La NAA sta usando i principali servizi di social networking per raccogliere indicazioni sul pagamento dei contenuti – AP e Rupert Murdoch dal World Media Summit di Pechino: ‘’Basta con i plagiatori’’ – L’ Economist ha deciso di restringere il numero di articoli che i lettori online possono leggere gratuitamente
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La Newspaper Association of America (NAA) sta usando i vari social networks – Twitter, Facebook e LinkedIn – per raccogliere informazioni, pareri e idee su quali informazioni online gli utenti sarebbero disposti a pagare.
Su Twitter – racconta Emma Heald su EditorsWeblog – la NAA utilizza l’ hashtag #newspay per raccogliere i pensieri della gente. E pare che abbia registrato finora parecchie adesioni al punto di vista e all’ elenco di proposte fatte da Alan Mutter sul suo blog Newsosaur , oltre a diversi suggerimenti relativi ai valori di qualità, esclusività, rilevanza, convenienza, personalizzazione dei contenuti da far eventualmente pagare.
Su Facebook, la risposta non è stata travolgente e la discussione sembra vertere più che altro sulla questione se il criterio del pagamento sia realisticamente realizzabile o meno. Su LinkedIn, fra l’ altro, un aderente al gruppo dei Newspaper Professionals ha suggerito che, invece di chiedere ai professionisti del settore quello che pensano, sarebbe meglio chiederlo prima ai lettori e poi interpellare gli editori.
La NAA comunque pha annunciato che nei prossimi giorni darà conto dei suggerimenti ricevuti.
–Murdoch e l’ AP, ‘’basta con i plagiatori’’
Intanto, da Pechino, dove si teneva il Media-World Summit, Tom Curley, Ceo e presidente dell’ Associated Press, e Rupert Murdoch, hanno ribadito la necessità di introdurre modelli a pagamento per l’accesso alle notizie.
«Noi creatori di contenuti siano stati troppo lenti a reagire allo sfruttamento gratuito delle notizie di terze parti senza permesso: servizi web come Wikipedia, You-Tube o Facebook sono diventati destinazioni favorite dai clienti per le notizie di ultim’ ora, lasciando da parte i siti di notizie tradizionali», ha dichiarato Curley, che – riporta lastampa.it – ha puntato il dito anche contro motori di ricerca e blogger: «Non tollereremo più la disconnessione fra coloro che si dedicano – con un alto costo economico e umano – a raccogliere notizie di pubblico interesse e coloro che ne traggono profitto senza sostenere l’attività».
Su un’identica linea anche Rupert Murdoch, il boss della News Co.: «Gli aggregatori di notizie e i plagiatori dovranno presto pagare un prezzo per utilizzare i nostri contenuti. Ma se non traiamo vantaggio dall’attuale trend verso i contenuti a pagamento, saranno i creatori – le persone qui dentro – a pagare il prezzo e i cleptomani a vincere».
– L’ Economist introduce restrizioni per l’ archivio
L’ Economist ha deciso di restringere il numero di articoli che i lettori online possono leggere gratuitamente: una decisione che – commenta l’ European Journalism Center – conferma quanto gli editori stiano ripensando il loro atteggiamento nei confronti dei contenuti web. Soltanto gli articoli degli ultimi 3 mesi saranno disponibili ai lettori qualsiasi, rispetto ai 12 mesi previsti fino ad ora. Dal 13 ottobre tutti i servizi anteriori ai 90 giorni verranno protetti da un sistema a pagamento e saranno accessibili solo a chi si abbonerà.
Ugualmente, solo gli abbonati potranno consultare l’ edizione online dell’ ultimo numero della rivista. ‘’Lo riteniamo un premio per i lettori più impegnati, gli abbonati’’, ha spiegato Ben Edwards, l’ editore del sito web dell’ Economist. Un abbonamento alla rivista online costa 50 sterline l’ anno, mentre l’ abbonamento per l’ edizione cartacea ne costa 127. Entrambi i contratti danno diritto ad accedere all’ archivio, che ha inizio dal gennaio 1997.