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di Jeff Jarvis
(da BuzzMachine)
Il Guardian ha appena annunciato che renderà fruibili tutti i propri contenuti attraverso un sistema API (Application Programming Interface – un meccanismo che consente agli utenti di scaricare i contenuti del Guardian e costruire delle proprie applicazioni in cambio del “trasporto” della pubblicità del giornale sul nuovo sito, N.d.R.) e, allo stesso tempo, renderà disponibili molte informazioni attraverso un data store. Il tutto, poi, potrà essere riversato su altri siti ed applicazioni.
Nell’ affidarsi all’API, il Guardian va ad unirsi ad altre organizzazioni, quali BBC, National Public Radio, New YorkTimes. In pratica, la crema del mondo dell’informazione crede nella saggezza del sistema API. Il Guardian non offre solo i titoli, ma anche articoli, video, gallerie: praticamente tutto. Ed aggiunge un elemento importante alla propria offerta: un business model, che nasce dalla creazione di un network pubblicitario per gli utenti API.
Upendra Shardanand, mia partner e fondatrice di Daylife, ha ripetito a lungo che l’API rappresentasse il futuro della distribuzione. Il Guardian, dal canto suo, sostiene che il suo sistema API immetterà i propri contenuti “nel tessuto di Internet”.
Il momento che ha portato al titolo del mio libro – ovvero quando ho chiesto agli editori di domandarsi cosa farebbe Google – è giunto mentre cercavo di convincere molti di loro a pensare in termini di distribuzione, a smettere di credere che il proprio marchio fosse sufficientemente magnetico da attrarre tutto il loro pubblico, e ad andare lì dove vanno le persone, proprio come fa Google.La risposta degli editori – quei pochi che erano d’accordo – è stat di pensare alla distribuzione in termini di widget (un trand mai effettivamente esploso). Hanno anche prodotto Feed RSS, sebbene in modo limitato.Ora il sistema API porta la distribuzione verso i propri limiti logici – sebbene sconosciuti e a volte spaventosi. Ora ci si può costruire una propria applicazione basandola sulle notizie di almeno quattro grandi fonti – e, con Daylife, sui titoli e le analisi di altre migliaia.
Nel caso di una storia del Guardian, la si può leggere attraverso un’applicazione senza dover andare sul sito del quotidiano. Non è follia? Non è ciò di cui gli editori si stanno giàù lamentando per via degli aggregatori? Di fatto, no. Gli aggregatori mostrano solo i titoli e forniscono i link; l’API, invece, è molto peggio se si cerca di proteggere I propri contenuti ed il traffico verso il proprio sito. Ma questo è un modo centralizzato di pensare ormai obsoleto per i media. La parte più spaventosa consiste nel fatto che, una volta rilasciati i contenuti sotto forma di dati, si perde ogni controllo sulla pubblicazione, siul pbranding, sulla raccolta dati e sulle entrate. Ecco perchè il Guardian sta cercando di inserirvici il proprio busniess model pubblicitario: perchè vuole rilasciare tutto, vuole che i propri contenuti possano essere usati ovunque sul Web. Questa è la nuova distribuzione.
Le organizzazioni mediatiche, consapevoli o meno, hanno già perso il controllo sul packaging nel ommento in cui la maggior parte degli utenti raggiunge quotidianamente I loro contenuti non attraverso una Home Page studiata nel dettaglio, ma attraverso ricerche, link e adesso anche Facebook. Il brand di un media è sempre meno una destinazione o un catalizzatore per attrarre l’audience, cui non importa doce e come abbia trovato il contenuto, purché lo trovi. Pertanto, più sono i posti in cui è possibile trovarlo, meglio è.
Postilla : avrei dovuto aggiungere che sono consulente e collaboratore del Guardian e che, ripeto, sono un partner di Daylife.
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Nota del curatore: Mentre in America e nel mondo i colossi dell’informazione adottano strumenti per diffondere gratuitamente il proprio materiale di qualità e metterlo a disposizione di eventuali, liberi utilizzi per il popolo della rete, in Italia ci sono almeno tre iniziative che mirano a blindare il diritto d’autore (clicca qui – http://www.gabriellacarlucci.it/2009/03/03/pedofilia-e-internet/proposta-di-legge/; qui – http://www.barbareschiparlamento.com/2009/02/ecco-la-proposta-di-legge-sulla-pirateria-multimediale/; e qui – http://antipirateria.governo.it/) (andrea fama)