Un parlamentare su 10 è giornalista
Intanto la fiducia degli italiani nei media continua a calare, senza eccezioni per nessun media – Ma, si chiede qualche osservatore, non è che c ‘ è un rapporto diretto tra il “distacco critico†dei cittadini nei confronti dell’informazione e i troppi giornalisti in parlamento? – Nell’ attuale legislatura siedono fra Camera e Senato78 iscritti all’ ordine, secondo i dati dell’ ultimo Rapporto annuale del Censis
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«Nell’ultima legislatura si contano 64 deputati giornalisti (la quarta professione rappresentata alla Camera, dopo avvocati, dirigenti e imprenditori, prima dei funzionari di partito) e 28 giornalisti senatori (la sesta professione attualmente rappresentata al Senato): praticamente un giornalista ogni dieci parlamentari». E’ uno dei dati contenuti dell’ ultimo Rapporto annuale del Censis (capitolo “Comunicazione e media”, pag. 526), presentato nei giorni scorsi a Roma (più sotto un’ ampia sintesi).
Intanto, precisa il Rapporto, « la fiducia degli italiani nei media resta decisamente bassa, anche nel confronto con gli altri Paesi europei, e anzi nell’ ultima primavera si registra un ulteriore, pericoloso crollo senza eccezioni per nessun mezzo. Emerge così un distacco critico che si accompagna a comportamenti di consapevole arbitraggio da parte dei cittadini di fronte alle indicazioni e proposte “mediatiche” di candidati ed eletti.
La stampa gode della fiducia del 36% dei cittadini, mentre il valore medio in Europa è pari al 44%; la televisione è il mezzo di cui gli italiani si fidano di meno (solo il 35% la ritiene affidabile, valore che invece sale al 53% nella media europea, con punte del 56% in Germania e del 60% in Spagna); dichiara di fidarsi della radio il 42% degli italiani (è il mezzo di comunicazione considerato più attendibile, ma con un consenso comunque nettamente inferiore al 61% medio europeo); infine, Internet è pienamente apprezzata dal 35% del campione, un valore non elevato ma comunque tra i più alti in Europa».
In queste poche righe si capiscono molte cose, commenta Roberto Cotroneo sull’ Unità.
C’ è un rapporto diretto tra il “distacco critico” dei cittadini nei confronti dell’informazione e i troppi giornalisti in parlamento? Assolutamente sì. C’è una ragione per cui i cittadini si fidano assai meno dell’informazione televisiva rispetto alla carta stampata? Eccome se c’è, si chiama conflitto di interessi e occupazione politica della Rai. E c’è una ragione per cui il mezzo più antico, e apparentemente più distante dalla contemporaneità come la radio gode di una considerazione più alta rispetto agli altri? Certo che sì. E infine perché mai i cittadini evoluti si fidano assai più dell’informazione attraverso internet, rispetto a giornali e televisione?
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La sintesi diffusa del Censis
La rivoluzione digitale verso la moltiplicazione e integrazione dei media. La televisione tradizionale generalista può dirsi ancora una solida realtà in Italia, dove è seguita abitualmente (frequenza settimanale di almeno tre volte) dall’85,6% dei cittadini, e in Francia, dove l’utenza si attesta al 91% (in Gran Bretagna scende al 79,3% e in Germania al 49,7%). Tuttavia, il 20,6% degli italiani guarda abitualmente la Tv satellitare e il 7,7% usa il digitale terrestre. Il 41,6% degli italiani usa il telefonino nelle sue funzioni di base, contro un 29,4% che utilizza abitualmente apparecchi che permettono le funzioni più sofisticate. Cresce l’uso dello smartphone tra gli uomini (il 31,7% contro il 27,3% delle donne) e soprattutto tra i soggetti più istruiti (il 37,7% rispetto al 20,2% dei meno istruiti). Poco più della metà degli italiani legge abitualmente quotidiani acquistati in edicola, e la quota dei lettori della free press si attesta a circa il 18%.
La medialità dei giovani europei oltre l’omologazione. Il balzo in avanti nell’uso di Internet da parte dei giovani italiani tra 14 e 29 anni è stato enorme: tra il 2003 e il 2007 l’utenza complessiva (uno o due contatti la settimana) è passata dal 61% all’83%, e l’uso abituale (almeno tre volte la settimana) dal 39,8% al 73,8%. Il cellulare è usato praticamente da tutti i giovani (il 97,2%), il 74,1% legge almeno un libro l’anno (esclusi ovviamente i testi scolastici) e il 62,1% più di tre libri. Il 77,7% dei giovani legge un quotidiano (a pagamento o free press) una o due volte la settimana (il 59,9% nel 2003), mentre il 57,8% legge almeno tre giornali la settimana. La flessione che si registra nell’uso della televisione tradizionale rispetto al 2003 (dal 94,9% all’87,9%) è ampiamente compensata dall’incremento conosciuto in questi anni dalla Tv satellitare (dal 25,2% al 36,9% dei giovani).
Vizi e virtù della Tv generalista. Solo il 37,4% degli spagnoli ritiene che la Tv generalista sia vecchia e inutile, percentuale che scende al 31,6% in Francia, al 31% in Gran Bretagna, al 28,8% in Italia e al 18,9% in Germania. Sono altri i problemi con cui devono confrontarsi i canali generalisti. Il loro difetto peggiore per spagnoli (86,8%) e italiani (73,1%) è la volgarità. Inoltre, per l’82,6% degli spagnoli e l’82% degli italiani i Tg messi in onda dai canali televisivi generalisti sono troppo legati al potere politico, mentre in Francia il valore scende al 69,9%, per diminuire ancora al 49,5% in Gran Bretagna e al 40,1% in Germania. Solo il 30,7% degli spettatori italiani ritiene che i Tg siano effettivamente rispettosi del pluralismo, in Spagna il 44,5%, in Francia il 55,3%, in Gran Bretagna il 61,2% e in Germania il 64,2%.
La forza del localismo della comunicazione. Ci si informa usando un menù assortito che va dalle Tv ai quotidiani, dai periodici ai portali Internet, alle emittenti locali. Si contano a livello locale 538 Tv, 1.244 radio, 133 quotidiani regionali e provinciali (quasi 2,6 milioni di copie medie giornaliere, considerando solo le testate rilevate dall’Ads). Per il 35% dei cittadini il Tg regionale della Rai è la principale fonte informativa sulla propria città e il territorio, al secondo posto si collocano i quotidiani locali (25%), seguono le televisioni e le radio locali (15,4%), poi la cronaca locale presente nelle pagine dei quotidiani nazionali (11,9%).
L’ ambigua deriva della comunicazione nella dialettica politica. La televisione è il principale strumento utilizzato per formarsi un’opinione sull’offerta politica in campagna elettorale (il 78,3% degli elettori, in crescita rispetto alla precedente tornata elettorale del 2006). Segue la carta stampata (20,8%). I rapporti non mediati, come il confronto con familiari e parenti (16,7%), la partecipazione diretta a incontri politici, comizi e assemblee (9,8%), o anche le discussioni con amici e colleghi (9,2%), sono canali preferenziali per quote via via decrescenti di elettori. Internet è la fonte informativa per una fetta ancora minoritaria del corpo elettorale (7,6%, in crescita rispetto alla precedente rilevazione), con un livello di importanza assimilabile ai tradizionali volantini e materiali di propaganda dei partiti, e maggiore di quella attribuita a un altro mezzo tradizionale come la radio (6,3%, in netta flessione rispetto al 13% registrato alle elezioni del 2006). Nel complesso rapporto tra potere politico e media, si nota anche che nell’ultima legislatura si contano 64 deputati giornalisti (la quarta professione rappresentata alla Camera, dopo avvocati, dirigenti e imprenditori, prima dei funzionari di partito) e 28 giornalisti senatori (la sesta professione attualmente rappresentata al Senato): praticamente c’è un giornalista ogni dieci parlamentari. Ma si registra anche un pericoloso crollo della fiducia nei media (senza eccezioni per nessun mezzo), più bassa in Italia che negli altri Paesi europei. La stampa gode della fiducia del 36% dei cittadini (il valore medio in Europa è pari al 44%); la televisione è il mezzo di cui gli italiani si fidano di meno (solo il 35% la ritiene affidabile, valore che sale al 53% nella media europea); si fida della radio il 42% degli italiani (è il mezzo di comunicazione considerato più attendibile, ma con un consenso comunque inferiore al 61% medio europeo); infine, Internet è pienamente apprezzata dal 35%.
I media come «fabbrica della paura». Secondo una indagine realizzata dal Censis in dieci metropoli del mondo, solo un quarto del campione (25,8%) sostiene che la propria paura deriva dall’individuazione di un rischio effettivo che si possano verificare eventi indesiderati. Il 25,6% dichiara che la paura deriva dal fatto che giornali e televisioni non parlano d’altro. Interrogati su quali sono i soggetti responsabili dell’aumento dell’insicurezza, il 20,4% afferma che il circuito informativo-mediatico cavalca le paure, attraverso la presentazione selettiva delle notizie, per catturare l’audience. Prima, però, vengono i politici, ritenuti tra coloro che più fomentano le paure per distogliere l’attenzione dai problemi reali, favorire il consenso, legittimare il proprio ruolo (la pensa così il 29,6%). In particolare, quasi un romano su due (47,8%) imputa ai media la responsabilità di creare allarme sociale, più di un quarto (28,6%) alla politica, mentre i gruppi terroristici vengono indicati solo dal 7%. Il ruolo dei media viene sottolineato da quote rilevanti di intervistati anche a Parigi (27%) e New York (22,2%), mentre chiamano in causa soprattutto la politica gli abitanti di Parigi (il 31,9% indica al primo posto proprio i politici), San Paolo (49,4%), Tokyo (37,3%) e Mosca (23,8%).