Giornali e giornalismo, una partita sempre più difficile

rotative Si riaffaccia l’ ipotesi di un modello-micropagamenti alla seconda giornata del Festival interrnazionale di Perugia – I giornali chiudono ma i lettori aumentano – La pubblicità va a picco e le istituzioni vorrebbero chiudere i rubinetti che sovvenzionano l’editoria – Il giornalismo di qualità è messo a repentaglio da interessi terzi a quelli dell’informazione – La domanda resta come finanziare i giornali cartacei e i contenuti di qualità on-line, e come riportare i lettori in edicola o convincerli a pagare per l’equivalente on-line del loro quotidiano tradizionale

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a cura di Andrea Fama

La seconda giornata del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia dà voce ad un dibattito che orrmai si insegue lungo tutti i canali dell’ informazione globale: qual è il futuro dei giornali di carta?

Il moderatore dell’incontro, Dante Ciliani, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Umbria, apre le danze evidenziando come, nonostante molti giornali stiano chiudendo bottega, l’informazione sia più viva che mai, e i lettori sempre più numerosi.

Il primo intervento in merito è affidato ad Alessandro Brignone, direttore della Federazione Italiana Editori di Giornali. Secondo Brignone la crisi dell’editorie non ha nulla di diverso dalla crisi dell’auto, ad esempio, e determina la conseguente crisi delle abitudini dei lettori, sempre più numerosi nonostante il calo delle vendite. Questa dicotomia apparentemente contraddittoria si spiega annche alla luce di un fenomeno quale la Free Press, che ha generato nuovi lettori prima estranei al mondo dei giornali. Neanche la Free Press, comunque, è immune alla crisi (Metro Spain ha chiuso di recente, e pochi giorni fa in Italia ha chiuso 24 Minuti, tanto per fare qualche esempio), che lima ogni forma di consumo, anche quello dei giornali, nonostante i dati riguardo la diffusione siano rimasti pressoché invariati.

Il vero colpo che ha tramortito l’editoria, quindi, non è attribuibile al minore consumo del prodotto giornalistico cartaceo, bensì al crollo delle entrate pubblicitarie (in qualche caso ridotte anche del 60%) e  al ruolo delle istituzioni, le cui intenzioni lasciano intravedere un 2009 annus horribilis della stampa. Secondo Brignone, infatti, l’intenzione delle istituzioni di tagliare i fondi all’editoria, specie attraverso i meccanismi che favoriscono gli abbonamenti postali, è la vera scure che potrebbe abbattersi sulla carta stampata. E i dati portati a sostegno di questa tesi sono imbarazzanti, pur considerando l’avversione cronica degli italiani nei confronti dei giornali: il 9% di abbonamenti ai quotidiani contro valori tripli in paesi come la Spagna o la Francia, per non parlare di esempi come il Giappone, dove gli abbonamenti si attestano sul 90%.

Brignone, quindi, sottolinea ancora una volta la necessità di difendere la diffusione dei giornali in ogni sua forma, anche per andare in contro a chi, per motivi anagrafici o di digital divide, non ha accesso alla rete e non può comprare il giornale in edicola, ad esempio. E questa difesa è imperniata sul principio incontestabile, secondo il direttore della FIEG, che i giornali hanno un ruolo cruciale per una corretta informazione specie in un paese in cui, oltre all’età e ai limiti tecnici che riguardano i propri cittadini, anche la televisione ha un ruolo di relativa evangelizzazione e trasparenza, per motivi che ben conosciamo. La ricetta proposta, quindi, è quella di ripensare i giornali per poterli salvaguardare, con un occhio al futuro.

E al futuro guarda con grande interesse Ruben Razzante, della fondazione Ugo Bordoni, che sottolinea come il giornalismo debba far tesoro della tecnologia, strumento imprescindibile di democratizzazione, così come la rete. Secondo Razzante la carta non sparirà, così come non è sparita dopo l’avvento della Tv, ma sarà semplicemente ridimensionata. Per sopravvivere, però, dovrà essere capace di diversificarsi. E in proposito prevede uno scenario in cui il local manterrà le proprie posizioni, mentre l’aggiornamento avverrà on-line e alla carta stampata sarà affidato l’approfondimento.

Anche Razzante, poi, punta il dito contro la politica, colpevole di non finanziare la rete per sostenere giornali cartacei con dati di diffusione ridicoli e un numero di lettori irrisorio. La proposta quindi è: se lo scopo di questo sperpero legato alle sovvenzioni è la propaganda politica, perchè allora non sostenerla valorizzando i canali on-line (risaputamente più economici) anziché buttare i soldi pubblici per tenere in vita giornali di dubbia qualità? Razzante poi allarga il tiro e parla di una televisione deformata dalla politica, con la Rai ridotta ad un Parlamento lottizzato, e di giornali con il cappio al collo, stretto all’occorrenza dall’egemonia bancaria pronta a sacrificare qualità,  merito e democrazia all’interno della gestione di un giornale.

Dopo Razzante è la volta di Stephan Russ-Mohl, direttore dell’ European Journalism Observatory, il quale sottolinea come la vera domanda non sia il futuro dei giornali, ma quello del giornalismo. Le redazioni, infatti, non devono necessariamente chiudere per morire; anche quando vengono mutilate riscontrano una tale perdita di qualità che equivale al fallimento.

Pertanto la domanda è "come finanziare i giornali?". A questo proposito Russ-Mohl evidenzia tre aspetti di quello che chiama un triangolo delle Bermuda che rischia di inghiottire il giornalismo. 1) Gli utenti, specie i fruitori di informazione, non sono ancora monetizzabili; 2) la pubblicità stenta a decollare; 3) l’intrusione delle relazioni pubbliche nelle redazioni, sempre più influenzate dagli uffici stampa che sostituiscono la notizia con la comunicazione. Ma le PR forniscono solo le buone notizie, e se i giornalisti continuano ad essere epurati, allora chi andrà a caccia delle cattive notizie? La logica risultante di ciò è che bisogna pagare per un giornalismo di qualità, il cui futuro è in rete, giacché la carta, così come i vecchi telefoni a gettoni, è un mezzo destinato a sparire. E per finanziare un giornalismo online di qualità, la soluzione prospettata da Russ-Mohl è quella dei micropagamenti.

Il giro di boa si conclude con l’intervento "tutto pancia e budella" di Lorenzo Del Boca, presidente dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, la cui arringa suona come un ‘odi et amo’ nei confronti della carta stampata. Del Boca esalta il valore della stampa, che garantisce approfondimento e attenzione da parte dei lettori, mentre le parole sparate da radio e Tv tendono a perdersi, e la rete ha un pubblico apparentemente frettoloso e poco incline all’analisi. Il presidente dell’Ordine, però, ha piena consapevolezza del fatto che, sebbene la diffusione non cali, le vendite sono a picco (la tiratura, infatti, include anche i giornali regalati ad hotel, aeroporti, bar ecc.,). E se in Giappone ogni cittadino sembra acquistare un giornale e in Italia no, la colpa non è certamente attribuibile ai lettori, ma ai giornali, che, tanto per fare un esempio, in occasione del G20 si soffermano ampiamente sulle perle indossate da MIchelle Obama tralasciando allegramente le manifestazioni che a livello mondiale hanno protestato contro l’evento. L’accorato invito di Del Boca, quindi, è quello di "smettere di stampare sciocchezze"! La carta stampata, osserva amaramente, è ormai carta da imballaggio per i cosiddetti prodotti collaterali (cd, dvd, libri ecc.).

Le osservazioni in sala si concentrano poi sulla necessità dell’integrazione tra carta e web, in virtù della migrazione online dei lettori. Ma anche sulla necessità di finanziare e nutrire il cane da guardia che dovrebbe essere il giornalismo, il quale senza fondi e senza cibo, difficilmente troverà la forza di abbaiare. E un modo per tagliare i costi e rastrellare fondi potrebbe essere un taglio netto alla distribuzione in favore di internet ed e-book, a patto, però, che i contenuti on-line vengano valorizzati e pagati dagli utenti, argomento che sappiamo essere molto controverso oggigiorno.

La chiusura dell’incontro è affidata ad un ultimo intervento di Del Boca, che si sofferma sui tempi del giornalismo moderno. La rete brucia qualunque altro mezzo di comunicazione in quanto ad immediatezza, per questo i giornali dovranno essere in grado di rendere la notizia solo un mezzo per veicolare valore aggiunto traducibile in un accurato lavoro di analisi e indagine del contesto in cui la notizia si è prodotta. Ma, osserva Del Boca, che valore aggiunto si pretende se i giornalisti hanno i minuti contati per lavorare e, spesso, vengono a stento pagati?

Una soluzione potrebbe essere quella di un intervento politico che stabilisca delle regole eque riguardo, ad esempio, i tetti della pubblicità, oggi a netto vantaggio della tv rispetto alla stampa. Ma qui rientra in gioco la politica e, si sa, quando il gioco si fa politico gli interessi sono tali e tanti da necessitare di un altro convegno per essere sviscerati e dibattuti.