si reciderà il legame mezzo-lettore?

No se le testate si aggiornano e vanno avanti – Benoit Raphael risponde così ai dubbi sollevati dalle sue recenti riflessioni, sostenendo che comunque sicuramente il tradizionale sito giornalistico è destinato a scomparire – Per conservare dei legami stretti con dei lettori sempre più nomadi, bisogna riuscire a raggiungerli con l’ informazione di cui hanno bisogno, spingendoli a portarsela sempre dietro – Oppure scommettendo sulla comunità, integrandola nella produzione e nella gestione dei contenuti

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Fra i vari commenti ricevuti al suo ragionamento sulla nomadizzazione dell’ informazione (vedi Lsdi, Se l’ informazione diventa nomade…), Benoit Raphael ha scelto le perplessità e i dubbi sollevati da un collega francese, Jean Abbiateci, per tornare sull’ argomento e cercare di mettere a posto qualche altra tessera del mosaico.

Se non è il lettore/internauta, ecc. ad andare al sito – chiede Abbiateci -, toccherà al sito andare verso il lettore, su varie piattaforme (blog, cellulari, mail, reti sociali, tv…): ma questo non rischia di uccidere il legame fra un mezzo e i suoi lettori? E come potranno fare i vari “marchi”, come Le Monde, ad esempio, a non diluirsi in questo flusso costante di informazioni, dividendo il “cannone” con altri contenuti a debole valore aggiunto? Questo significa che si va verso un mercato di micro-nicchie editoriali? Ci sarà ancora spazio per una informazione ad alto valore aggiunto? Se gli “incroci” costituiti dai siti sono condannati, si passerà da una pubblicità di audience a una pubblicità di sponsorizzazione?

La nomadizzazione dell’ informazione ucciderà il rapporto fra un mezzo e il lettore? Difficile rispondere – commenta Raphael -. Io suppongo che, nella sua configurazione attuale, stia sicuramente per uccidere il tradizionale sito di informazione. Ma non per forza il marchio, la testata. Tutto naturalmente dipende da come questa si organizza.

Quattro punti:

1- Prima di tutto, segmentare il contenuto non vuol dire per forza rinunciare a fidelizzare una audience. Se il mezzo utilizza la sua porosità e organizza la diffusione dei suoi contenuti per consegnare della buona informazione nel momento buono, non c’ è alcuna ragione per cui  l’ internauta non si debba abbonare ai suoi contenuti, integrando quel mezzo nel suo dispositivo personale di notizie (widget, netvibes, facebook, mobile, ecc.). Non prenderà tutta la confezione, ma resterà fedele alla testata per quei segmenti che ritiene i suoi punti di forza.  

Il vero problema, per il mezzo, resta che la produzione di un micro-contenuto costa più caro di diversi contenuti confezionati. Cosa che pone il problema del futuro dell’ informazione a valore aggiunto.

 
2- Nomadizzazione – prosegue Raphael – non vuol dire affatto segmentazione. E’ la mobilità. Dare la possibilità alla sua audience di portarsi dietro l’ informazione, di restare connessi in permanenza, è un asse di fidelizzazione di cui non si può non tener conto.

3- Un’ altra soluzione è di scommettere sulla comunità. Integrarla nella produzione e nella gestione dei contenuti (come fanno ad esempio iReport e Le Post). Fare dell’ informazione un motore sociale.

4- Ancora una volta, l’ eccezione conferma la regola. Ci saranno dei siti d’ informazione che si posizieranno al contrario di questa nomadizzazione, arroccandosi attorno dei contenuti a forte valore aggiunto su die siti chiusi. E che troveranno il loro pubblico. E’ la strategia originale (ad esempio in Francia) di  Arrêt-sur-Images e di Mediapart. La nomadizzazione è una realtà, ma questo non vuol dire che una la deve abbracciare per forza. Solo prendere posizione di fronte ad essa.
Infine, per quanto riguarda i modelli economici, tutte le possibilità sono aperte. Quella dello sponsoring è una. Ci sono soprattutto le pubblicità “embedded” nei contenuti. Ma c’ è anche la pubblicità considerata essa stessa come un contenuto, anch’ esso nomade, ma virale e/o interessante e/o utile. E c’ è soprattutto la qualificazione dell’ audience dovuta alla segmentazione dei contenuti, e quindi delle tariffe più elevate.

Ma tutto questo – conclude Raphael – risponderà ai bisogni delle campagne di massa? Boh.

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