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di Matteo Bosco Bortolaso
New York – Giornalisti che vanno e giornalisti che vengono su Internet. Uno degli esperimenti più interessanti apparsi di recente sul web, il canale della CNN trasmesso interamente online, purtroppo chiuderà i battenti proprio mentre un gruppo di agguerriti cronisti texani muovono i primi passi con TexasTribune.org, in un’ avventura editoriale che sarà tutta digitale.
LA DELUSIONE DI CNN.COM LIVE
Il network di Atlanta ha annunciato di voler licenziare i quattro conduttori che si dedicavano interamente all’ edizione elettronica del canale CNN.com Live. I video giornalistici continueranno ad essere trasmessi via Internet e il sito ospiterà ancora le dirette di eventi che in tv vengono mostrati solo in parte . Purtroppo però l’idea di fondo della CNN online – una web tv sorella minore del canale satellitare – è fallita.
Il progetto, partito nel 2005 con trasmissioni dalle 9 alle 19, cioé quando le persone sono in ufficio e danno un’occhiata veloce alle notizie sul web, non è decollato. Era “molto ambizioso e molto costoso”, sentenzia Andy Plesser, che si occupa di video trasmessi online sull’ interessante sito Beet.TV.
Ad Atlanta sottolineano che le entrate per i webcast ci sono state e ci saranno, ma sul canale online non erano abbastanza. Ogni mese la CNN pubblica sul suo sito oltre 100 milioni di video. Di questi, soltanto due o tre milioni andavano sul canale online. In futuro si punterà quindi solo sugli spezzoni “alla You Tube”.
PARTE TEXAS.TRIBUNE.ORG
Positiva, invece, è una vicenda di giornalismo telematico che viene dal Texas e riguarda la testata TexasTribune.org, che vive soltanto online, è animata per il momento da 12 giornalisti, e finanziata da fondi pubblici e privati. L’ innovativo giornale punta soprattutto su politica e amministrazione pubblica.
I giornalisti sottolineano con orgoglio che, mentre tutti i media del mainstream raccontavano il recente massacro di Fort Hood, proprio in Texas, loro preferivano concentrarsi sui funzionari pubblici più pagati dello “Stato con la stella solitaria” e su un politico voltagabbana che aveva appena cambiato casacca (una loro esclusiva).
La strage nella base militare? “Non era una storia nostra – dice Matt Stiles, un ex dell’ Houston Chronicle che è tra i promotori del nuovo sito Internet – dovevamo unirci alle altre testate a precipitarci a Fort Hood? Non penso”. E poi, retoricamente: “Che senso aveva mandare altri colleghi a raccontare quella storia?”.
Texas Tribune è diretto da Evan Smith, già al timone del rispettato mensile Texas Monthly. In Texas “ci sono 150 parlamentari – spiega Smith – e in ogni elezione le sfide con reale competizione sono soltanto una decina: la mancanza di cronaca, sempre maggiore, certo non aiuta”.
L’ avventura è partita con un budget di 3,7 milioni di dollari (uno lo ha versato l’imprenditore di Austin John Thornton, 1,6 altri privati, 500 mila il fondo Houston Endowment e 250 mila la fondazione per il giornalismo ‘’John e James Knight’’). “Tutti soggetti che credono in un modello sostenibile per un giornalismo che non dipende né richiede un prodotto stampato”, scrive l’ esperto di media del New York Times, David Carr.
Il sito offre articoli, blog, database con le donazioni relative ai legislatori del Texas. Se una tematica è particolarmente interessante, i servizi potranno essere pubblicati anche da altre testate.
Tra gli amministratori c’è anche un ex consigliere di George W. Bush, Mark McKinnon, ma la vera anima di Texas Tribune è il magnate John Thornton, ex McKinsey secondo cui “il giornalismo è un bene pubblico, come la difesa nazionale e l’ aria pulita”. Secondo il facoltoso investitore, “per alcuni il giornalismo è troppo importante per essere lasciato alle organizzazioni nonprofit, mentre per me è troppo importante per essere lasciato alle forze del mercato”.
Anche i redattori sembrano molto motivati. Brian Thevenot, ex del The Times-Picayune di New Orleans che per il Tribune si occupa di scuola, racconta che quando decise di iniziare questa avventura “il mio direttore mi chiese se non fossi preoccupato di lavorare in uno start-up rischioso, quando a me sembra molto più rischioso stare in un giornale”.