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’’OS, Operai Specializzati’’, ‘’forzati’’ dell’ informazione, ‘’pakistani del web’’: le immagini usate qualche giorno fa da Xavier Ternisien su le Monde per descrivere i giornalisti dei siti web* sembrano a Benoit Raphael – un acuto osservatore francese di quello che accade nell’ online – una semplificazione eccessiva e una forzatura caricaturale della situazione del giornalismo online.
(*Immagni che, va detto, da tempo circolano anche in Italia: noi stessi le avevamo usate il 30 ottobre scorso, vedi Lsdi, Giornalisti online, nuovi ‘’operai specializzati’’ dell’ informazione, parlando anche di ‘’pronetariato’’).
Quell’ articolo – scrive Raphael sul suo blog – evita in modo troppo evidente la necessaria rimessa in questione del vecchio modello di giornalismo legato all’ industria della stampa per permetterci, noi professionisti dell’ informazione sul web, di discutere in maniera seria della questione: che cos’ è il giornalismo oggi? Quali sono i suoi nuovi ritmi, i suoi obbiettivi, le sue frontiere, le sue contraddizioni? Quale spazio danno i giornali cartacei, oggi in questa fase di crisi, alla loro necessaria mutazione?
E allora, dice Raphael, ‘’proviamo a mettere i piedi nel piatto’’:
di Benoit Raphael
1- Precarietà, salari: dire che un giornalista è mal pagato, senza contestualizzare, non vuol dire niente.
E’ tutto il modello della stampa online e offline che bisogna prendere in esame, perché gli ‘’OS’’ dell’ informazione li si trova sulla carta stampata, nelle tv, in radio come sul web, da anni. Le griglie salariali variano secondo i media e secondo il loro modello economico.
La vera questione da porsi oggi, per qualsiasi media è: quanto costa, quanto fa ricavare l’ informazione? Chi è pagato, quanto e per fare che cosa oggi? Per quali veri risultati, per quale valore aggiunto? Sul web come altrove (soprattutto altrove), ci sono delle importanti linee di costi che potrebbero essere soppresse e spostate all’ esterno.
2- Per esempio: che bisogno abbiamo di pagare (anche se male) dei giornalisti per riprendere e riconfezionare dei takes dell’ AFP o della Reuters?
E’ da parecchio che penso che il modello industriale su cui si basano le agenzie di stampa sia morto.
– A che serve, per un quotidiano su carta, pagare 1 milione di euro all’ anno per le notizie dell’ AFP quando le si può già trovare su Google?
Con questo voglio dire: perché pubblicarle quando sono già accessibili (e quindi superate), e soprattutto perché pagare l’ abbonamento alle agenzie quando si possono consultare le stesse informazioni, e anche di più, su Internet?
Con 1 milione di euro l’ anno si pagano 15 giornalisti.
Attenzione: non dico che l AFP non serva a niente. Il suo lavoro di raccolta delle informazione grezza è indispensabile. Di qualità.
Voglio dire che il modo con cui l’ agenzia commercializza e distribuisce la sua informazione è obsoleto.
Il rimaneggiamento delle agenzie non serve a niente. Non è una missione per dei giornalisti ma semmai per degli aggregatori di informazioni, come Uahoo o Google News.
Chi pagherà l’ AFP ? Non lo so. Lo Stato, una tassa, Google… Ma non i siti giornalistici.
Perché? Perché non è loro compito.
– Un sito di informazione che rinunciasse alle agenzie risparmierebbe fra i 10.000 e i 50.000 euro al mese (tenendo conto dei salari dei giornalisti incaricati di riscrivere o di approfondire le agenzie).
Con 50.000 euro si paga una dozzina di giornalisti. Se ne può utilizzare 1,2 o 3 per seguire il notiziario e costruire i link per produrre la sezione ultime notizie. E il resto via a fare inchieste, contestualizzazione, reportage, animazione della comunità, documentazione, ecc.
Quando ho chiuso con AFP e Reuters su le Post.fr, ho assunto due giornalisti e l’ audience è salita del 2%.
3- Il paesaggio dell’ informazione è cambiato! L’ informazione ha accelerato e si è tecnicamete scissa in due.
Quale è questo paesaggio?
Matt Thomson è quello che ne parla (indirettamente) meglio. Matt ha partecipato al famoso EPIC 2014 (sull’ avvenire dei media) e al blog "newsless.org".
La sua linea di fondo, provocatrice (e intraducibile!): "It’s time to stop breaking the news, and start fixing it"
Non entro nel dettaglio del suo discorso, preferisco rinviare ai suoi lavori, ma quello che emerge dalle sue analisi è che ci sono due ritmi, due valori informativi, che si incrociano:
– Le breaking news, l’ informazione in diretta, aggiornata regolarmente. E’ ormai il dominio di Twitter, il sito di microblogging che, in qualche anno, si è imposto come il Google dell’ informazione live.
Questo può voler dire che bisognerà sostituire quegli arcaici articoli-agenzie che ci prendono tanto tempo con dei ‘’topics’’(delle serie di notizie su un argomento) che saranno aggiornati con dei microarticoli di 140 battute (o con dei link): da parte di giornalisti, oppure da parte della comunità. Qui, il valore non è la confezione, l’ illustrazione, ma l’ immediatezza e la conversazione.
– Le "wiki news", l’ informazione stile wikipedia: su un tema di attualità (lo schianto di un Airbus, o una questione di maggiore respiro temporale come la crisi finanziaria). Una informazione-risorsa, dal forte valore aggiunto, aggiornata dalla comunità che contestualizza, permette di andare più lontano, di capire, che offre delle risorse ed editorializza quelle che esistono già sul web.
E’ anche informazione di prima mano, esclusiva, d’ inchiesta, sul campo (web e "in real life"). Il tutto inserito nel quadro di un meccanismo di informazione in rete.
Si passa dal contenuto/vicenda al "topic", dal contenuto/articolo al processo. L’ informazione viva, comunitaria, in cui la missione del ‘’giornalismo’’ (considerata come una funzione condivisa con la comunità, non come un mestiere) è di editorializzare, di indagare, di animare, di riunire, di copiare… e di arricchire in permanenza.
Allora: pronti a (per)mutare ?