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Si è parlato a lungo nei giorni scorsi dell’ uso assai rilevante di Twitter (vedi Lsdi, Twitter, la consacrazione letteraria) in occasione dei sanguinosi attacchi terroristici di Mumbai*, e a vari giorni di distanza la discussione si è spostata sulla sua affidabilità. E’ un processo canonico, che si ripete ogni volta che il grande pubblico degli internauti si accorge delle potenzialità di qualche nuovo sistema di condivisione di notizie e informazioni. In questo caso al centro dell’ attenzione è Twitter, ritenuta la piattaforma di microblogging “più attiva” durante i fatti della città indiana.
I dubbi sulla sua affidabilità sono stati provocati dalla pubblicazione in rete di una notizia che si è dimostrata falsa: il presunto intervento della polizia indiana con la pressante richiesta ai blogger che seguivano in diretta online, attraverso Twitter, le vicende di Mumbai a cessare la loro ‘copertura’ per non fornire ai terroristi delle informazioni che avrebbero potuto essere loro utili.
La giornalista indipendente Usa Amy Garhan – nota Benoit Raphael sul suo blog – è stata una delle poche persone ad aver indagato su questa falsa informazione che tra l’ altro, partita da Twitter, era stata rilanciata dai maggiori media del mondo, BBC in testa, senza alcune verifica.
Questa la notizia comparsa il 26 novembre alle 11 sulla BBC:
“Indian government asks for live Twitter updates from Mumbai to cease immediately. ‘ALL LIVE UPDATES – PLEASE STOP TWEETING about #Mumbai police and military operations,’ a tweet says.”
Amy Garhan ha deciso di andare a fondo e una semplice ricerca su twitter le ha permesso di ritrovare le tracce dell’ autore di quella falsa notizia: si trattava di un certo Mark Bao, residente a Boston (Usa) e non a Bombay…
Il quale, alla fine, precisa, sempre su Twitter, che quella informazione sarebbe stata confermata in video dalla polizia, che parlava però genericamente di ‘copertura live della vicenda’, senza nominare specificamente Twitter. Ci si sarebbe limitati quindi a "copertura dell’ informazione in diretta"… inclusa quindi la televisione.
Ma nessuno fino ad ora ha confermato questa famosa fonte video (Bao non ha mai risposto esaurientemente alle domande di Amy).
E quindi, quali lezioni trarre dalla vicenda di questa voce rilanciata da Twitter e dai media?
La colpa è di Twitter… o dei media?
Hum… vediamo.
Ovviamente, Twitter, come ogni fonte "grezza" sulla Rete (cioè generata dagli internauti, i blogger, i cittadini,ecc.), non è affidabile in sé stessa. Sarebbe come andare al bar, sentire quello che la gente dice e concludere: “il bar è un media”. Il bar è una fonte, i giornalisti di strada lo sanno bene. Non un media. Twitter è (quasi) simile.
Il problema è che i giornalisti tradizionali non sono abituati al "fast checking" su Internet, cioè a una verifica rapida dell’ informazione. Molti di loro – prosegue Raphael – si sentono ancora un po’ perduti di fronte al web. Che non è un media, ricordiamolo, ma una rete, su cui si scambiano informazioni, verificate e non verificate.
Inutile gioirsene gridando: "Avete visto? Internet non è affidabile!". Non è per quello che tutte le fonti non giornalistiche non sono interessanti, non hanno valore. Al di là delle capacità di autocorrezione della rete (stile Wikipedia), tocca ai giornalisti imparare a verificare l’ informazione “grezza” su internet. Tocca a loro verificare, e organizzare le comunità per tirarne fuori il meglio. E’ il loro mestiere.
Infine, per rispondere ai dubbi di alcuni sulla qualità “informativa” dell’ User generated content (i contenuti prodotti dai cittadini) (Su Twitter però c’ è più emozione che informazione).
Bisogna intendersi su che cosa è l’ informazione. Si tratta di notizie di prima mano? Ce n’ è stata, ma molto poca (leggere anche qui). Il resto? Molto traffico di informazioni in diretta sui media, quello che viene chiamato "giornalismo di link" e che non si ha il coraggio di chiamare informazione.
Sula Rete, oltre a questa guardia sugli avvenimenti, molto ricca e molto reattiva (spesso più reattiva di quella dei giornalisti, è la forza della rete), c’ era anche della conversazione (è il valore aggiunto dell’ informazione), ma anche delle foto originali (che è informazione), e dell’ emozione (è informazione?). E c’ erano anche delle testimonianze di prima mano su dei blog. Certo non molta. Se ne avrà di più con l’ arrivo degli iPhone soprattutto. Immaginate lo stesso episodio in piena New York, oggi…
Non si tratta naturalmente di sostituire l’ informazione delle agenzie con Twitter o Flickr (la piattaforma per le foto), ma – con clude Raphael – di sfruttarle in maniera intelligente e di insegnare ai giornalisti a conoscerle e usarle.
Altre osservazioni sulla questione (eng) su how should journalists use Twitter?
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*In Italiano, da Google, fra gli altri:
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