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di Amedeo Vergani
(presidente del Gsgiv dell’ Alg*)
Colleghi fotoreporter, se siete iscritti all’Ordine dei giornalisti, prendete la tessera e buttatala pure alle ortiche. Risparmierete cento euro all’anno di iscrizione e la rottura di scatole delle revisioni periodiche dell’albo, avrete vita meno complicata con previdenza e fisco e in più, soprattutto, se per caso vi capiterà di sgarrare alla deontologia professionale, chi se ne frega, non avrete guai perché nessuno potrà più venire a mettere becco nel vostro operato anche nel caso delle peggiori tra le violazioni visto che non farete più parte del "popolo" sul quale l’organismo di autogoverno dei giornalisti italiani ha il potere, nell’interesse dei cittadini, di prendere provvedimenti disciplinari e , quando serve, mettere in riga con le dovute sanzioni.
Il tutto continuando senza alcun problema a lavorare come ora per giornali, agenzie e telegiornali perché, tanto, nelle redazioni chi cavolo si è mai sognato di fare dei distinguo tra chi è in regola con le leggi del giornalismo e chi invece produce informazione visiva libero da qualsiasi dovere imposto a chi esercita la professione di giornalista.
Questo, più o meno, è il messaggio che ogni giorno arriva alla categoria dalla realtà del nostro mondo del lavoro "assediato perenne" da una deregolazione così profonda e devastante che, oggi più che mai, lo ha ridotto, profilo economico in prima linea, ad una professione che in molti temono sia ormai irrimediabilmente senza futuro.
L’ennesima riconferma di questo innegabile stato di fatto c’ è arrivata ora dal Grin (Gruppo nazionale redattori iconografici), un’ aggregazione totalmente indipendente dagli organismi ufficiali di categoria e dalle loro regole, che dal 2002 riunisce buona parte dei photoeditor e dei redattori iconografici delle riviste illustrate italiane: personaggi decisamente strategici nel mercato reale del lavoro dei fotogiornalisti perché, al di là di tutte le altre competenze che profilano i loro ruoli, sono prevalentemente loro che nelle redazioni decidono a chi commissionare i servizi da produrre, quali fotoreportage meritano di essere mostrati ai direttori o, più semplicemente, a chi chiedere, da chi comperare e spesso pure quanto pagare le foto d’attualità o di stock per i servizi da pubblicare.
Non c’è infatti nessun iscritto all’Ordine dei giornalisti nella rosa dei quattordici fotoreporter finalisti dell’edizione 2009 del premio "riservato -dice il bando – a fotogiornalisti italiani" con il quale da sei anni l’associazione dei photoeditor assegna un contributo in denaro ( 5.000 euro ) a quello che viene ritenuto il miglior progetto fotografico del momento.
Il "Premio Grin" questa volta è stato vinto da Martina Bacigalupo, 31 anni, genovese con "base" stabile a Parigi, per una serie di immagini sulla travagliata vita quotidiana di una giovane donna del Burundi mutilata brutalmente dal marito. Segnalati i lavori di Daniele Tamagni e di Siro Magnabosco . Gli altri finalisti erano: Michele Borzoni, Francesco Cocco, Fabio Cuttica, Paola De Grenet, Giulio Di Sturco, Martino Lombezzi, Giovanni Marrozzini, Antonella Monzoni, Gabriele Rossi, Annette Schreyer, Terra Project, Riccardo Venturi.
Tutti fotoreporter che, secondo l’edizione 2009 dell’Annuario dei giornalisti italiani , non risultano negli elenchi dell’Albo professionale. Una realtà che non ha comunque influito minimamente sulle scelte della giuria che in questa sesta edizione era presieduta dal giornalista Paolo Pietroni, "inventore" di numerosi periodici illustrati di successo, ed ha avuto come componenti, oltre ai rappresentati dei due sponsor dell’iniziativa (UniCredit&Art e Fnac) e a Mariuccia Stiffoni Ponchielli, il fotografo Toni Thorimbert e tre socie del Grin: le giornaliste professioniste Paola Brivio, Simona Ongarelli e Laura Incardona.
Non è però assolutamente una novità per il Grin la scelta di non fare distinguo, nelle regole del suo premio, tra chi è fotogiornalista nel sacrosanto rispetto della legge e chi invece lo è solo di fatto. Lo stesso criterio è stato applicato anche nelle cinque precedenti edizioni tanto che solo in una occasione, nel 2006, per un caso fortuito era risultato vincitore un collega iscritto all’Odg come pubblicista.
L’assenza nel "premio Grin" di qualsiasi distinzione tra chi è e chi non è nell’ Odg, è comunque un fatto che non stupisce per nulla perché riflette in pieno quanto avviene ogni giorno nelle redazioni dove non ha nessunissima importanza se chi produce o fornisce informazione visiva sia sottoposto, o meno, alla disciplina dell’Ordine professionale. Per essere chiarissimi, non frega proprio nulla a nessuno se gli autori di foto e filmati hanno, o non hanno, in tasca il famoso tesserino professionale: "todos caballeros". Il tutto alla faccia soprattutto dei sempre più numerosi colleghi che, facendosi un "mazzo così" per essere pienamente nelle regole, hanno pure affrontato l’esame di stato per diventare giornalisti professionisti.
Riprove di questa realtà sono ogni giorno sotto gli occhi di tutti. Un esempio tra i più lampanti ce l’ha offerto all’inizio di febbraio il magazine del Corriere della Sera con un numero speciale sull’Italia raccontata ai lettori con le immagini, tutte scattate nello stesso giorno, di 62 fotoreporter incaricati ad hoc dalla redazione della rivista. Di questi 62 autori, solo 23 sono risultati iscritti all’Odg. Gli altri, tutti assolutamente ignoti all’Ordine e alle sue regole.
Una "consuetudine" perciò assolutamente generale sulla quale, ovviamente, ci sarebbe davvero molto da riflettere, analizzare, dire e ridire sotto i più variegati profili, partendo da quelli sul versante del diritto dei cittadini ad un’informazione visiva disciplinata dalla deontologia professionale, sino a quelli più sindacali, compreso il rischio che una costante ammissione di fatto che il lavoro di chi produce in prima persona l’informazione visiva può essere svolto fuori dalle regole dell’Ordine, prima o poi si trasformi nella negazione della natura giornalistica del ruolo di chiunque si occupa più in generale di immagini giornalitiche – photoeditor compresi – e di ogni conseguente possibilità di applicazione del Contratto nazionale di lavoro giornalistico agli addetti dell’intero settore.
La materia del "fotogiornalismo garantito" e del conseguente distinguo tra chi opera nel fotogiornalismo "targato" Odg e chi invece ne è fuori, ultimamente sta pure uscendo sempre più dai confini ristretti degli ambiti più attenti e sensibili del giornalismo e , anche grazie ai clamori mediatici di inchieste giudiziarie, scandali politici, gossip d’alto bordo, commistioni tra pubblicità e informazione e taroccamenti vari da prima pagina con al centro foto e fotografi, i suoi problemi sono sempre più sotto gli occhi anche del grande pubblico.
Sul problema specifico del "todos caballeros" che imperversa nella realtà del lavoro quotidiano di chi si occupa di informazione visiva, pochi giorni fa si è espresso, con molta chiarezza e con tutta la sua autorità, anche il presidente nazionale dell’Odg, Lorenzo del Boca, intervenendo a Roma ai lavori per lo studio di un decalogo sulla deontologia del fotogiornalismo. "E’ un dovere di direttori e redattori – ha ricordato Del Boca – aver sempre molto ben presente che lettori e telespettatori hanno diritto ad un’informazione visiva prodotta con quelle garanzie di correttezza e quelle assunzioni di responsabilità che possono essere assicurate solo da fotogiornalisti sottoposti alla disciplina dell’Ordine. Chi se ne dimentica, è in grave errore".
Parole destinate a restare solo nel vento dei discorsi di circostanza? Vedremo.
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* Gruppo di specializzazione dei giornalisti dell’ informazione visiva dell’ Associazione lombarda dei giornalisti