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Sono i primi anni ’90 e la televisione comincia a scoprire la dirompente potenzialità commerciale dell’ audience crescente che si forma davanti al crimine raccontato per immagini e per suggestioni verbali. E’ in questi anni che il plastico della villetta di Cogne e il modellino dell’appartamento di Perugia dove è stata uccisa la studentessa inglese Meredith Kercher entrano a far parte del futuribile dell’intrattenimento del ventennio che verrà. E che si tessono le prime trame di quell’intreccio perverso tra cronaca e spettacolo che ci ha portato al difficile discernimento della realtà con il quale tutti facciamo i conti quando percorriamo certi canali navigando con il telecomando.
Interpretano bene questo momento anche Luigi Chiatti,protagonista principale, e Stefano Spilotros, personaggio incidentale de “Il Cacciatore di Bambini- biografia non autorizzata del Mostro di Foligno” scritto dal giornalista Alvaro Fiorucci e pubblicato da Morlacchi.
Luigi Chiatti ha ucciso due bambini a distanza di un anno l’uno dall’altro, ottobre 1992 e luglio 1993. Dopo il primo delitto -racconta in una lunga, agghiacciante confessione che il libro riporta integralmente- non si rende conto della gravità di quello che ha fatto fino a quando non lo vede raccontato dal Tg1 :”credevo ne parlasse al massimo il tg3 regionale”.
Specularmente Stefano Spilotros, un giovane milanese,si accusa dell’omicidio di Simone Allegretti, la prima vittima, soltanto per conquistare le prime pagine dei giornali e i titoli dei tg: deve far colpo così sulla fidanzata che lo ha lasciato. Organizza la sua bugia in maniera che “buchi lo schermo”. Ci riesce: viene creduto e arrestato.
“Il cacciatore di bambini” parte dunque dal rapporto tra media e cronaca nera (ed è un invito alla riflessione) per poi ricostruire con una singolare rilettura degli atti processuali un caso che ha lasciato un segno nella biblioteca italiana delle storie criminali. La vita di Luigi Chiatti è descritta come un’ auto senza freni lanciata verso l’omicidio. Un’ auto che emette segnali di pericolo che però nessuno riesce a vedere o a ricomporre in un qualcosa di unitario e leggibile. Come è stato possibile? L’autore cerca risposte in più direzioni,ma non ne trova:che sia la complessità sociale a fare da muro alle domande che colpiscono i suoi snodi più insondabili?
Ci sono poi le tappe di un’ indagine tradizionale,come quelle che si facevano, appunto, quando le tecniche della polizia scientifica non avevano raggiunto i livelli che oggi sono proprie dei Ris dei carabinieri o dell’Ert della polizia. Un’ indagine tradizionale e “maledetta” perché non riesce a fermare l’assassino quando dopo il primo delitto ne annuncia un altro, chiedendo un qualche aiuto che lo fermi e nello stesso tempo per sfidare chi gli cerca di dare un nome al “cacciatore” fantasma,e uccide ancora per davvero.
E’ c’è, infine,la glaciale,impressionante,distaccata confessione di un ragazzo dalle buone maniere,irreprensibile,educato, che aveva un “sogno”: rapire dei bambini,tenerli prigionieri,farli crescere, per avere con se “qualcuno che lo capisse e accettasse il suo affetto”. Per questo lucido e terrificante progetto il geometra ventenne diventa il “Mostro di Foligno” e uccide con una ferocia inaudita prima Simone Allegretti e poi dopo qualche mese Lorenzo Paolucci.