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La nuova ricerca* dell’Osservatorio europeo di giornalismo, condotta da Piero Macrì con la supervisione di Marcello Foa, parte da una constatazione paradossale: i giornali non sono mai stati letti come ora. Tuttavia l’editoria è in una crisi che non è passeggera, ma strutturale. Per capire come affrontarla bisogna considerare diversi aspetti.
Il testo integrale è scaricabile qui. Qui di seguito la sintesi analitica della ricerca.
(a cura di Andrea Fama)
1) Nonostante il notevole aumento dei lettori online, la pubblicità non aumenta proporzionalmente. Anzi, gli incrementi sono poco significativi e la migrazione della pubblicità dalla carta all’online è molto contenuta: il valore dell’investimento pubblicitario su web mediamente non supera il 10% dei ricavi complessivi dei giornali.
2) Il tentativo di imporre accessi a pagamento sembra avere poche possibilità di successo: i lettori sono abituati a ottenere gratis le informazioni e tendono a rifìutare qualsiasi forma di abbonamento o micropagamento. Un cambiamento di tendenza potrebbe essere possibile solo in presenza di una strategia condivisa dai principali gruppi editoriali. In questa prospettiva vanno considerate le mosse di Rubert Murdoch, che si è detto intenzionato a estendere la formula a pagamento, oggi attiva sul Wall Street Journal, ad altri siti web dei giornali di proprietà di News Corporation. Basterà il traino di Murdoch a cambiare le dinamiche?
3) Il modello di business dei giornali online soffre la concorrenza di Google. Ma se i giornali si privassero del traffico generato dai motori di ricerca vedrebbero diminuire immediatamente il proprio audience di oltre il 50%. La critica nei confronti di Google appare quindi strumentale e mira più che altro a ricercare un compromesso economico vantaggioso.
4) I costi di una struttura editoriale di tipo tradizionale sono assorbiti per un 25%-35% da carta e stampa, per un 30%-40% dalla distribuzione e per un 15%-25% dal costo del personale di redazione. In buona sostanza si può affermare che un 60% sia rappresentato da costi industriali, costi, evidentemente, che si riducono sensibilmente nel momento in cui si decide di passare all’online, in quanto il valore della spesa di infrastruttura tecnologica per un’attività esclusivamente su web corrisponde circa a un 10% dei costi complessivi, sei volte inferiore a quello della carta. Tuttavia il modello solo online non è economicamente sostenibile, se non in circostanze eccezionali, e ci vorranno tra i 5 e gli 8 anni, secondo una valutazione ottimistica, prima che lo diventi. Un periodo di tempo in cui molte testate saranno costrette a chiudere o a ridimensionarsi fortemente.
5) Gli interventi statali a sostegno dell’editoria servono ad attenuare le difficoltà del settore, ma non sono sostenibili sul lungo periodo; proprio perché sta cambiando il modo in cui il pubblico si informa.
Che cosa fare?
La capacità di sopravvivenza dei gruppi editoriali dipenderà dal ritmo di migrazione dei lettori dalla carta stampata al web. Più è lento, più i giornali avranno tempo di adeguarsi. Gli annunci di morte dei giornali sono pertanto prematuri, il sistema ibrido online-off line risulterà nel breve periodo il modello economico più valido. Tuttavia il volume della pubblicità su carta tende ad essere decrescente. Da qui la necessità di adottare un nuovo approccio editoriale.
A) L’idea attorno alla quale l’industria della carta stampata si è coagulata è la convinzione che si possa preservare la vecchia forma organizzativa, che la logica di un contenuto generalista sia sostanzialmente valida e che sia necessario un semplice lifting digitale. Niente di più sbagliato. Solo pochi grandi gruppi potranno permettersi di offrire un’informazione generalista di qualità; la grande maggioranza dei giornali dovrà puntare sulla focalizzazione ovvero su una serie di elementi informativi che rappresentano i punti di forza della testata. A livello locale ciò significa che le testate dovranno diventare iperlocali. La sfida, semmai, sarà quella della connettività ovvero proporre percorsi di lettura e spunti che, attraverso link ad altre testate, permettano di accedere alle informazioni più qualificate in rete sugli argomenti che la testata non tratta o affronta sommariamente.
B) Con il passare del tempo, il termine stampa è diventato sinonimo di giornalismo, la cui stessa parola è ereditata, appunto, dal giornale. Nulla di più anacronistico: il giornalismo del futuro sarà multimediale e fortemente interattivo; ma ciò richiede un cambiamento di mentalità che i giornalisti tendono a rifiutare e che nel lungo periodo rischia di essere fortemente autolesionista.
C) Il web favorirà la moltiplicazione delle testate, accompagnate, però, da redazioni più snelle e flessibili. Solo così infatti l’informazione online può essere economicamente sostenibile. Ciò rappresenta una chance per i nuovi siti giornalistici e una sfida per quelle tradizionali che dovranno risolvere o attenuare le criticità di indebitamento ereditate dagli investimenti compiuti in passato, come quelli immobiliari o l’ammortamento degli investimenti nelle rotative full color. Gli asset del passato si sono trasformati rapidamente in passività: la capacità di gestire queste ultime sarà molto importante per determinare le possibilità di adeguamento delle società editoriali esistenti.
D) La logica di adattamento riguarda anche la pubblicità. Se da un lato emergono seri dubbi sull’affidabilità del criterio basato sugli accessi unici, oggi prevalente, dall’altro gli editori sembrano non aver capito le potenzialità di Internet. E se è innegabile che un modello di business non è stato ancora trovato, è vero che i tentativi di trovare nuove fonti di reddito sono stati limitati o comunque fatti, una volta ancora, seguendo le vecchie logiche. Perché, ad esempio, non reagire alla concorrenza di Google adottando le sue stesse logiche e dunque puntando su forme di aggregazione più evolute tra i giornali stessi?
E) Il vecchio mondo editoriale era basato sul concetto di esclusività della testata, quello nuovo invece, proprio per il ruolo dei motori di ricerca e i tempi brevissimi di permanenza sul sito (tre minuti), favorisce la logica opposta: quella della condivisione dei contenuti e della complementarietà fra le testate. Ma per coglierle tutti devono cambiare approccio: giornalisti, editori, pubblicitari.
*La presente ricerca dell’Osservatorio europeo di giornalismo, un centro studi dell’Università della Svizzera italiana (facoltà di Scienze della Comunicazione), terminata a maggio 2009, si propone come un approfondimento ulteriore a quanto già espresso negli studi compiuti da Marco Faré (Blog e giornalismo, l’era della complementarietà , maggio 2006), Andrea Corti (L’informazione su Internet, inizia l’era della concretezza, giugno 2004) e Piero Macrì (I giornali e Internet verso un modello sostenibile– marzo 2008).